Collegati con noi

Economia

Fininvest più forte in Mediaset, sopra 50% diritti

Pubblicato

del

Le strade di Mediaset e Vivendi si separano, il primo passo e’ stato fatto con la cessione, come previsto dagli accordi coi francesi, del 5% a Fininvest. La holding della famiglia Berlusconi rafforza la presa e torna dopo 16 anni a possedere oltre il 50% di Mediaset, considerando i diritti di voto (per la precisione il 50,99%) e il gruppo, che si prepara entro la fine dell’estate, a spostare la sua sede legale in Olanda rispolvera il progetto originario di diventare un polo attrattivo per le tv ‘free’ europee. Vivendi, Fininvest e Mediaset hanno messo le ultime firme all’accordo di maggio che ha posto fine alle controversie, rinunciando reciprocamente a tutte le cause e denunce pendenti. In particolare, Fininvest ha acquisito meta’ della quota direttamente in portafoglio a Vivendi, ad un prezzo di 2,70 per azione (tenendo conto della data di stacco e del pagamento del dividendo, avvenuto rispettivamente il 19 luglio e il 21 luglio 2021), corrispondente a circa 159 milioni di euro (finanziati di fatto con il dividendo incassato ieri). Fininvest che deteneva il 44,17% del capitale sociale (e il 45,80% dei diritti di voto esercitabili in assemblea, al netto delle azioni proprie in portafoglio) ora si porta vicina alla soglia del 50%. Vivendi che deteneva direttamente il 9,61% del capitale sociale potra’ disporre liberamente del restante 4,61% mentre il 19,19% trasferito nel 2018 a Simon Fiduciaria, il trust del gruppo Ersel, verra’ progressivamente venduto nei prossimi 5 anni, a tranche di circa il 4% ogni anno. Piu’ precisamente la prima tranche a non meno di 2,75 euro per azione, meno l’ammontare di eventuali dividendi pagati nel corso del Primo Periodo di Vendita; al secondo anniversario del closing il prezzo di vendita sale a 2,80 euro, e cosi’ via via: 2,90 euro per azione per il terzo prezzo di vendita, 3 euro per il quarto e 3,10 euro nell’ultima tranche. Per evitare turbative di mercato SimonFid potra’ vendere sul mercato non oltre il 25% del volume giornaliero di titoli Mediaset scambiati nel giorno in cui avviene il trasferimento. Ora che Mediaset e’ fuori dallo stallo puo’ ripartire dal progetto Mfe. Il prossimo passo sara’ il trasferimento ad Amsterdam, che chiusi gli adempimenti burocratici dovrebbe realizzarsi nella seconda meta’ di settembre. E in autunno le partite da giocare sono diverse. L’acquisizione di M6 per ora e’ sfumata, “i venditori e il sistema in generale preferiscono una soluzione francese” aveva precisato Marco Giordani, direttore finanziario di Mediaset, riferendosi a Tfl, primo operatore del mercato locale, controllata dal colosso Bouygues ma l’Antitrust francese deve ancora esprimersi e se dovesse chiedere delle compensazioni i giochi potrebbero riaprirsi. Ma la sfida a Netflix con la creazione di un polo europeo potrebbe partire dalla Germania, dove il Biscione e’ primo azionista di ProsiebenSat con il 23,5% del capitale, e l’anno prossimo potrebbe chiedere un posto nel Supervisory Board. Non ultimo nel mirino ci sarebbe anche Channel4, quando e se verra’ messa in vendita da Downing Street.

Advertisement

Economia

Parte l’ops su Bpm, Unicredit cerca dialogo col governo

Pubblicato

del

Da lunedì i soci di Banco Bpm potranno aderire all’offerta di Unicredit ma in questo momento tutti si chiedono se conviene, gli azionisti di Piazza Meda, la Borsa e lo stesso Andrea Orcel, il ceo di Piazza Gae Aulenti. Agli azionisti converrebbe vendere sul mercato. Per ciascuna azione di Bpm consegnata, che nell’ultima seduta di Borsa valeva 9,74 euro consegnata, si ricevono 0,175 azioni UniCredit (che venerdì valevano 50,87 euro), uno sconto che va oltre l’8 per cento. Improbabile un rialzo di prezzo ora che Unicredit deve fare i conti con i paletti imposti dal governo e con l’acquisizione di Anima che senza il Danish Compromise – una normativa europea che consente alle banche di acquisire assicurazioni con un minor assorbimento di capitale – pesa sull’indice patrimoniale di Banco Bpm e la rende meno attraente. L’offerta però resterà aperta fino al 23 giugno e nel frattempo Unicredit cerca un dialogo con il governo.

Le prescrizioni, tra cui il mantenimento del rapporto prestiti/depositi in Italia, le filiali di Banco Bpm in Lombardia e l’uscita dalla Russia entro il gennaio 2026, hanno un impatto che gli analisti di Jp Morgan hanno provato a calcolare: cento milioni di minori sinergie sui ricavi derivanti dalla stabilità del rapporto prestiti/depositi; 47 punti base di impatto CET1 derivante dall’uscita dalla Russia equivalente a 1,4 miliardi di capitale; 300 milioni di minori sinergie sui costi su un totale di 0,9 miliardi di euro. E in caso di inadempimento o violazione delle prescrizioni, secondo indiscrezioni, rischierebbe una multa compresa tra 300 milioni e 20 miliardi di euro. La normativa stabilisce infatti che la sanzione amministrativa possa arrivare fino al doppio del valore dell’operazione, e non sia inferiore all’1% del fatturato cumulato dell’ultimo esercizio approvato. Mentre Orcel si interroga se ne valga la pena, le tecnicalità vengono portate avanti e dopo una lunga istruttoria il 24 aprile è stato notificato alla DG Competition l’operazione di fusione e una risposta è attesa entro il 4 giugno.

“Data la forte complementarietà, presumiamo che non vi sia alcun piano di riduzione degli sportelli di in Lombardia”, sottolineano gli analisti di Jp Morgan, ricordando che Banco Bpm ha una quota di mercato del 13% contro il 6% di Unicredit. Resta in ogni caso sotto la soglia del 25% richiesta dall’Antitrust europeo. Il gruppo combinato avrebbe quote di mercato in eccesso solo in Sicilia (27%); raggiungerebbe il 24% in Val d’Aosta e Molise, il 23% in Piemonte, il 21% in Veneto e Lazio. La via del dialogo va percorsa, anche se il ministro Giancarlo Giorgetti tiene il punto e, a margine dei lavori del Fmi, non mostra segni di ammorbidimento. “Il governo deve valutare l’interesse nazionale, che non sono le competenze della Bce o della dg competition, è l’interesse nazionale. Qui (negli Usa ndr) ho capito che l’interesse nazionale risponde ad un concetto abbastanza virile anche in materia economica. In Italia abbiamo un concetto di interesse nazionale un po’ più lasco. Io li invidio gli americani”, ha chiosato.

Continua a leggere

Economia

Generali, vince la lista Mediobanca: Donnet e Sironi confermati alla guida

Pubblicato

del

Con il 52,38% dei voti, l’assemblea dei soci di Generali ha scelto la lista di Mediobanca, confermando per il prossimo triennio Philippe Donnet (foto Imagoeconomica in evidenza) nel ruolo di amministratore delegato e Andrea Sironi come presidente. Una decisione che riafferma la linea della continuità e della stabilità nella governance della storica compagnia assicurativa triestina.

Affluenza e composizione del voto

L’assemblea, che ha registrato un’affluenza del 68,7%, è tornata in presenza per la prima volta dal 2019, riunendo oltre 450 azionisti presso il Generali Convention Center. A pesare sul risultato finale sono stati in particolare i voti degli istituzionali (circa il 17,5%) e un sorprendente apporto del retail (5%), mai così attivo. Anche la Cassa forense, con il suo 1,2%, ha votato a favore della lista Mediobanca.

Risultato del gruppo Caltagirone e confronto con il 2022

La lista Caltagirone ha ottenuto il 36,8% del capitale votante, confermando il ruolo di minoranza forte, ma non sufficiente a ribaltare gli equilibri. I fondi Assogestioni, con il 3,67%, non superano la soglia del 5% e quindi restano fuori dal consiglio. Il confronto con il 2022 mostra un equilibrio sostanzialmente stabile: allora Mediobanca aveva ottenuto il 56%, Caltagirone il 41%.

Il nuovo consiglio d’amministrazione

Il nuovo board sarà composto da 13 membri, con una struttura molto simile a quella uscente. Oltre a Donnet e Sironi, confermati nomi come Clemente Rebecchini, Luisa Torchia, Lorenzo Pellicioli, Antonella Mei-Pochtler, Alessia Falsarone. Tra le novità, Patricia Estany Puig e Fabrizio Palermo, ex ceo di Cdp e attuale ad di Acea.

Il ruolo di Unicredit, Delfin e gli altri azionisti

A sostenere Caltagirone si è aggiunta Unicredit, con il 6,5% su un portafoglio totale del 6,7%. Al suo fianco anche Delfin(9,9%) e probabilmente la Fondazione Crt (quasi 2%). Assente invece dai voti sulle liste Edizione della famiglia Benetton (4,83%), che ha scelto di astenersi, pur votando su altri punti all’ordine del giorno.

Donnet: «Ha vinto Generali»

«Oggi ha vinto Generali», ha dichiarato Donnet. «Il mercato si è espresso chiaramente: questa era la scelta per il futuro della compagnia come public company indipendente». Il presidente Sironi ha parlato di un consiglio «che ha lavorato con rispetto e responsabilità» e che continuerà a farlo anche nel prossimo mandato.

 

Continua a leggere

Economia

Google oltre le attese con cloud, sale a Wall Street

Pubblicato

del

Alphabet archivia il primo trimestre sopra le attese degli analisti e avanza a Wall Street dove, nelle contrattazioni after hours, arriva a guadagnare oltre il 5%. L’utile netto è balzato del 46% a 34,5 miliardi di dollari rispetto ai 23,7 miliardi dello stesso periodo dello scorso anno. I ricavi sono saliti del 12% a 90,23 miliardi.

A spingere le attività core di ricerca e pubblicità di Google, i cui ricavi sono saliti del 10% a 50,7 miliardi, sopra le previsioni del mercato che scommetteva su un aumento più contento dell’8%. La divisione di cloud computing ha sperimentato un aumento dei ricavi del 28% a 12,3 miliardi, confermando la sostenuta domanda per i suoi data center e i servizi di network per il boom dell’IA. “La ricerca ha proseguito una crescita forte”, ha detto l’amministratore delegato Sundar Pichai, mettendo in evidenza la “rapida” crescita del cloud.

Le spese di capitale nei primi tre mesi sono balzate a 17,2 miliardi, leggermente sopra le previsioni di 17,1 miliardi. I risultati trimestrali sono stati accompagnati dall’annuncio di un piano di buyback da 70 miliardi di dollari e un aumento del dividendo trimestrale del 5% a 21 centesimi per azione. Google è il secondo colosso di Big Tech ad annunciare la trimestrale da quando è iniziata la guerra commerciale avviata da Donald Trump. Tesla nei giorni scorsi ha messo in guardia sull’impatto dei dazi sulle sue attività di batterie, che dipendono dai componenti dalla Cina.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto