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La Romania presidente di turno Ue, Juncker inquieto: governo di Bucarest non capace

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Si avvicina l’ultimo di giro di boa della legislatura europea, ma il 2018 arriva alla fine con pochi dei dossier chiave completati. L’anno nuovo si preannuncia quindi ancora piu’ arduo, tra il tentativo di chiudere i cantieri aperti – dalla Brexit alla revisione del sistema d’asilo per i migranti sino alla riforma dell’eurozona – e la prospettiva di elezioni europee e una nuova Commissione dove il peso delle forze anti-Ue rendera’ ancora piu’ difficile raggiungere intese. Per di più, a capitanare i lavori nei primi sei cruciali mesi dell’anno – gli ultimi a disposizione per far arrivare in porto le misure in discussione – ci sara’ la Romania, di cui lo stesso presidente dell’esecutivo comunitario Jean-Claude Juncker ha messo in dubbio la capacita’ di saper gestire la situazione, date le forti tensioni interne al governo di Bucarest. La Romania e’ infatti “tecnicamente ben preparata” ma “il suo governo non ha ancora pienamente compreso cosa significhi presiedere i Paesi dell’Ue”, perchè per gestire negoziati a 28 nonche’ la fase finale della Brexit occorre “la ferma volonta’ di mettere le proprie preoccupazioni in secondo piano, e ho qualche dubbio su questo”, ha ammonito Juncker alla vigilia del passaggio di consegne tra la presidenza austriaca e quella romena. A pesare e’ anche il fatto che la Commissione, ritenuta dallo stesso ex premier lussemburghese come l’esecutivo “dell’ultima chance”, entra nei suoi ultimi 10 mesi di mandato.

“Una cosa e’ certa: quando partiro’ il primo novembre 2019 l’Europa non crollera’”, ha voluto rassicurare Juncker, “sono fermamente convinto che l’Europa abbia un avvenire”. Nei quattro anni trascorsi, pero’, ha dimostrato tutti i suoi limiti sui temi che agitano l’opinione pubblica. Nonostante i grandissimi sforzi per imporre quote obbligatorie di accoglienza dei rifugiati, rifondare il regolamento di Dublino per la ripartizione piu’ equa di chi chiede asilo e creare una polizia delle frontiere Ue trasformando Frontex, Bruxelles si e’ scontrata con “l’ipocrisia” degli Stati membri, piu’ divisi che mai e bloccati dai Visegrad. Non e’ andata meglio con la riforma dell’eurozona e il completamento dell’Unione bancaria: al vertice Ue di dicembre e’ stato partorito un topolino, con un bilancio ‘a meta” per l’eurozona, senza mutualizzazione dei rischi. A bloccare la visione piu’ avanzata del presidente francese Emmanuel Macron e sostenuta dalla Commissione, altre divisioni: non tanto con la Germania, quanto con l’Olanda e i Paesi della ‘Lega Anseatica’. Ad essere meglio avanzati sono invece dossier meno mediatici eppure piu’ concreti per la vita dei cittadini. Per esempio il pacchetto sul digitale, con l’abolizione dei costi per il roaming, la fine del geoblocking e l’accesso agli abbonamenti tv online quando si viaggia nell’Ue. Poi gli oltre 370 miliardi di euro di investimenti del Piano Juncker, di cui l’Italia e’ stata tra i principali beneficiari, ma anche il pacchetto su clima, energia e mobilita’ a zero emissioni, con piu’ potere per i consumatori e taglio della Co2. Sul fronte sociale sono poi in dirittura d’arrivo lo stop al dumping dei camionisti dell’Est, la riforma dei congedi parentali e dei diritti per gli atipici. Nei primi mesi del 2019 si tentera’ dunque un rush finale – da Dublino e Frontex all’eurozona ma anche il bilancio Ue 2021-2027, oltre all’incognita Brexit – che sfocera’, a fine maggio, nelle europee. Con l’invito di Juncker a non lasciare dominare la campagna elettorale dalla questione migranti e a non inseguire i populisti sul loro terreno. Ma con la nuova legislatura e le nuove nomine, si aprira’ in ogni caso un altro capitolo per l’Ue.

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‘Mosca aveva previsto il blitz ucraino nel Kursk’

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Nessun effetto sorpresa: la leadership militare russa aveva previsto l’incursione ucraina nel Kursk e da mesi stava elaborando piani per impedirla. Ciò nonostante, le forze di Mosca si sono fatte trovare impreparate, mostrando un imbarazzante disordine tra i ranghi di Vladimir Putin. A delineare questo scenario sono una serie di documenti russi, visionati in esclusiva dal Guardian, che l’esercito ucraino afferma di aver sequestrato dopo che le forze nemiche hanno abbandonato la regione attaccata ad agosto.

Carte che rivelano anche le preoccupazioni russe sul morale tra i ranghi di Kursk, aumentate dopo il suicidio di un soldato al fronte che si trovava in uno “stato prolungato di depressione a causa del suo servizio nell’esercito russo”. Il Guardian afferma di non aver potuto verificare in modo indipendente l’autenticità dei documenti, sebbene portino i tratti distintivi delle comunicazioni ufficiali russe. Alcuni sono ordini stampati, altri registri scritti a mano che vanno da fine 2023 a sole sei settimane prima che Kiev lanciasse la sua incursione il 6 agosto.

Se l’incursione dell’Ucraina a Kursk sembra aver colto di sorpresa i partner occidentali di Kiev e molti membri dell’élite ucraina, quei documenti contengono invece mesi di avvertimenti su una possibile incursione nell’area e un tentativo di occupare Sudzha, cittadina finita poi sotto controllo ucraino. Un documento del 4 gennaio parlava del “potenziale di una svolta al confine di stato” da parte di gruppi armati ucraini e ordinava un addestramento più intenso per prepararsi a respingere qualsiasi attacco. Il 19 febbraio, i comandanti di unità furono avvertiti dei piani ucraini per “una rapida spinta dalla regione di Sumy nel territorio russo, fino a una profondità di 80 km, per stabilire un ‘corridoio’ prima dell’arrivo delle principali unità dell’esercito ucraino”. A metà marzo, alle unità al confine fu ordinato di rafforzare le linee difensive.

A metà giugno, ci fu un avvertimento più specifico sui piani ucraini “con l’obiettivo di prendere il controllo di Sudzha”. C’era anche la previsione che l’Ucraina avrebbe tentato di distruggere un ponte sul fiume Seym, cosa poi effettivamente accaduta. I documenti forniscono anche un’idea delle tattiche russe, parlando della necessità di creare trincee e ‘postazioni esca’ per confondere i droni da ricognizione ucraini. E celati sotto il linguaggio burocratico e militaresco, emergono segni di gravi problemi di morale al fronte: “L’analisi della situazione attuale mostra che la questione dei militari che muoiono a causa di suicidi rimane tesa”, si legge in una voce in merito a un episodio che risale al 20 gennaio, quando un soldato si è sparato volontariamente all’addome.

“L’indagine ha stabilito che la causa del suicidio è stata un crollo nervoso” per una “depressione dovuta al suo servizio nell’esercito”, si legge in un rapporto manoscritto sulla vicenda. Per prevenire ulteriori episodi, i comandanti sono stati incaricati di identificare i soldati “mentalmente impreparati” e trasferirli in strutture mediche. E garantire che i soldati leggano quotidianamente i media statali russi per mantenere le loro “condizioni psicologiche”.

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Yossi Cohen, il volto pubblico del Mossad e le sue operazioni segrete

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Yossi Cohen, con il suo carisma, la parlantina sciolta e l’aspetto impeccabile, è diventato il capo del Mossad più noto e riconosciuto nella storia dell’agenzia israeliana. Un’eccezione, se si pensa che fino al 1996 il nome del direttore del Mossad non era nemmeno di pubblico dominio e veniva indicato solo con un’iniziale. Al comando dell’agenzia dal 2016 al 2021, Cohen ha trasformato la spavalderia in un tratto distintivo degli agenti, spingendoli a compiere missioni audaci che hanno riscritto il modus operandi dell’intelligence israeliana.

Uno dei successi maggiori del suo mandato è stato l’assassinio di Mohsen Fakhrizadeh, fisico nucleare iraniano e mente dietro il programma atomico degli ayatollah. L’operazione, meticolosa e perfettamente eseguita, ha contribuito a rallentare lo sviluppo nucleare iraniano. A questo si aggiunge il clamoroso furto di un intero archivio segreto iraniano: in meno di 6 ore e mezza, un’unità del Mossad ha trafugato 55 mila documenti e 183 CD-ROM contenenti informazioni cruciali sul programma nucleare di Teheran. La squadra è riuscita a scappare verso il confine con quasi mezza tonnellata di materiale riservato, in un’operazione ricostruita nei minimi dettagli dal New York Times.

Le capacità di Cohen si sono dimostrate determinanti anche nel mantenere il Mossad al di fuori degli scandali che avevano macchiato la reputazione dell’agenzia. Prima del suo arrivo, il fallimento di una missione del 2010 a Dubai, che aveva compromesso undici agenti, aveva gettato un’ombra sulla competenza del Mossad. Con Cohen alla guida, queste imbarazzanti battute d’arresto sono state evitate, e l’agenzia ha continuato a colpire con successo i suoi obiettivi più delicati.

Il Mossad, noto per le sue operazioni internazionali, è stato il responsabile della cattura di Adolf Eichmann nel 1960 e della caccia agli autori del massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972. Negli anni successivi, l’agenzia ha continuato a eliminare figure chiave come Ali Hassan Salameh di Settembre Nero e più recentemente Fuad Shukr, comandante militare di Hezbollah. Anche se il Mossad è rimasto relativamente fuori dalle polemiche legate all’eccidio del 7 ottobre nel Sud di Israele, è tra le istituzioni che godono ancora della fiducia degli israeliani, in parte grazie alle operazioni condotte sotto la guida di Cohen e del suo successore, David Barnea.

Yossi Cohen ha saputo trasformare il Mossad in un’agenzia che opera non solo con precisione, ma anche con visibilità, malgrado il paradosso di un capo superspia che ama le telecamere tanto quanto la discrezione.

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Iran, Israele subirà risposta distruttiva dalla resistenza

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Israele subirà “una risposta distruttiva da parte del fronte della resistenza” dopo le esplosioni dei dispositivi in Libano che hanno portato alla morte di almeno 30 persone e al ferimento di migliaia. Lo ha scritto il comandante delle Guardie della rivoluzione iraniana, Hossein Salami, in una lettera al leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. “Tali atti terroristici, indubbiamente dovuti alla disperazione e ai fallimenti del regime sionista, incontreranno presto una risposta schiacciante dal fronte della resistenza e assisteremo alla completa distruzione di questo regime crudele e criminale”, si legge nella lettera, riferisce Irna.

“Il nemico, incapace di un confronto faccia a faccia, commette crimini dietro la linea di frontiera e amplifica il risultato del crimine per ritardarne la sua fine e nascondere al mondo lo scandalo delle sue successive sconfitte”, scrive Salami nella lettera a Nasrallah, attribuendo ad Israele la responsabilità delle esplosioni.

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