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Ecco i giovani ricercatori napoletani che lavorano ad una soluzione farmacologica e/o vaccinale al Coronavirus

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A Napoli c’è un gruppo di ricercatori al lavoro per trovare una soluzione farmacologica e/o vaccinale al Coronavirus. Sono giovani ricercatori del Sud che lavorano per trovare nuove terapie per fermare il Coronavirus. E lo fanno nei laboratori dell’IBB del CNR di Napoli dove si progettano soluzioni vaccinali e farmacologiche a molte malattie.

Identificare i responsabili molecolari dell’infettività e della patogenicità del nuovo Coronavirus, capire con quali meccanismi agiscono e progettare quindi una possibile risposta vaccinale o farmacologica. È questo il lavoro che si sta svolgendo a ritmo serrato da oltre un mese nei laboratori dell’IBB del CNR, l’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini del CNR con sede a Napoli, diretto da Marcello Mancini, che ha tra le sue missioni principali lo sviluppo di biomolecole con azione diagnostica e terapeutica per la salute dell’uomo.
Da quando il 30 Gennaio scorso l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato l’emergenza internazionale il gruppo di ricerca guidato da Rita Berisio, impegnata da oltre vent’anni nello studio dei meccanismi molecolari alla base di malattie infettive, si è messo al lavoro per comprendere i meccanismi di infezione del virus, con l’obiettivo di sviluppare nuovi farmaci per inibire o contenere l’infezione provocata dal Covid-19.
“La pubblicazione della sequenza genetica del nuovo Coronavirus ha mobilitato diversi gruppi di ricerca nel mondo per comprendere i meccanismi di infezione del virus”, spiega Rita Berisio, che ha lavorato con scienziati di fama mondiale, come Ada Yonath, Nobel per la Chimica 2009. “Il Covid-19 è un virus molto infettivo se confrontato con altri Coronavirus e per questo è necessario tenere alta l’allerta, basti pensare che in poco più di due mesi ci sono stati, ad oggi, quasi centomila contagi nel mondo – evidenzia la Berisio – e per il nostro gruppo di lavoro  il primo obiettivo di questa ricerca è quello di identificare i responsabili molecolari della infettività ed il loro meccanismo di azione”.
All’IBB il lavoro di ricerca sul nuovo Coronavirus viene svolto da un’equipe internazionale, molto giovane, ma già con una lunga esperienza di ricerca sullo sviluppo di vaccini contro malattie respiratorie, composta da sei ricercatori che combinano competenze di chimica, biochimica, biofisica e biologia molecolare. Tutti i giorni lavorano con Rita Berisio nei laboratori napoletani dell’IBB di via Mezzocannone, due biotecnologi (la beneventana Maria Romano e Flavia Squeglia, originaria di Latina), un chimico (la salernitana Alessia Ruggiero) e un biochimico (il portoghese Miguel Moreira che ha scelto l’IBB di Napoli per il dottorato internazionale di ricerca “Marie Curie). “La complessità del contesto attuale ha ridisegnato la geografia della ricerca favorendo lo sviluppo di competenze molto specialistiche e di nuove discipline – spiega il direttore dell’IBB Marcello Mancini – ed uno dei grandi meriti del CNR è quello di aver rotto una organizzazione del sapere rigidamente disciplinare ed aver individuato un modello innovativo di studio che favorisce la multidisciplinarietà e che rappresenta un superamento del sapere cristallizzato in discipline. Come avviene in particolare all’IBB dove ricercatori che studiano le biomolecole da un punto di vista strutturale e funzionale collaborano con esperti che studiano modelli cellulari ed animali di malattie umane e ricercatori clinici che effettuano sperimentazioni nell’uomo”.
Negli studi sul Coronavirus i ricercatori dell’IBB del CNR stanno cercando di capire in particolare per quale motivo il Covid-19 risulta più infettivo di altri virus similari con l’obiettivo di bloccare questa sua caratteristica,  che è il vero grande problema del rischio pandemia. “I sintomi del Coronavirus sono abbastanza blandi, a meno di casi gravi – spiegano i ricercatori – e quindi succede che molti, se si infettano, non presentano sintomi forti, neanche si accorgono di avere il Covid-19 e lo trasmettono ad altri, molto spesso inconsapevolmente”.
Per trovare una soluzione, come spiega Rita Berisio, “attualmente la comunità scientifica procede su due strade parallele: una è quella di effettuare test clinici per sperimentare se farmaci che funzionano per altri virus sortiscono un effetto terapeutico anche contro il Covid-19, l’altra quella di studiare i meccanismi cruciali per il ciclo vitale del virus o per la sua infettività e cercare di bloccarli”. All’IBB del CNR si lavora alla seconda strategia. In particolare dagli studi condotti da un gruppo di ricercatori della Texas University, pubblicati sulla rivista Science, è emerso che come il virus della SARS, il nuovo Coronavirus usa una proteina, detta “spike”, per ancorarsi a un recettore umano detto ACE2, ma lo fa con avidità circa 10-20 volte maggiore. “Uno dei nostri progetti in corso – conclude Rita Berisio – è volto allo sviluppo di molecole che inibiscano l’interazione della proteina “spike” con il recettore umano, allo scopo di limitare al massimo la facile trasmissione di questo virus, che è il vero grande problema della sua elevata diffusione”.

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Covid, ancora calo dei casi e dei decessi

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Continua il calo dei nuovi casi di Covid in Italia e sono in netta diminuzione i decessi. Nella settimana compresa tra il 18 e il 24 aprile 2024 – secondo il bollettino del ministero della Salute – si registrano 528 nuovi casi positivi con una variazione di -1,9% rispetto alla settimana precedente (538); 7 i deceduti con una variazione di -22,2% rispetto ai 9 della settimana precedente. Sono stati 100.622 i tamponi effettuati con una variazione di -6,4% rispetto alla settimana precedente (107.539) mentre il tasso di positività è invariato e si ferma allo 0,5%. Il tasso di occupazione in area medica al 24 aprile è pari allo 0,9% (570 ricoverati), rispetto all’1,1% (700 ricoverati) del 17 aprile. Il tasso di occupazione in terapia intensiva al 24 aprile è pari allo 0,2% (19 ricoverati), rispetto allo 0,3% (22 ricoverati) del 17 aprile.

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Influenza e Covid, attesa crescita con ritorno a scuola

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La riapertura delle scuole dopo le festività natalizie potrebbe dare un’ulteriore spinta alle infezioni respiratorie: influenza, soprattutto, ma anche Covid-19 e virus respiratorio sinciziale. È il timore espresso da più parti e confermato anche dalla Società Italiana di Pediatria. “Con il rientro dei bambini a scuola ci aspettiamo un aumento dei casi di influenza anche se – c’è da dire – durante il periodo delle vacanze non si è osservato un calo dei contagi, probabilmente per le occasioni di vita sociale durante le festività.

Inoltre, siamo nel momento del clou del virus respiratorio sinciziale”, dice Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che sottolinea che “è importante che i bambini che hanno sintomi influenzali rimangano a casa”. “Ho scritto al ministro della Salute con l’obiettivo di accedere un faro su una malattia che provoca, soprattutto tra i neonati, gravi patologie, anche mortali: la bronchiolite.

La Commissione europea ha autorizzato il vaccino Nirsevimab che ha già passato severissime e rigidissime misure di controllo da parte di Ema. Questo farmaco potrebbe essere uno strumento fondamentale per la lotta alla bronchiolite ed è arrivato il momento che venga adottato anche nel nostro Paese, quanto prima”, ha intanto fatto sapere Orfeo Mazzella, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Commissione Affari Sociali al Senato, citando il caso di una neonata di tre mese morta a fine anno probabilmente proprio a causa di questo virus.

Intanto nelle ultime due settimane, in Italia, l’influenza e le sindromi simil-influenzali hanno fatto registrare numeri da record: due milioni di persone messe a letto solo nelle ultime due settimane dell’anno, con tassi elevati soprattutto nei bambini più piccoli “che sono quelli nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione”, spiega Agostiniani. Covid-19, al contrario, nell’ultima rilevazione del ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità ha mostrato un lieve rallentamento.

Tuttavia, nel mondo sembra che i contagi abbiano ripreso a salire: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime 4 settimane ci sono stati 850mila casi di Covid nel mondo, con un aumento del 52% rispetto al mese precedente. I numeri reali, tuttavia, potrebbero essere molto più alti.

“Sappiamo che in tutto il mondo le segnalazioni sono diminuite, i centri di sorveglianza sono diminuiti, i centri di vaccinazione sono stati smantellati o chiusi. Questo fornisce un quadro incompleto della situazione e purtroppo dobbiamo aspettarci più casi di quelli che abbiamo dichiarato ufficialmente”, ha detto Christian Lindmeier dell’Oms.

Che la situazione stia peggiorando si intuisce anche dai ricoveri: tra il 13 novembre e il 10 dicembre, nei Paesi che segnalano sistematicamente i dati all’Oms e che sono ormai meno di 60, sono stati registrati più di 118 mila nuovi ricoveri per Covid e più di 1.600 nuovi ricoveri in terapia intensiva, con un aumento rispettivamente del 23% e del 51%.

La ripresa dei contagi potrebbe essere legata alla nuova JN.1 del virus Sars-CoV-2. I dati che arrivano dagli Stati Uniti sembrano confermarlo. Secondo le ultime stime dei Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) nell’ultima settimana JN.1 è arrivata al 61,6% di prevalenza. JN.1, che ormai è dominante anche in Italia, discende dalla variante BA.2.86 (Pirola) ed è stata isolata proprio negli Stati Uniti lo scorso settembre. Per i Cdc “al momento non vi è alcuna indicazione di un aumento della gravità da JN.1”. Tuttavia, è possibile che “questa variante possa determinare un aumento delle infezioni”.

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Covid, meno ricoveri in ospedale e meno contagi

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L’indice di trasmissibilità per il Covid-19 basato sui casi con ricovero ospedaliero al 26 dicembre si conferma sotto soglia epidemica e sostanzialmente stabile con 0,75; in leggera diminuzione anche i ricoveri sia nei reparti che i terapia intensiva. Anche l’incidenza di casi Covid-19 diagnosticati e segnalati nel periodo 28 dicembre 2023-3 gennaio 2024 è in lieve diminuzione pari a 66 casi per 100.000 abitanti rispetto ai 70 della settimana precedente. Il numero di nuovi contagi segnalati è 38.736 contro i 40.988 della settimana precedente e i 60.556 della settimana ancora prima. Questo quanto emerge dall’ultimo monitoraggio del ministero della Salute-Istituto Superiore di Sanità, in cui viene spiegato che, per l’Rt, i valori potrebbero essere sottostimati “a causa di un ritardo di notifica dei ricoveri durante i giorni festivi” e per l’incidenza “in parte per una ridotta frequenza di diagnosi effettuate durante i giorni festivi”.

Per le ospedalizzazioni, al 3 gennaio l’occupazione dei posti letto in area medica risulta pari al 10,1% (6.320 ricoverati) rispetto all’11,0% rilevato al 27 dicembre 2023. In riduzione anche l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva, pari a 2,8% (246 ricoverati), rispetto alla settimana precedente (3,2% al 27 dicembre 2023). I tassi di ospedalizzazione e mortalità, viene rilevato nel monitoraggio, aumentano con l’età, presentando i valori più elevati nella fascia d’età 90+ anni; anche il tasso di ricovero in terapia intensiva aumenta con l’età. L’incidenza settimanale dei casi diagnosticati e segnalati risulta in diminuzione nella maggior parte delle Regioni e Province.

L’incidenza più elevata è stata riportata nella Regione Lazio (128 casi per 100.000 abitanti) e la più bassa in Sicilia (6 casi per 100.000 abitanti). Le reinfezioni sono al 43% circa, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente. Per quanto riguarda le varianti, alla data della più recente indagine rapida condotta dall’11 al 17 dicembre 2023, JN.1 (discendente di BA.2.86) è predominante, con una prevalenza nazionale stimata pari a 38,1%. Si conferma, inoltre, se pur con valori di prevalenza in diminuzione, la co-circolazione di ceppi virali ricombinanti riconducibili a XBB, ed in particolare alla variante d’interesse EG.5 (prevalenza nazionale stimata pari a 30,6%).

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