“MummeryPost n. 8, the journal. Il 31 dicembre in genere mi guardo dentro e faccio un resoconto di come e’ andato l’anno, ed a parte il fegato appena ingrossato, l’eta’ che avanza mi sono accorto che l’entusiasmo per la vita invece di deperire aumenta sempre di piu’. Non so se e’ una questione solo di scelta, di cose che accadono, della voglia di studiare, dell’arrivo del mio primogenito, di tutti i corsi di crescita personale che ho fatto negli ultimi 12 mesi (e vi posso garantire che sono tanti!!!) oppure la fortuna che ho di poter andare in giro a scalare montagne che mi aiuta ad essere cosi entusiasta di vivere la vita (?)”. Inizia cosi’, sul suo profilo Facebook, uno degli ultimi post di Daniele Nardi, 43 anni, originario di Sezze (Latina), considerato uno dei piu’ bravi alpinisti italiani, ormai disperso da 10 giorni sulla vetta di uno dei difficili e fra i piu’ temuti temuti “re” degli ottomila: il Nanga Parbat, in Pakistan. Insieme con lui c’era il suo compagno inglese di scalata, Tom Ballard, anch’egli considerato un bravo alpinista esperto. A settembre del 2018 Daniele Nardi, gia’ scalatore di ottomila (Everest e K2), si era realizzato come papa’ e sua moglie Daniela gli aveva dato un bel maschietto a cui avevano dato il nome Mattia. Ma lui non ha mai smesso di sognare per tentare di realizzare un altro sogno, che ormai inseguiva da qualche anno e che aveva tentato piu’ volte in questi ultimi 4 anni: scalare in inverno, attraverso lo sperone di Mummery, la difficile, difficilissima vetta del Nanga Parbat, uno degli ottomila piu’ “tosti” del Mondo. Una gigantesca montagna di 8.126 metri in Pakistan.
E’ su quella stessa montagna che nel 1970 Reinhold Messner – il primo uomo al mondo ad aver scalato tutte le quattordici cime del pianeta che superano gli 8000 metri – perse suo fratello Gunther, il cui corpo fu ritrovato sulla parete Diamir, a 4600 metri di quota, 35 anni dopo; mentre Messner riporto’ alcuni congelamenti a 7 dita dei piedi e alle ultime falangi della mani, subendo una parziale amputazione delle dita dei piedi. All’epoca l’obiettivo della spedizione guidata da Karl Maria Herrligkoffer era quello di aprire la prima via sulla parete Rupal del Nanga Parbat, con metodo classico (attacco prolungato, posa di corde fisse) ma senza ossigeno. Un tragedia che nel mondo dell’alpinismo in quegli anni scateno’ una miriade di polemiche, col tempo rivelatesi poi infondate, sul fatto che Messner pur di raggiungere quella vetta inviolata sembra avesse abbandonato temporaneamente il fratello, poi morto dopo essere stato travolto da una valanga. In questi giorni l’arduo tentativo di impresa di Nardi e Ballard, quest’ultimo 31 enne considerato un bravo alpinista inglese, esperto, la cui mamma, Alison Hargreaves, anche lei alpinista, peri’ sulla la vetta del K2, non solo ha fatto il giro del mondo, ma ha suscitato un’infinita’ di critiche e polemiche, sul perche’ l’uomo debba compiere simili impresa, da molti considerate “suicide”.?”. Il perche’, forse, si puo’ tentare di capirlo da questo estratto di un suo lungo post datato 31 dicembre 2018: “Aver organizzato questa spedizione ad esempio mi permette di potermi confrontare nuovamente con i miei demoni, di superare tutte le vicissitudini ad essa collegata, ma soprattutto di poter tornare su quella linea alpinistica che ho tanto sognato e per cui ho deciso di spendere anni della mia vita: lo sperone Mummery – scrive Daniele Dardi – Ecco, che sia l’essere allineati con i propri scopi aiuti a trovare quello stato di serenita’ che spesso non riusciamo a trovare?”
Immagini di Nardi e Ballard sul Nanga Parbat
Quel che e’ certo resta che ad oggi il segretario del Club Alpino pachistano, Karrar Haidri, ha riferito che e’ stata posta fine alle ricerche per trovare l’alpinista italiano, Daniele Nardi e il britannico Tom Ballard. Haidri, infatti, ha affermato che i soccorritori, l’esercito pachistano e le famiglie e amici degli scalatori hanno fatto tutto il possibile, ma senza risultati. Le squadre di soccorso guidate dallo spagnolo Alex Txicon hanno battuta anche la nota via Kinshofer ma senza risultati purtroppo. Come molti bravi alpinisti esperti, Daniele Nardi e Tom Ballard cercavano di realizzare un’impresa davvero ardua, che molti altri prima di loro avevano tentato, ma senza riuscirci. Loro due questa vetta attraverso quella via, quasi impossibile, volevano raggiungerla a tutti i costi. Ma a decidere per loro, cosi’ come per tutti gli alpinisti che tentano simili imprese, e’ stata la montagna. Che non e’ un?”assassina” come in tanti dicono. Ma ad alcuni concede di passare sul proprio, freddo, inospitale “corpo” verticale; ad altri, meno fortunati, no. Cosi’ e’ la montagna. E cosi’ alla fine del 2018 concludeva il suo post Daniele Nardi: “Abbiamo sempre una possibilita’, se ce la concediamo, magari ci vorra’ un po? di tempo, forse sara’ faticoso, ma di certo rialzarsi dopo aver preso un bel ceffone, giusto o sbagliato che sia stato, beh, e’ una sfida veramente entusiasmante.”
L’ombra lunga di Fordow: nuovo raid israeliano sul sito nucleare iraniano, dubbi e tensioni dopo lo strike Usa
Nuovo attacco Idf alle vie d’accesso del bunker atomico. L’Aiea conferma danni ma resta l’incertezza sull’efficacia complessiva dell’operazione. Trump esulta, gli esperti frenano.
Israele è tornata a colpire. Dopo lo strike congiunto Usa-Israele che ha devastato impianti strategici del programma atomico iraniano, l’aviazione dello Stato ebraico ha lanciato un nuovo attacco a Fordow, bersagliando le vie d’accesso all’impianto nucleare protetto nella montagna. Un’azione tardiva, secondo molti analisti, rispetto ai giorni che hanno preceduto l’operazione americana, quando decine di mezzi e bulldozer erano al lavoro intorno agli ingressi del sito.
Il nuovo attacco e il dossier ancora aperto
Il bombardamento israeliano – interpretato da più fonti come un tentativo di impedire il recupero dei materiali o mantenere alta la pressione su un obiettivo strategico – suggerisce che la cosiddetta “Operazione Martello di mezzanotte” lanciata da Donald Trump non abbia chiuso il dossier nucleare iraniano. Tutt’altro. La sensazione diffusa è che la partita sia tutt’altro che finita.
L’Aiea: «Danni evidenti ma entità da verificare»
Il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Grossi, ha ammesso che l’impianto ha subito danni significativi, ma ha precisato che nemmeno l’Aiea è in grado di stabilirne con esattezza l’entità. Al contrario, per Natanz e Isfahan i danni sono evidenti: immagini satellitari mostrano edifici sventrati da super bombe americane GBU e missili da crociera lanciati dal sottomarino USS Georgia.
L’ottimismo di Trump e i dubbi degli esperti
Il presidente Trump ha parlato di «distruzione totale» e bollato come «fake news» le analisi più caute. Ma molti esperti, tra cui Jeffrey Lewis, esprimono riserve significative. Il punto più critico riguarda la quantità di uranio arricchito realmente presente a Fordow: secondo fonti iraniane sarebbe stato trasferito prima del raid, una versione ritenuta credibile anche da funzionari Usa.
L’ipotesi più realistica è che il materiale sia stato nascosto altrove, forse in un altro sito nei pressi di Natanz, ancora risparmiato dall’operazione “Rising Lion”.
Gli scenari futuri: la bomba è ancora possibile
La comunità degli analisti ritiene che l’Iran possieda almeno 400 kg di uranio arricchito, quantitativo potenzialmente sufficiente per proseguire verso la costruzione dell’arma nucleare, se e quando riceveranno il via libera dalla Guida Suprema, l’ayatollah Khamenei. È questa la lezione centrale che circola nei circoli diplomatici e militari: la guerra può rallentare il programma nucleare iraniano, ma non può fermarlo del tutto.
L’arsenale segreto degli ayatollah e il piano parallelo
Nel mondo dell’intelligence è condivisa da tempo la convinzione dell’esistenza di una “via parallela” al nucleare, gestita da un nucleo ristretto di scienziati e pasdaran, costruita per sfuggire ai controlli internazionali. A conferma di questa ipotesi, vi sono anni di sabotaggi, cyber-attacchi, infiltrazioni e tentativi di forniture tecnologiche manomessecondotte da Israele. Nessuna di queste azioni, però, ha convinto la Repubblica islamica a rinunciare all’opzione atomica.
Bombe su Kiev, Zelensky vola a Londra: «Russia, Iran e Corea del Nord sono una coalizione di assassini»
Nuovo raid russo sulla capitale ucraina: nove morti, tra cui una bambina. Raid a tappeto con droni e missili. Zelensky teme per il fronte e cerca aiuti tra i leader occidentali.
«Mi sono svegliato con dei mattoni addosso e dei calcinacci in bocca». È la testimonianza cruda di un sopravvissuto all’ennesima notte di terrore vissuta a Kiev, colpita da un massiccio bombardamento russo tra domenica e lunedì. Panico, sirene, bunker affollati. Ancora una volta, la capitale ucraina si è svegliata con il conteggio dei morti, almeno nove le vittime, tra cui una bambina di 11 anni, uccisa nel sonno con sua madre in un quartiere residenziale. Almeno 33 i feriti, mentre l’aeronautica militare ucraina segnala 352 droni e 16 missili lanciati nella notte.
Bombe a grappolo e raid su licei: torna l’incubo dell’attacco indiscriminato
Non solo Kiev: anche la regione di Odessa è finita sotto attacco. Lì due persone sono morte a causa del bombardamento su un liceo chiuso per le vacanze estive. Il monastero delle grotte e la chiesa di Santa Sofia sono stati sfiorati dalle esplosioni. Ancora una volta Putin colpisce obiettivi civili, apparentemente scelti a caso, in una strategia cinica e brutale che punta a intimidire la popolazione e minare il fronte interno ucraino.
La guerra come pressione geopolitica: Zelensky in missione a Londra
Mentre piovono bombe, il presidente Volodymyr Zelensky è volato a Londra per rafforzare i rapporti con il nuovo premier britannico Keir Starmer, incontrare il re Carlo III e i presidenti delle camere parlamentari. In cima all’agenda: la sicurezza del fronte, il sostegno militare e la tenuta dell’alleanza occidentale. Il Regno Unito ha già stanziato per il 2025 5,2 miliardi di euro a favore dell’Ucraina, confermandosi tra i partner più solidi.
Ma Zelensky guarda con ansia anche a Teheran e alla crescente alleanza tra Russia, Iran e Corea del Nord, che definisce «una coalizione di assassini». L’ipocrisia russa nel denunciare i raid americani su obiettivi iraniani e l’intensificarsi dei bombardamenti su Kiev ne sarebbero l’esempio più lampante.
Nessuna trattativa in vista, Trump salta il faccia a faccia
Il fronte diplomatico resta bloccato. Zelensky avrebbe dovuto incontrare Donald Trump al vertice G7, ma l’ex presidente ha lasciato in anticipo per la crisi mediorientale. Un nuovo confronto potrebbe avvenire all’Aja, in occasione della cena del vertice Nato, ma l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica resta un tema sensibile. Il segretario Mark Rutte ha ribadito che il percorso verso l’ingresso è “irreversibile”, ma i tempi restano incerti.
Nuovo tentativo di attentato a Zelensky, Sbu sventa l’operazione
A conferma della tensione altissima, l’intelligence ucraina ha reso noto un nuovo tentativo di assassinio del presidente Zelensky, che sarebbe dovuto avvenire presso l’aeroporto di Rzeszow, in Polonia, sul fianco Est della Nato. Un segnale preoccupante sulla pervasività delle minacce russe anche al di fuori del territorio ucraino.
Intanto, Bruxelles annuncia il 18° pacchetto di sanzioni contro la Russia, con l’ipotesi di un nuovo tetto sul prezzo del petrolio. Ma il Cremlino, rafforzato dai prezzi in rialzo e dalla debolezza diplomatica dell’Occidente diviso, non sembra arretrare di un passo.
Donald Trump ha annunciato che Iran e Israele hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco completo e totale di 12 ore, che dovrebbe sancire la fine della cosiddetta “guerra dei 12 giorni”. L’annuncio è arrivato tramite un lungo messaggio pubblicato sulla piattaforma Truth, dove il presidente americano ha elogiato il coraggio e l’intelligenza di entrambe le parti nel decidere di interrompere le ostilità.
I tempi della tregua
Trump ha spiegato che il cessate il fuoco avrà inizio entro sei ore: l’Iran sarà il primo a cessare le operazioni, seguito da Israele alla dodicesima ora. Se la tregua verrà rispettata per 24 ore, “sarà salutata come la fine ufficiale della guerra”. “Dio benedica Israele, Dio benedica l’Iran, Dio benedica il Medio Oriente, gli Usa e il mondo”, ha concluso Trump, sottolineando il carattere simbolico dell’accordo.
Un cessate il fuoco mediato anche dal Qatar
Fonti diplomatiche confermano che l’accordo è stato raggiunto grazie a una mediazione del Qatar. Il primo ministro qatarino, Al Thani, avrebbe ottenuto l’approvazione di Teheran dopo una telefonata successiva all’attacco iraniano contro una base americana in Qatar. Secondo quanto riportano i media israeliani, Trump e il suo vice JD Vance hanno coinvolto attivamente Al Thani nella trattativa, chiedendogli di convincere Teheran ad accettare l’intesa.
Conferme ufficiali da Washington e Teheran
Un funzionario della Casa Bianca ha confermato che i negoziati indiretti con l’Iran sono stati gestiti dal vicepresidente JD Vance, dal segretario di Stato Marco Rubio e dall’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff. Nel frattempo, un funzionario iraniano ha confermato alla Reuters l’adesione di Teheran al cessate il fuoco, mentre l’esercito israeliano ha comunque emesso nuovi avvisi di evacuazione per alcune zone di Teheran, segnalando l’intenzione di completare operazioni in corso nei distretti 6, 7 e Mehran.
Una tregua fragile, ma decisiva
La definizione del conflitto come “guerra dei 12 giorni” da parte di Trump richiama volutamente il precedente storico della “guerra dei sei giorni” del 1967. Tuttavia, l’annuncio di una tregua così rapida rappresenta un inaspettato passo verso la de-escalation. Resta da capire se la tregua reggerà e se potrà essere il primo passo verso una stabilizzazione duratura nell’area mediorientale.