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Economia

Ex Ilva: allarme sindacati, stop a 145 imprese d’appalto

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Acciaierie d’Italia sospende l’attività di 145 ditte dell’appalto e chiede di liberare i cantieri entro lunedì. Una decisione inattesa che ha scatenato l’ira dei sindacati e delle istituzioni locali. “Fossi nel premier Giorgia Meloni – ha tuonato il sindaco e presidente della Provincia di Taranto Rinaldo Melucci – farei quello che nessuno ha avuto sinora il coraggio di fare, caccerei subito ArcelorMittal a pedate, con la stessa eleganza con cui loro hanno trattato tutti i precedenti Governi della Repubblica dal 2017 ad oggi”.

Nella comunicazione alle ditte, Acciaierie scrive che “sopraggiunte e superiori circostanze ci inducono a comunicarvi, con particolare rammarico, la necessità di sospendere le attività oggetto degli ordini, nella rispettiva interezza, prevedibilmente fino al 16 gennaio 2023, oppure fino all’anteriore data prevista dagli ordini quale termine di consegna”. Riguardo “alla ripresa delle attività, seguiranno in ogni caso – afferma l’ex Ilva – nostre comunicazioni. Confermiamo l’interesse alla prosecuzione delle attività e delle opere appaltate e a tale riguardo sarà nostra cura comunicarvi ogni utile aggiornamento non appena possibile”. Per il primo cittadino di Taranto, “la verità è semplicemente che Acciaierie d’Italia, purtroppo ancora condotta da Arcelor Mittal, continua a infischiarsene di Taranto e dell’Italia, a dispetto del nome del sodalizio. Ormai la si potrebbe considerare alla stregua di una permanente estorsione di Stato”.

Se Acciaierie d’Italia “e l’Ad Lucia Morselli – osservano il segretario nazionale Fim Cisl, Valerio D’Alò, e il segretario generale aggiunto della Fim Cisl Taranto-Brindisi, Biagio Prisciano – pensano di utilizzare questa situazione per premere sul governo e cercare di ottenere le risorse del miliardo di euro del Decreto Aiuti, hanno sbagliato i conti e vedranno l’opposizione del sindacato”. L’azienda “improvvisamente – sostengono Gianni Venturi, responsabile nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, e Giuseppe Romano, segretario generale Fiom-Cgil di Taranto – scopre di essere in difficoltà nonostante le rassicurazioni dell’Ad di Arcelor Mittal, di circa un mese fa, in cui ci comunicava che nonostante le piccole riduzioni della capacità produttiva dovute all’emergenza gas, lo stabilimento della ex Ilva di Taranto era molto forte, in ottima salute.

È del tutto evidente che tale scelta, avvenuta con le solite modalità arroganti della multinazionale, è l’ennesima provocazione da parte dell’attuale management aziendale”. “Lunedì 14 novembre – ricorda il segretario generale Uilm di Taranto Davide Sperti – avevamo già organizzato con tutte le altre sigle sindacali, e con i parlamentari ionici, un incontro per fare il punto della situazione. Nella stessa giornata proclameremo azioni di protesta immediate”.

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L’agroalimentare punta su export, obiettivo 100 miliardi

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In tempo di guerre e dazi una “fiera internazionale dell’agroalimentare è un segno di apertura in una fase di chiusura dello scacchiere internazionale”: il presidente di Fiere di Parma Franco Mosconi ha presentato così Tuttofood, in programma da oggi all’8 maggio su una superficie di 150mila metri quadrati nei padiglioni di Fiera Milano Rho con 4.200 espositori, di cui un quarto stranieri, provenienti da 70 Paesi, tremila top buyer internazionali di cento nazionalità diverse e 90 mila visitatori attesi. La manifestazione è il frutto dell’alleanza fra le Fiere di Parma, a cui fa capo l’organizzazione, Fiera Milano e Koelnmesse, la fiera di Colonia dove ogni due anni si tiene una delle principali fiere internazionali del settore Anuga, che si svolge negli anni dispari.

E proprio per alternarsi con Anuga, Tuttofood tornerà anche il prossimo anno e poi si svolgerà sempre negli anni pari. In questo modo sarà alternata anche all’altra grande fiera dell’agroalimentare targata Parma, ovvero Cibus, che sarà una vetrina legata al made in Italy. “Si potrebbe dire che Cibus è l’Italia ma Tuttofood è il mondo” ha sintetizzato l’ad di Fiere di Parma Antonio Cellie, spiegando che l’intenzione è di arrivare ad avere a Milano una metà di espositori stranieri entro il 2028. Di una “vetrina strategica” ha parlato il presidente dell’Emilia-Romagna Michele de Pascale, realizzata facendo sistema e “superando campanilismi”. Una vetrina, ha sottolineato l’assessore lombardo all’Agricoltura Alessandro Beduschi, che potrà sfruttare anche il volano delle Olimpiadi di Milano Cortina. Di una “grande visione industriale per il Paese” parla il presidente di Fiera Milano Carlo Bonomi, ex presidente di Confindustria. Insomma un “successo di sistema che si organizza valorizzando le potenzialità di ciascuno” ha sintetizzato il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.

Si tratta di un ulteriore tassello per arrivare a quello che, secondo il presidente Ice Matteo Zoppas, è un obiettivo possibile, ovvero passare dai 70 miliardi di export del settore dello scorso anno a 100 miliardi “in breve tempo”. Certo non manca la preoccupazione per i dazi da parte degli espositori, come ha ammesso Lollobrigida. “I nostri imprenditori sono preoccupati, e ci mancherebbe altro – ha osservato – Una nazione esportatrice è preoccupata da ogni chiusura di mercato”. Però, ha avvisato, la soluzione non può essere “una guerra commerciale con gli Stati Uniti”, non possono essere dazi e controdazi perché “gli Stati Uniti sono un nostro partner indispensabile”. “Il dialogo, non lo scontro è la risposta per garantire il nostro modello commerciale” ha aggiunto, rivendicando il ruolo della premier Giorgia Meloni per favorire la trattativa fra Usa e Unione Europea. A parte questo, resta però un altro grande obiettivo: l’apertura a nuovi mercati. “La sfida di aprire mercati è nella testa di ogni imprenditore ogni mattina e il nostro governo dall’inizio – ha concluso – ha collocato questo fra i suoi obiettivi strategici” .

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Economia

Otb di Renzo Rosso valuta di aumentare i prezzi in Usa

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Il gruppo Otb di Renzo Rosso (foto Imagoeconomica in evidenza) sta considerando di alzare i prezzi dei suoi marchi, da Diesel a Jil Sander, Maison Margiela e Marni, negli Stati Uniti se saranno confermati i dazi di Donald Trump che rischiano di comprimere i margini, già messi a dura prova dal rallentamento degli acquisti. L’idea di quotarsi in Borsa in ogni caso resta d’attualità ma senza fretta. Dopo aver tentato di aggiungere Versace fra i suoi brand il gruppo da 1,7 miliardi di ricavi, fondato e presieduto da Rosso, non smette poi di pensare alle acquisizioni in Italia e all’estero, ma tiene le carte coperte.

Ha da fare i conti con una situazione che non mostra segnali di ripresa da 18 mesi. Non tanto tuttavia da impedire di continuare a investire in sostenibilità e a finanziare le attività della Otb Foundation, alla quale è destinata una percentuale dell’utile operativo. Anche se quest’ultimo cala sono garantite le risorse per permettere di continuare ad appoggiare come nel 2024 380 progetti con un impatto sulla vita 380.000 persone nel mondo. Una panoramica su questi temi è stata fatta alla presentazione del bilancio di sostenibilità di Otb, che l’anno scorso ha tagliato le emissioni totali del 31% rispetto al 2023 e ha portato al 100% l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili in Europa e Nord America nei siti gestiti direttamente. I materiali certificati, a partire dal cotone, sono inoltre arrivati al 24% degli acquisti effettuati.

“La sostenibilità per noi è uno state of mind” ha spiegato Rosso sulla quale punta a coinvolgere i 7.000 dipendenti, pur consapevole che “la sostenibilità non costa poco”. Nel frattempo c’è da capire cosa fare coi dazi. “Stiamo valutando negli Usa un possibile incremento dei prezzi dell’8/9% per mantenere i margini”, ha indicato Ubaldo Minelli, amministratore delegato di Otb, parlando di “un quadro normativo ancora in divenire”: “abbiamo fatto qualche simulazione per quello che sarebbe l’impatto per il nostro gruppo in termini di oneri se dopo la moratoria di 3 mesi fossero confermati i dazi. Stiamo valutando brand per brand le possibili azioni da intraprendere per ridurre l’impatto”. Sull’idea di approdare a Piazza Affari, Rosso ha detto che “noi siamo qua prontissimi, quando i mercati saranno pronti noi lo siamo già. Penso sia giusto per la trasparenza, la successione e per avere azienda ancora più solida”. “Comunque non avere debiti, e per il signor Rosso non avere soci, dà una grande libertà anche nella scelta dei tempi” ha sottolineato Minelli.

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Bolletta del gas ad aprile più leggera per i vulnerabili

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Bolletta del gas più leggera ad aprile per i clienti vulnerabili e portafoglio dei consumatori un po’ più pieno anche per il nuovo calo dei prezzi del petrolio e dei carburanti dopo che l’Opec+ ha deciso per il secondo mese di fila un aumento della produzione a giugno. Nel consueto aggiornamento mensile l’Arera ha spiegato che con le quotazioni all’ingrosso in ulteriore ribasso rispetto a marzo, il prezzo della materia prima gas è stato di 37,60 euro a megawattora il mese scorso così quello di riferimento per la famiglia tipo, che cioè consuma in media 1.100 metri cubi annui, è stato di 107,92 centesimi per metro cubo, in diminuzione dell’8,1% su marzo. Per la cronaca, oggi il gas ad Amsterdam ha chiuso sotto i 33 euro a Mwh.

Per i clienti vulnerabili, il risparmio all’anno, calcolano i consumatori di Codacons e Unc, è di 105 euro a prezzi costanti per una spesa di 1.187 euro che sommata ai 611 euro all’anno per l’elettricità porta ad una ‘stangata’ di 1.798 euro. Un ribasso ‘scontato’ quello di aprile dice il vice presidente dell’Unione nazionale consumatori, Marco Vignola, spiegando che “con la fine della stagione termica cessano come sempre le speculazioni sul gas”. Rispetto allo stesso periodo del 2021, lamenta però il Codacons, cioè prima dello scoppio dell’emergenza energia, il prezzo del gas risulta ad aprile più alto del 47%, quindi pari a una maggiore spesa di 379 euro a nucleo rispetto a 4 anni.

Vignola chiede cosa aspetta l’Europa a “eliminare il TTf di Amsterdam e il sistema del prezzo marginale che consentono questi extraprofitti vergognosi e di arricchirsi sulle spalle delle famiglie. Sono infatti le cause di questo sistema malato”. L’Italia da parte sua potrebbe ridefinire, aggiunge, “la formazione del Pun (Prezzo unico nazionale) e consentire ad Acquirente unico di riprendere a fare gli acquisti a lungo termine”. Sul fronte del petrolio, il prezzo è sceso fino a quasi il 4% per il West Texas Intermediate (Wti) per ridurre poi la perdita a -2,9% attestandosi a 56,6 dollari al barile. Il contratto sul Brent per luglio è invece arretrato fino al 3,5% per recuperare e vedere un -2,6% a 59,7 dollari al barile. Ribassi che sono la conseguenza della decisione degli otto produttori del cartello guidato dall’Arabia Saudita che hanno stabilito sabato scorso di aumentare a giugno la produzione di altri 411.000 barili al giorno, in una fase nella quale i prezzi sono già ai minimi da oltre tre anni. Anche il costo della benzina scende: il prezzo medio nazionale in modalità self è sceso a 1,704 euro al litro mentre per il diesel self la quotazione è scesa a 1,598 euro al litro.

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