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Federalismo ed Autonomia, “la faremo entro marzo, non ci sono resistenze del M5s” sostiene Salvini

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“Abbiamo lavorato per sei mesi. Ora per il 15 gennaio è fissata la chiusura del lavoro fra i ministeri, perchè si tratta di un passaggio storico mai fatto prima e quindi è giusto approfondire tecnicamente tutti i temi, alcuni dei quali sono ancora aperti come i Beni culturali con la questione delle Sovrintendenze e la Giustizia di pace. Entro il 15 febbraio sarà pronta la proposta del Governo e ricordo che nel contratto di governo c’è l’applicazione di quanto votato al referendum. A quel punto comincerà la trattativa con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna”. E’ quanto assicura il vicepremier, Matteo Salvini, in un’intervista al Gazzettino a proposito della riforma delle autonomie. Un passo che non slittera’ alle calende greche: “No. Una rivoluzione non si fa in un quarto d’ora. E comunque avevamo detto “entro l’inverno”, che finisce con il 21 marzo. Fra l’altro il mio compleanno è il 9 marzo, per cui sarebbe un bel regalo per me, lombardo che ho votato al referendum”. “Saranno delegate – aggiunge – tutte quelle previste in Costituzione. Chiaro che come Lega siamo a favore della massima autonomia possibile e che nel Movimento 5 Stelle c’è più prudenza, ma vedrete che troveremo l’accordo anche su questo”. Da parte M5s c’e’ resistenza? “Ci sono ministeri più complicati – risponde -, ma non ho mai sentito da nessun ministro nessuna perplessita’. Del resto rispettiamo quanto previsto dalla Costituzione”. Alla domanda su come convincera’ veneti e friulgiuliani che il reddito non e’ un sussidio ai fannulloni, Salvini risponde: “I paletti che abbiamo messo mi permettono di dire che i furbetti rimarranno a bocca asciutta. Oltretutto nel Reddito sono comprese anche altre misure, tipo l’aumento delle pensioni di invalidita’ e minime, che erano nel programma della Lega. In ogni caso dal Veneto alla Puglia un Paese con 5 milioni di poveri, 6 milioni se sommiamo disoccupati e inoccupati, non è in grado di competere, per cui provare a reinserire al lavoro queste persone e’ utile e doveroso. Dopo un anno faremo il tagliando a questo provvedimento. E un’altra garanzia e’ rappresentata dal coinvolgimento delle aziende: e’ un modo intelligente per stimolare le imprese ad assumere”.

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Politica

Sprint sulla giustizia, tempi contingentati al Senato

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La maggioranza ha girato la clessidra dando un’accelerata alla riforma della giustizia per la separazione delle carriere: ancora 30 ore di dibattito, a seguire le dichiarazioni di voto, e poi sarà il momento di dare il via libera al Senato. Il contingentamento dei tempi è stato stabilito dalla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. Le opposizioni hanno protestato: “Un’aberrazione, una forzatura”. L’obiettivo del centrodestra è portare a casa il voto al massimo il 23 luglio: sarà il secondo passaggio parlamentare dei quattro previsti per l’approvazione definitiva della legge, che è di carattere costituzionale. La scorsa settimana, il Senato ha approvato l’articolo 2 della riforma, quello che stabilisce due diversi percorsi: uno per i pubblici ministeri, cioè i magistrati che fanno le indagini, e l’altro, distinto, per i giudici, che decidono sulla colpevolezza o meno degli imputati.

Il vero cuore della riforma è però contenuto negli articoli 3 e 4, in discussione in queste ore nell’Aula del Senato. Con il loro via libera, si compirà un ulteriore passo nella separazione delle carriere, con la nascita di due Consigli superiori della magistratura (Csm). Oggi ce n’è uno: è l’organo di autogoverno di giudici e pubblici ministeri. L’articolo 3 della riforma introduce anche un diverso sistema di scelta dei componenti. Non saranno più eletti da magistrati e Parlamento, ma verranno sorteggiati: per un terzo tra professori universitari e avvocati e per due terzi tra giudici o pubblici ministeri. L’articolo 4 ridefinisce i compiti dei Csm, che riguarderanno “le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni”, ma non più “la giurisdizione disciplinare”, che verrà attribuita ad una Alta Corte composta da quindici fra magistrati ed esperti. “Voi muovete da un pregiudizio negativo – ha detto in Aula il senatore del Pd Andrea Giorgis – Rischiate di indebolire la magistratura, dando seguito al principio secondo il quale chi ha vinto le elezioni non deve incontrare limiti”.

Gli ha risposto il capogruppo di Fdi, Lucio Malan: “Abbiamo fiducia nei magistrati e pensiamo che ognuno di loro abbia le capacità di partecipare al Csm così come ognuno di loro ha il potere di decidere della vita e della libertà degli italiani”. Ma lo scontro di giornata è stato sui tempi: “Stanno riscrivendo la Costituzione non solo in fretta, ma con una continua umiliazione del Parlamento”, ha commentato il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia. Il capogruppo del M5s, Stefano Patuanelli, ha parlato di “aberrazione. Il contingentamento dei tempi è sbagliato e immotivato”. E Peppe De Cristofaro, di Avs: “Siamo all’ennesima forzatura – ha detto – Questa riforma costituzionale è una vera e propria vendetta nei confronti della magistratura”.

Obiezioni respinte dal capogruppo di Fi, Maurizio Gasparri: “Non c’è alcuna compressione dei tempi. Al Senato, l’avvio dell’iter è stato il 21 gennaio, ci sono state 32 sedute di Commissione, 394 interventi, 29 audizioni. Siamo arrivati quindi in Aula il 18 di giugno. Poi ci potrà essere il referendum, che io mi auguro si tenga perché così il popolo italiano potrà dare il suo avallo alla riforma della giustizia”.

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Politica

Ursula ai sovranisti: amici di Putin, non cediamo

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Chi aspettava il primo vero scontro in Aula tra Ursula von der Leyen e l’opposizione dall’inizio di questa legislatura, non è rimasto deluso: a Strasburgo, in una Plenaria insolitamente affollata di lunedì, la presidente della Commissione ha sferrato un attacco diretto a chi ha firmato la mozione per sfiduciarla. “Il testo è stato firmato dagli amici di Putin. Sono movimenti alimentati da cospirazioni e complottismi, che vogliono polarizzare le nostre società inondandole di disinformazione”, ha scandito von der Leyen rievocando il triste ricordo delle bare che sfilavano a Bergamo durante le prime settimane del Covid e puntualizzando che la corsa ai vaccini di Bruxelles fu messa in atto “in tandem” con le 27 capitali Ue. La mozione di sfiducia, firmata da Gheorghe Piperea, europarlamentare dell’estrema destra di Aur che siede tra i banchi dei Conservatori, è partita proprio dallo Pfizergate, per poi allargarsi e trasformarsi in un generale j’accuse.

E neanche la risposta della presidente della Commissione si è limitata al caso dei messaggi che si sarebbe scambiata con il ceo di Pfizer nei convulsi giorni dell’approvvigionamento dei vaccini. “Quello che ha detto l’onorevole Piperea è eclatante, segue il manuale degli estremisti. C’è in corso una caccia alle streghe, ma non cederemo e lavoreremo sempre per l’unità europea”, ha sottolineato von der Leyen che, al suo fianco, aveva la stragrande maggioranza dei commissari. “Lei, presidente, ha agito da sola, fuori dal quadro democratico. L’Europa è governata all’oscuro dei popoli”, ha replicato Fabrice Leggeri a nome dei Patrioti. Il gruppo in cui milita la Lega voterà in blocco la sfiducia alla presidente della Commissione. Ma sarà il solo. Il voto che si terrà giovedì segnerà invece una plastica spaccatura tra i Conservatori. Le delegazioni romena e polacca – ovvero Aur e il Pis di Mateusz Morawiecki – voteranno la sfiducia. Le restanti delegazioni, inclusa quella di Fratelli d’Italia, non hanno ancora comunicato ufficialmente cosa faranno. Il co-presidente Nicola Procaccini, tuttavia, ha sottolineato in Aula che non sosterrà la sfiducia. Ha parlato a titolo personale ma, di fatto, ha anticipato la posizione degli eurodeputati italiani.

E il presidente del Ppe Manfred Weber, che sulla spaccatura di Ecr conta da tempo, non a caso è intervenuto a gamba tesa in Aula: “So che l’AfD tedesca e l’Aur rumena sono burattini di Putin. Ma perché il PiS polacco si unisce ora a questa alleanza filo-russa?”. Giovedì la sfiducia non passerà. Neanche la Sinistra, ad eccezione del M5s, voterà a favore. “Non siamo né con con von der Leyen né con l’estrema destra”, hanno spiegato da The Left. Verdi, Renew e Socialisti non si uniranno, chiaramente, all’iniziativa dei sovranisti. Ma per tutti e tre i gruppi la Plenaria di luglio deve essere uno spartiacque dove von der Leyen è chiamata comunicare “un cambio di passo” su dossier come la Coesione o le politiche sociali. Fonti socialisti hanno spiegato di valutare l’astensione. “Il nostro sostegno non è garantito, ci aspettiamo segnali nelle prossime 48 ore”, hanno sottolineato. Nel mirino c’è anche Weber. “Quanto sta accadendo segna il fallimento della linea ambigua del Ppe, che strizza l’occhio di continuo alla destra”, ha detto il capodelegazione del Pd Nicola Zingaretti.

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Esteri

Elisabetta Belloni lascia il gabinetto di von der Leyen: l’addio confermato da Bruxelles

La Commissione Europea conferma l’uscita di Elisabetta Belloni dal gabinetto della presidente Ursula von der Leyen, dove ricopriva il ruolo di consigliere diplomatico.

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Possiamo confermare che Elisabetta Belloni lascia il gabinetto della presidente Ursula von der Leyen”. Così un portavoce della Commissione Europea ha ufficializzato l’uscita di Belloni, ex direttrice del Dis, dal team ristretto della presidente.

Una consulenza diplomatica di altissimo profilo

Belloni, nominata consigliere diplomatico (Chief Diplomatic Adviser) alla fine di gennaio 2025, aveva riportato in Europa la sua vasta esperienza nella diplomazia e nei servizi di sicurezza italiani. La sua presenza era stata accolta con favore, vista la sensibilità strategica nel contesto geopolitico contemporaneo.

Conferma e tempistiche

L’uscita, inizialmente segnalata da Repubblica e per prima riportata da ANSA, è stata confermata ufficialmente oggi da Bruxelles. Stando a quanto riportato, la diplomatica lascerà l’incarico dopo l’estate, con rientro in Italia previsto a settembre.

Motivazioni e scenari futuri

Secondo quanto emerge, l’addio sarebbe motivato da ragioni personali e non legate a tensioni istituzionali. Non sono al momento state fornite precise indicazioni sui suoi futuri incarichi, anche se fonti parlano di possibili coinvolgimenti nei vertici europei con Cina e Giappone.

Il momento politico

La notizia arriva in un periodo cruciale per la Commissione, alle prese con l’avvio del secondo mandato di von der Leyen e la composizione del nuovo gabinetto. L’uscita di una figura di rilievo come Belloni acquista quindi un particolare rilievo politico-strategico.

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