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Draghi media su appalti: via norme su massimo ribasso e tensione con i sindacati

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Via le norme sul massimo ribasso, una lunga mediazione per allargare le maglie dei subappalti tutelando i lavoratori e la legalita’. Mario Draghi lavora per portare in Consiglio dei ministri le misure per le semplificazioni e sulla governance del Recovery plan. Bisogna far presto, chiudere il decreto in Cdm nelle prossime ore, o si rischia di perdere la prima tranche di 27 miliardi che potrebbe arrivare da Bruxelles a luglio. Ma il premier deve fare i conti con il muro di Pd e Leu sul tema degli appalti: i ministri Andrea Orlando e Roberto Speranza chiedono e ottengono un tavolo con i sindacati prima del varo del decreto. Il tentativo dei partiti della sinistra, alla vigilia di una manifestazione di Cgil, Cisl e Uil, e’ evitare di allargare ancora le distanze, dopo lo strappo sul tema dei licenziamenti. Prorogare il blocco, come chiedono i sindacati? Draghi non concede aperture e i leader confederali non depongono le armi. E’ il giorno in cui la ratifica di tutti gli Stati membri da’ il via libera finale alla raccolta di fondi europei per i piani di rilancio nazionali. E un imperativo categorico guida le scelte del governo nel decreto Recovery, un maxi provvedimento di oltre 60 articoli atteso in Cdm entro la serata di venerdi’: “I fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) vanno spesi necessariamente entro il 2026” e per “essere sicuri che questo avvenga in Italia c’e’ molto da cambiare”. Draghi lo spiega ai rappresentanti di Cgil, Cisl e Uil che convoca a Palazzo Chigi nel pomeriggio, ma anche ai ministri riuniti in mattinata nella cabina di regia. L’idea e’ porre i “pilastri” dell’attuazione del Pnrr con il decreto su governance e semplificazioni e un altro decreto sulle assunzioni nella P.a. legate al Recovery, atteso in Cdm la prossima settimana, non prima di un confronto tra il ministro Renato Brunetta e i sindacati. E’ un approccio “olistico, complessivo”, sottolineano a palazzo Chigi, per dare gambe forti al piano. Il primo decreto va chiuso entro la fine di maggio, se non si vuole perdere la tranche iniziale di fondi. L’intesa pero’ non e’ facile e dopo una lunga giornata di riunioni, a sera viene convocato un tavolo tecnico per sciogliere gli ultimi nodi. Ci sono da conciliare le pressioni opposte di Matteo Salvini, che vorrebbe superare il codice degli appalti, e del centrosinistra, che chiede di non smantellare del tutto le attuali regole. Il punto che mette d’accordo tutti e’ lo stop alle gare con massimo ribasso, che comparivano nelle prime bozze del decreto semplificazioni. Una novita’ dell’ultima ora e’ l’introduzione dell’appalto integrato. E un passaggio che piace ai sindacati e’ l’intenzione di ridurre “di molto” le stazioni appaltanti (“Sono 39mila, mentre in Germania 3mila”, si indigna Maurizio Landini) “migliorando la qualita’ del processo di investimento”. Sul tema dei subappalti, invece, Draghi indica l’esigenza di conciliare la normativa europea che li “ha di fatto liberalizzati” (nella prima bozza del decreto non comparivano soglie) e “con la massima tutela del lavoro e della legalita’”. Ai sindacati che gli sollevano il problema delle condizioni di lavoro spesso sfavorevoli dei dipendenti delle ditte subappaltanti, il premier risponde che questa e’ una premura innanzitutto del governo. L’idea di partenza e’ prorogare almeno fino al 2023 la soglia, prevista dal decreto semplificazioni del governo Conte, del 40% per i subappalti. Il tentativo, al taglio tecnico, e’ alzare quella soglia (si ipotizza al 60%) o addirittura superarla, accompagnando la misura con tutele per i lavoratori o modulando l’intervento con il rinvio di una parte della riforma alla delega sugli appalti prevista in un secondo momento. Anche sulla governance del Recovery governo e sindacati fanno un passo avanti: e’ prevista un coinvolgimento delle parti sociali nella cabina di regia, ma Cgil, Cisl e Uil chiedono un confronto piu’ costante. Mentre sul tema del lavoro la tensione resta alta. Landini, Pierpaolo Bombardieri (Uil), Ignazio Ganga (Cisl) colgono la convocazione a Palazzo Chigi come occasione per tornare ad avanzare la richiesta di proroga del blocco dei licenziamenti. Nelle prossime ore saranno in piazza e la minaccia e’ uno sciopero generale. “Il tema non e’ all’ordine del giorno. Tra le pochissime cose che puo’ decidere il premier ci sono quelle all’ordine del giorno della discussione”, taglia corto il premier. Ma i segretari insistono. E Draghi spiega che la norma del decreto Sostegni bis, con stop ai licenziamenti fino a dicembre per chi chieda la cig, e’ la soluzione piu’ avanzata possibile. “Non sono della vostra idea”, afferma. Ma concede: “Siamo pronti al confronto”.

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Fini condannato a 2 anni e 8 mesi per casa a Montecarlo

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featured, Stupro di gruppo, 6 anni ,calciatore, Portanova

Una operazione immobiliare dai contorni opachi e dietro la quale, secondo il tribunale di Roma, si nascondeva una attività di riciclaggio di denaro. Dopo sette anni dalla richiesta di rinvio a giudizio arriva la sentenza di primo grado per la vicenda legata all’acquisto di un appartamento a Montecarlo, al numero 14 di Boulevard Princesse Charlotte. I giudici della quarta sezione collegiale, dopo circa due ore di camera di consiglio, hanno condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, a 5 anni la sua compagna Elisabetta Tulliani. Il tribunale ha inoltre inflitto 6 anni a Giancarlo Tulliani, 5 anni al padre Sergio e 8 anni a Rudolf Theodor Baetsen. Il tribunale ha sostanzialmente recepito l’impianto accusatorio della Procura di Roma che ai cinque muove l’accusa riciclaggio.

A Fini, che era presente in aula, i magistrati contestano “la condotta relativa all’autorizzazione alla vendita dell’appartamento” escludendo l’aggravante e riconoscendogli le attenuanti generiche. “Non ho autorizzato la vendita dell’abitazione di Montecarlo ad una società riconducibile a Giancarlo Tulliani. Quando ho dato l’ok non sapevo chi fosse l’acquirente” ha commentando l’ex presidente della Camera lasciando la cittadella giudiziaria della Capitale che ha poi aggiunto: “me ne vado più sereno di quello che si può pensare dopo 7 anni di processo. Ricordo a me stesso che per analoga vicenda una denuncia a mio carico fu archiviata dalla procura di Roma. Dopo tanto parlare, dopo tante polemiche, tante accuse, tanta denigrazione da un punto di vista politico sono responsabile di cosa? Di aver autorizzato la vendita. Non mi è ben chiaro in cosa consista il reato”. La difesa dell’ex parlamentare annuncia il ricorso in appello sostenendo che il tribunale ha riconosciuto nei suoi confronti una sorta di “concorso morale” nell’attività illecita.

L’accusa prevista dall’articolo 648 bis del codice penale era l’unica fattispecie contestata nel processo dopo che nell’udienza del 29 febbraio scorso i giudici avevano dichiarato prescritta l’associazione a delinquere, reato che coinvolgeva altri imputati ma non Fini. La prescrizione era legata alla esclusione dell’aggravante della transnazionalità. Nel corso del procedimento è intervenuta anche la compagna di Fini che nel corso di brevi dichiarazioni spontanee aveva di fatto scaricato le colpe sul fratello Giancarlo.

“Ho nascosto a Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna nel corso dell’udienza del 18 marzo scorso-. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita”. Inizialmente il processo vedeva imputate, come detto, anche altre ‘posizioni’, tra cui il ‘re delle Slot’ Francesco Corallo e il parlamentare Amedeo Laboccetta, per le quali è stata riconosciuta la prescrizione. Secondo l’iniziale impianto accusatorio dei pm della Dda capitolina gli appartenenti all’associazione a delinquere hanno messo in atto, evadendo le tasse, il riciclaggio di centinaia di milioni di euro. Quel fiume di denaro, una volta ripulito, è stato utilizzato da Corallo per attività economiche e finanziarie ma anche, è la convinzione degli inquirenti, in operazioni immobiliari che hanno coinvolto i membri della famiglia Tulliani.

Gli accertamenti della Procura hanno riguardato, quindi, anche l’appartamento di Boulevard Principesse Charlotte, finito poi nella disponibilità di Giancarlo Tulliani che attualmente vive a Dubai da latitante. L’appartamento monegasco, secondo quanto accertato, sarebbe stato acquistato da Tulliani junior grazie ai soldi di Corallo attraverso due societa’ (Printemps e Timara) costituite ad hoc. Il coinvolgimento di Fini nell’inchiesta è legato proprio al suo rapporto con Corallo. Un rapporto, per la procura, che sarebbe alla base del patrimonio dei Tulliani. Quest’ultimi per gli inquirenti avrebbero ricevuto su propri conti correnti ingenti somme di danaro riconducibili a Corallo e destinati alle operazioni economico-finanziarie dell’imprenditore in Italia, Olanda, Antille Olandesi e Principato di Monaco.

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Il richiamo di Mattarella, non dividere il sud dal nord

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I sindacati hanno un ruolo “insopprimibile” per lo sviluppo della società; il welfare non deve perdere il suo carattere “universalistico”; anche se è “un’ottima notizia” che l’occupazione stia crescendo, le istituzioni non devono mai sentirsi “appagate” perchè “l’ascensore sociale” si è bloccato; ogni morte sul lavoro è “inaccettabile” per uno stato moderno; ed infine porre rimedio allo “sfruttamento” degli immigrati. C’è tutto questo e tanto altro nel primo maggio del presidente della Repubblica che ha scelto di passare la vigilia della Festa del Lavoro tra gli operai del distretto agro-industriale nella provincia di Cosenza. Inevitabilmente però sono le sue preoccupazioni sul distacco del Mezzogiorno dal nord del Paese, sulla perdurante questione meridionale – invincibile nel tagliare il Paese in due – a raccogliere gli applausi convinti dei lavoratori calabresi che erano accorsi ad ascoltarlo.

Sergio Mattarella non pronuncia mai le parole “Autonomia differenziata” ma nella platea, inevitabilmente, tutti pensano alla riforma a motrice leghista. “Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri”, premette il presidente che quindi argomenta la sua riflessione spiegando quanto risolvere la questione meridionale sarebbe utile per l’intero Paese. Al contrario, relegarla nel cassetto dei “problemi non urgenti” è una scelta che frena il pil dell’Italia. “Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. E’ appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale”, spiega Mattarella raccogliendo pieno consenso dall’uditorio.

“Il mezzogiorno è parte dell’Europa”, incalza il presidente chiedendo di uscire da una logica di “analisi semplificate”. Il problema è complesso e va affrontato dalla politica, insiste elencando le differenze insostenibili tra nord e sud: redditi sensibilmente più bassi; servizi e sanità meno efficienti; tasso di occupazione inferiore; donne svantaggiate; ed infine troppi giovani costretti a lasciare la loro terra per cercare fortuna altrove. Chiuso questo passaggio che in tanti hanno letto come un grido d’allarme rispetto ai pericoli di un’Autonomia mal applicata, il capo dello Stato ha avuto molto da dire sul lavoro in senso stretto. Durissime le sue parole sui continui incidenti nei cantieri e nelle fabbriche: “non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile”.

Altrettanto secco il richiamo del Quirinale sulle condizioni nelle quali vengono tenuti in Italia i migranti che, regolari o irregolari, spesso vivono il lavoro ai confini della schiavitù: “i lavoratori migranti sono parte essenziale della produzione agricola e delle successive trasformazioni dei suoi prodotti. Ma, in alcuni casi, aree grigie di lavoro – che confinano con l’illegalità, con lo sfruttamento o addirittura se ne avvalgono – generano ingiustizia e, inoltre, insicurezza, tensioni, conflitti. E offrono spazi alle organizzazioni criminali. Vigilare sulle delinquenziali forme di capolarato è, quindi, un preciso dovere. Così come – aggiunge Mattarella – bisogna vigilare sulle condizioni inumane in cui vengono, in alcuni casi, scaraventati i lavoratori stagionali, talvolta senza nome né identità”. Ed ancora, mentre non si spengono le polemiche sulle parole del generale Vannacci sulla disabilità nelle scuole, Mattarella mostra di pensarla diversamente: purtroppo “perdurano le difficoltà di chi sopporta una disabilità, il peso degli oneri di assistenza che non di rado spingono nel bisogno anche famiglie di chi un lavoro ce l’ha”. Non poteva mancare quindi il consueto augurio per la buona riuscita del Concertone di Roma, quest’anno accompagnato da un invito ai giovani a “preparare il futuro senza cedere alla paura o alla sfiducia”.

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Sprint per le liste, scontro sul taglio delle firme

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Alla fine il governo ha detto “No”. Nessuno sconto al numero di firme per presentare nuove liste alle Europee dell’8 e 9 giugno. Resta così a metà del guado Marco Rizzo, di Democrazia sovrana e popolare, che aveva chiesto un taglio a Palazzo Chigi, ottenendo una prima apertura. Michele Santoro, invece, ha fatto sapere di essere riuscito ugualmente a raccogliere le sottoscrizioni necessarie in tutte le circoscrizioni per Pace Terra Dignità. La scadenza è ormai questione di ore. Si delinea così la fisionomia dello scontro politico che vedrà in campo tanti big, dalla premier Giorgia Meloni alla segretaria Pd Elly Schlein, e numerose vecchie conoscenze, da Vittorio Sgarbi per FdI a Sandra Lonardo Mastella per Stati Uniti d’Europa ad Alessandra Mussolini per Forza Italia. Dopo aver ascoltato “con attenzione” la proposta di Rizzo di portare da 75 mila a 37.500 il numero di firme per le liste che non abbiano già parlamentari, Palazzo Chigi ha deciso di “non accogliere la richiesta”, anche “a fronte della ferma contrarietà di altre formazioni politiche minori”.

In primis quella di Cateno De Luca, della lista Libertà, che in mattinata aveva chiesto un incontro con lo staff di Meloni per “evitare che il governo” favorisse “solamente il partito di Marco Rizzo con una norma ad personam”. Rizzo ha comunque annunciato battaglia: “A questo punto – ha detto – ci presenteremo nelle circoscrizioni Centro e Sud dove la soglia delle firme è stata ampiamente superata e nelle altre faremo ricorso”. In attesa del deposito delle firme e delle verifiche, Michele Santoro ha annunciato di avercela fatta: “Possiamo essere finalmente fieri di aver realizzato un’impresa che sembrava impossibile – ha detto il giornalista – Consegneremo la lista Pace Terra Dignità in tutte le circoscrizioni”. In lista per Santoro ci sono – tra l’altro – l’attore Paolo Rossi e lo scrittore moldavo Nicolai Lilin.

Il balletto delle firme non riguarda le forze già presenti in Parlamento, che hanno invece dovuto fare i conti con la battaglia delle liste, dei nomi da mettere in campo. Oltre a Meloni, capolista ovunque, e a Schlein, che sarà capolista al Centro e nelle isole, fra i leader ci saranno il segretario di Fi Antonio Tajani, capolista in ogni circoscrizione tranne le isole (dove c’è invece Caterina Chinnici), e quello di Azione Carlo Calenda, capolista nel Nord Est, Isole e Centro. Per FdI, nelle ultime ore è circolato anche il nome del ministro Crosetto, un’ipotesi che però non pare abbia poi preso corpo. Dubbi sulla presenza in lista con Stati Uniti d’Europa, anche sull’ex sindaco di Agrigento, in passato nel Pd a trazione renziana, Marco Zambuto, compagno della figlia di Totò Cuffaro. Sarà invece della partita il leader di Italia viva Matteo Renzi: si candiderà all’ultimo posto in quattro circoscrizioni su cinque. “Tutti i candidati della Lista Stati Uniti d’Europa si sono impegnati, se eletti, a lasciare eventuali altri incarichi e andare al Parlamento europeo”, ha ricordato Emma Bonino, capolista al Nord ovest e in corsa al Centro. Un po’ a sorpresa, per Fdi è spuntato il nome di Vittorio Sgarbi, nella circoscrizione Sud.

Tre mesi fa il critico si era dimesso da sottosegretario alla Cultura dopo la delibera dell’Antitrust che definiva alcune sue attività “incompatibili” con il ruolo di governo: “Ho deciso di accettare la candidatura da indipendente con Fratelli d’Italia – ha spiegato – Sono libero e ho una dote di voti riconoscibili. Alle Europee del 1999 ne presi 100mila nel Nord Est, quasi come Berlusconi”. Sarcastico il M5s: “Quali saranno i prossimi candidati al Parlamento Europeo di Fratelli d’Italia? Magari Pozzolo e Delmastro? Di questo passo non ci sorprenderebbe se in futuro candideranno Daniela Santanchè al Quirinale”.

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