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Finite le speranze, sono morti gli alpinisti Nardi e Ballard: i corpi individuati saranno recuperati appena il tempo lo consentirà

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Gli alpinisti Daniele Nardi e Tom Ballard sono morti a circa 6.000 metri di quota sulla parete nord occidentale del Nanga Parbat, alla base dell’inaccessibile sperone Mummery che stavano tentando di conquistare. E’ il drammatico epilogo di un giallo durato due settimane, che ha lasciato con il fiato sospeso ed ha attivato un’imponente operazione di soccorso nel Karakorum pakistano, cui hanno partecipato alcuni dei piu’ forti alpinisti presenti in zona. Ad ufficializzare, su twitter, la drammatica notizia e’ stato l’ambasciatore italiano Stefano Pontecorvo annunciando che lo spagnolo Alex Txikon e la sua squadra, impegnati nelle ricerche, hanno confermato che “le sagome viste sul Mummery a circa 5.900 metri sono quelle di Daniele e Tom”.

Balard e Nardi prima che sparissero sul Nanga Parbat

Una foto, scattata dal campo base con l’ausilio di un potentissimo telescopio, ritrae infatti i due corpi sdraiati sulla neve, in mezzo alle rocce: Nardi, con il suo piumino rosso, piu’ in alto e, qualche metro sotto, Ballard con una giacca blu. “L’analisi di quell’immagine e di altre ci suggerisce che la tragedia si e’ sviluppata in un’azione dinamica, cioe’ di loro due che si stavano muovendo verso il basso, quando è successo qualcosa; non sembrerebbe comunque esserci stato alcun tipo di valanga”, spiega Agostino Da Polenza, presidente dell’Associazione Everest-K2-Cnr, amico dei due alpinisti che ha coordinato dall’Italia le ricerche. L’ipotesi piu’ accreditata a’ quella che i due siano precipitati mentre stavano scendendo dalla montagna. Le operazioni di recupero sono state sospese e i corpi rimarranno li’, per ora; e’ impossibile avvicinarsi a quello che e’ considerato uno dei luoghi piu’ pericolosi della montagna pakistana.

Immagini di Nardi e Ballard sul Nanga Parbat

Ne era consapevole lo stesso Nardi, 43 anni di Sezze (Latina), che lascia la moglie Daniela e il figlio Mattia di sei mesi. Nel suo ultimo messaggio, prima di partire, aveva scritto: “Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile, che pero’ non si e’ arreso”. Per lui era diventata quasi un’ossessione quella via di salita diretta, mai scalata prima da nessuno e percorsa, in discesa, nel 1970, solo da Reinhold Messner e da suo fratello Gunther, morto a poca distanza da li’. Nardi ci aveva gia’ provato altre quattro volte e quest’anno aveva coinvolto nella sua impresa invernale il giovane Tom Ballard, 31enne inglese, astro nascente dell’arrampicata e figlio di Alison Hargreaves, celebre scalatrice britannica deceduta nel 1995 sul K2. La sua fidanzata Stefania Pederiva, che vive in Val di Fassa, ha oggi gridato su facebook la propria disperazione: “Un dolore straziante e una forte rabbia per non aver ascoltato le mie costanti parole che ti dicevano che su quella montagna non dovevi andare, i tuoi sogni non erano li’, per questo madre natura non ti ha piu’ protetto”. L’impresa sognata da Nardi, drammaticamente interrotta a poco dalla sua conclusione, sara’ narrata in un libro che uscira’ da Einaudi Stile Libero e che l’alpinista aveva iniziato a scrivere insieme ad Alessandra Carati, con cui e’ rimasto in contatto fino ai giorni immediatamente precedenti la scomparsa. “Se non dovessi tornare dalla spedizione desidero che Alessandra Carati continui a scrivere la nostra storia”, aveva precisato l’alpinista in una lettera. Ma le parole piu’ intime e appassionate Nardi le aveva regalate al figlio, lasciandogli una sorta di messaggio in bottiglia che la famiglia ha oggi voluto rendere pubbliche: “non fermarti non arrenderti, datti da fare perche’ il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano si’ che la pace sia una realta’ e non soltanto un’idea…vale la pena farlo”.

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L’ipnosi in sala operatoria per due anziane a Torino

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L’ipnosi in sala operatoria si consolida come una risorsa in più per combattere il dolore in sala operatoria. Per la prima volta a Torino, all’ospedale delle Molinette, due donne in età avanzata (75 anni e 79 anni) sono state sottoposte a un intervento in ipoanestesia, una pratica che alla Città della Salute definiscono “l’ultima frontiera degli approcci destinati a garantire ai pazienti un trauma chirurgico sempre minore”. L’ipoanestesia, che ha già preso piede in numerosi Paesi europei per operazioni di chirurgia complessa, è considerata una valida alternativa all’anestesia generale: non pretende un carico pesante di farmaci invasivi, modula la percezione del dolore e, soprattutto, allontana la percezione del bisturi, riducendo lo stress emotivo. Effetti che, a quanto pare, si riverberano anche sul recupero post operatorio, più rapido ed efficace, con conseguente riduzione dei tempi di ricovero.

Nel caso delle due pazienti torinesi si è trattato di abbinare l’ipnosi all’anestesia locale per poi procedere, tramite delle ‘tradizionali’ incisioni al collo di minima entità (2,5-3 cm), all’asportazione di tumori benigni delle paratiroidi. L’intervento ha richiesto la composizione di un’equipe composta da specialisti di varie discipline: Maurizio Bossotti (responsabile della Chirurgia tiroidea-paratiroidea del Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica della Città della Salute di Torino, diretto dal professor Mario Morino) è stato affiancato da Pietro Soardo e Valentina Palazzo, specializzanda in Chirurgia Generale ed ipnologa, e dagli anestesisti del gruppo di Roberto Balagna.

In Italia il ricorso all’ipnosi clinica è una realtà da diverso tempo e in diversi ambiti. Nel 2020 l’ospedale San Paolo, a Savona, se ne servì a scopo analgesico su un uomo sottoposto a un intervento al cuore, mentre nel 2022 fu il San Michele di Cagliari ad impiegarla nel corso di un trapianto di fegato: il paziente, dopo una serie di incontri preparatori, venne ‘risvegliato’ in stato di ipnosi in sala operatoria anziché in rianimazione, cosa che scongiurò una quantità di complicazioni. Nel 2023, ad Ancona, un tumore cerebrale fu asportato con procedura awake: il paziente, sveglio e cosciente, indossò un visore che lo inondò di immagini e musiche capaci di ridurre l’ansia pre e post operatoria. La sedazione digitale è stata utilizzata al ‘Ferrari’ di Castrovillari (Cosenza) per coronarografie e impianti di peacemaker.

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Abusi su 13enne, spedizione punitiva amici contro l’ex

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Non si è ribellata quando lui le ha imposto un rapporto sessuale perché “avevo paura che lui mi lasciasse”. Protagonista di questa brutta storia che arriva da Genova una ragazzina di 13 anni che ha raccontato di esser stata obbligata ad avere rapporti con il suo fidanzato del tempo, di due anni più grande, nella sua casa quando i genitori non c’erano. Una storia che durava da qualche mese e che è stata scoperta dalla polizia intervenuta per la chiamata al 112 dell’ex fidanzatino della vittima, accerchiato dagli amici della ragazzina intenzionati a portare a termine una vera e propria spedizione punitiva. Tutto nasce un pomeriggio di qualche tempo fa quando la ragazzina va a casa del fidanzatino che ha, appunto, 15 anni.

I genitori di lui non ci sono e avvengono gli abusi. Lei non lo lascia perché ha paura che lui l’abbandoni poi l’infatuazione è finita e lei racconta tutto ai suoi amici. Amici che, dopo essersi radunati, in tutto una decina di ragazzi tra i 13 e i 16 anni, imbastiscono una specie di spedizione punitiva a casa dell’ex. Quel giorno il 15enne è solo nell’appartamento al primo piano del condominio in cui abita con i genitori.

Quando arrivano gli amici della ragazzina iniziano a dare pugni contro le sue finestre e uno cerca addirittura di entrare in casa. Il ragazzo si spaventa, prende un coltello da cucina e poi chiama il 112. Quando la polizia interviene ci vuole un po’ per capire cosa stesse succedendo e che cosa aveva portato a quella reazione esasperata di un gruppo di giovanissimi. I ragazzini amici della vittima vengono tutti identificati e accompagnati negli uffici della polizia: ovviamente ciascuno racconta quello che sa e quello che invece gli è stato solo riferito ma sarà la ragazzina di 13 anni a dover raccontare il retroscena.

Tra l’altro, la vittima aggiunge che aveva tentato di parlarne a casa con i genitori ma che aveva avuto scarso successo. Genitori che, convocati e sentiti dalla polizia, affermano: “Ci aveva accennato qualcosa, ma pensavano fossero questioni tra ragazzi”. Tutta la vicenda adesso è sottoposta a indagini della procura presso il tribunale dei Minori, Un fascicolo in cui un quindicenne è accusato di violenza sessuale aggravata. E negli ultimi giorni la vittima è stata sentita durante un incidente probatorio, fornendo – secondo quanto appreso – ‘significative conferme’.

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Arcivescovo Napoli ad amministratori: bisogna fare di più

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La Costituzione “ci obbliga ad adempiere le nostre funzioni “con onore e disciplina” e l’onore non può che essere quello del “dovere della verità e dell’impegno per la giustizia” non solo formale ma anche sostanziale. In un territorio che, pur cercando faticosamente di adottare “un diverso paradigma”, soffre ancora di tante diseguaglianze e in tante periferie umane e sociali si attendono opportunità civili e dignitose, chi ha responsabilità pubblica ha il dovere di fare di più e bandire ipocrisie e luoghi comuni. Ancora troppa ricchezza mal distribuita, ancora troppo lavoro nero, ancora la prepotenza della criminalità organizzata, sirena per chi, con scarse opportunità, in particolare i giovani, anela al cambiamento del proprio status sociale, cerca scorciatoie”. Lo ricorda nella lettera ai fedeli della diocesi partenopea per l’Avvento 2024 l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, che nel prossimo concistoro del 7 dicembre sarà creato Cardinale.

“A noi, il Cristo che viene, ci chiede quel gesto di amore di cui parlò Paolo Borsellino, nella chiesa di Sant’Ernesto, a Palermo il 23 giugno 1992, in occasione del trigesimo della strage di Capaci, ricordando Falcone “Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione…. Per amore!” E tali parole richiamano alla mente l’attualità del documento diffuso proprio a Natale dell’anno precedente, il 1991, in tutte le chiese di Casal di Principe e della zona aversana da don Peppino Diana e dai parroci della forania di Casal di Principe, per spingere a prendere coscienza del problema mafioso, ‘Per Amore del mio popolo'”, prosegue ancora l’arcivescovo di Napoli.

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