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Doron, Emily e Romi, finisce incubo per le 3 rapite

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Tre figurine a testa bassa, piegate in avanti, sopraffatte da una calca di migliaia di uomini civili e miliziani di Hamas armati, in divisa militare a volto coperto, la fascia verde dell’Islam in testa. Veloci nel passaggio dai pickup di Hamas al mezzo della Croce Rossa mentre tutt’intorno la folla urla, Doron Steinbrecher, Romi Gonen, Emily Damari s’infilano nell’auto degli operatori umanitari dopo aver attraversato piazza Saraya a Gaza City, con i jihadisti che tengono a bada la ressa di curiosi che vorrebbero vedere in faccia le tre rapite.

“Stanno bene, sono in grado di camminare senza essere aiutate”, il primo messaggio all’esercito da parte della Croce Rossa che le ha prese in consegna. Dopo qualche decina di minuti di tensione alle stelle, passando per la zona centrale della Striscia, dove tutto sarebbe potuto succedere, le tre giovani donne sono stata consegnate ai reparti speciali dell’Idf. Poi, via verso la struttura allestita dall’esercito vicino alla base militare di Reem, in terra d’Israele, a casa. Dove ad aspettarle c’erano le madri, autorizzate a raggiungerle ancor prima che siano portate in ospedale. Saranno infatti ricoverate nel reparto del Safra Children’s Hospital presso lo Sheba medical center, nel centro del Paese, nei prossimi giorni e forse settimane per essere assistite da personale specializzato e di supporto.

L’ospedale pediatrico è stato scelto perché offre una sistemazione tranquilla e riservata ma fuori dalla struttura si sono subito radunati a centinaia per aspettarle. Romi, 24 anni, è stata presa in ostaggio dal festival musicale Nova dove era andata a ballare con la sua migliore amica Gaia Halifa. Insieme avevano girato il Sud America in lungo e in largo per sette mesi. Quella spaventosa mattina del 7 ottobre 2023, mentre cercava di sfuggire ai terroristi con le amiche, Romi è riuscita a chiamare la madre, Meirav, rimasta al telefono con lei anche quando è stata raggiunta da un proiettile a una mano. Gaia è stata colpita e uccisa. Il 23 novembre alcuni ostaggi rilasciati hanno riferito di aver visto Romi viva, dopo nessun’altra notizia è arrivata ai parenti. Fino a che il governo non li ha avvisati che la loro ragazza era nella lista dei primi 33 ostaggi da rilasciare.

Doron Steinbrecher è un’infermiera veterinaria, i terroristi l’hanno strappata dalla sua casa nel kibbutz di Kfar Azza, nell’area residenziale dei single più giovani. Mentre Hamas assaltava il kibbutz, Doron, 31 anni, è rimasta al telefono con la sorella Yamit e i genitori, tutti chiusi nelle stanze di sicurezza della comunità. Lei durante l’attacco si è nascosta sotto il letto. Simona, la mamma, ha raccontato che “quel sabato erano tutti a casa, sentivano i terroristi che sparavano e cercavano di entrare”.

“Doron ci ha chiamato, poi abbiamo sentito delle voci. A quel punto solo silenzio. Quando è finito tutto e le forze di sicurezza sono arrivate a casa sua, non hanno trovato né il corpo, né sangue. Abbiamo capito che era stata rapita”. Prima di essere portata via è riuscita a inviare un messaggio ad amici: “Sono arrivati. Mi hanno preso”.

Anche Emily Tehila Damari, 28 anni, era nel kibbutz di Kfar Aza, nel ‘quartiere della giovane generazione’ . Mentre la madre, Mandy, si nascondeva nella sua casa, i jihadisti hanno prima ucciso il cagnolino di Emily e poi le hanno sparato a una mano e una gamba. Oggi la giovane appare nelle prime foto senza due dita della mano, il medio e l’anulare. Poi è stata costretta a salire nella sua auto con altri due amici del kibbutz, Gali e Ziv Berman, tuttora prigionieri di Hamas a Gaza. Emily è sempre stata una fan sfegatata del Tottenham Hotspur: la squadra e il suo club di fan si sono stretti attorno a lei tenendo diversi raduni fuori dallo stadio. “Il governo di Israele accoglie con affetto le tre donne liberate”, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu dopo il rilascio. Poi il suo ufficio ha diffuso le foto delle tre ragazze mentre abbracciano le loro mamme.

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Esteri

Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Trump spinge per il cessate il fuoco in Ucraina: “Ora Putin deve aprire ai colloqui diretti”

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Donald Trump ha deciso di accelerare i tempi. Dopo mesi di logoramento sul fronte, ora il presidente americano punta a ottenere da Vladimir Putin un’apertura concreta ai colloqui diretti, oltre a una tregua immediata e “senza condizioni” che apra la strada ai negoziati di pace. A dirlo chiaramente è stato lo stesso Trump, mentre da Mosca il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che la Russia è pronta a negoziare.

Il piano di Trump e la controproposta di Kiev

Mentre la Russia rivendica la completa riconquista della regione di Kursk, l’Ucraina propone come contromossa uno schieramento internazionale che impedisca futuri attacchi russi. Una misura di garanzia per evitare che la tregua si trasformi in una nuova aggressione. Nonostante le difficoltà militari, Volodymyr Zelensky sembra disposto a valutare un compromesso “dignitoso” per salvaguardare l’indipendenza ucraina dopo tre anni di guerra.

Il compromesso proposto da Kiev prevede:

  • La difesa della sovranità nazionale senza limitazioni sull’esercito.

  • L’utilizzo degli asset russi congelati in Occidente per il risarcimento dei danni di guerra.

L’ombra della resa dei conti e la pressione di Trump su Putin

Trump, incontrando Zelensky a Roma all’ombra della Cupola di San Pietro, ha fatto capire che il tempo stringe. Ammette apertamente il sospetto che Putin voglia “continuare la guerra” per logorare la situazione e far perdere tempo agli Stati Uniti. Una strategia che Trump non intende subire, rilanciando l’obiettivo di concludere la guerra nei primi 100 giorni della sua presidenza.

L’annuncio della riconquista russa della regione di Kursk, accompagnato dal primo riconoscimento ufficiale dell’uso di truppe nordcoreane da parte di Mosca, alimenta le preoccupazioni. Ma allo stesso tempo, la Russia continua a mostrare difficoltà economiche profonde nonostante il regime autarchico tenti di nascondere la crisi.

Il difficile equilibrio: salvare l’onore per tutti

Per Trump, per Putin e per Zelensky l’obiettivo è quello di poter dichiarare una vittoria:

  • Trump vuole essere il presidente che ha portato la pace.

  • Putin vuole presentarsi come il difensore della “Madre Russia” contro l’Occidente.

  • Zelensky vuole salvaguardare la sovranità e l’onore nazionale.

Il 9 maggio, data simbolica della vittoria sovietica sul nazismo, si avvicina. Putin punta a presentarsi come vincitore, ma senza un vero accordo, la guerra rischia di continuare nel logoramento reciproco.

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Trump e Zelensky si parlano, prove di pace a San Pietro

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I primi spiragli per la pace in Ucraina, tanto invocati da papa Francesco, potrebbero essersi aperti proprio nel giorno dell’ultimo saluto al pontefice, a San Pietro. Donald Trump e Volodymyr Zelensky, due mesi dopo il burrascoso incontro allo studio ovale, si sono ritrovati faccia a faccia tra le navate della basilica, poco prima dell’inizio dei funerali di Bergoglio: un colloquio di 15 minuti, definito “costruttivo” da entrambe le parti, immortalato da una foto che ha fatto il giro del mondo. In Vaticano il leader ucraino è stato protagonista di un altro scatto simbolico, insieme a Trump, Emmanuel Macron e Keir Starmer, poi ha incontrato anche Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, per provare a ricompattare l’alleanza transatlantica al fianco di Kiev. E qualcosa sembra effettivamente muoversi.

Gli ucraini sul piatto hanno messo una controproposta al piano della Casa Bianca, per ottenere garanzie di sicurezza a guerra finita, ricevendo delle aperture da Washington. Quanto alla Russia, il Cremlino ha annunciato di aver ripreso il completo controllo della regione di Kursk, ed alla luce di questa svolta si è detto pronto a riprendere i colloqui con gli ucraini “senza precondizioni”. I capi di stato e di governo arrivati a Roma per i funerali del Papa, pur nel rispetto della solennità dell’evento, hanno avuto l’occasione per brevi scambi di vedute su alcune delle principali crisi ancora aperte.

Zelensky, dopo aver messo in forse fino all’ultimo la sua presenza, è riuscito a raggiungere la capitale per onorare il pontefice e per ritrovare i partner occidentali, soprattutto Trump. L’immagine è quella di due leader seduti uno di fronte all’altro, vicinissimi, che discutono animatamente con espressione seria. Al termine, entrambe le parti si sono dette comunque soddisfatte. “Molto produttivo”, è stato il commento della Casa Bianca. “Un incontro simbolico che potrebbe diventare storico se si raggiungessero i risultati sui punti discussi”, ha sottolineato Zelensky. Se non altro, c’è stato un riavvicinamento dopo quel drammatico 28 febbraio, quando il presidente ucraino era stato cacciato dalla Casa Bianca.

Rispetto ai nodi sul tavolo il New York Times ha fatto filtrare la posizione ucraina, che punta a mitigare la proposta americana, considerata troppo favorevole a Mosca. Kiev in particolare chiede di non limitare le dimensioni del proprio esercito e che in territorio ucraino venga schierato un contingente di sicurezza europeo sostenuto dagli Usa, per scoraggiare future aggressioni russe. In quest’ottica l’adesione a breve alla Nato non sembra più una priorità: lo stesso Zelensky ha ammesso che in questa fase bisogna essere “pragmatici”.

E la risposta di Washington sulle garanzie di sicurezza sarebbe stata positiva. Sempre secondo fonti giornalistiche, gli Usa si sono offerti di fornire intelligence e supporto logistico ad un contingente europeo di peacekeeper. Andando incontro alle richieste di Londra e Parigi, che di questa missione militare sarebbero capofila nell’ambito della coalizione dei volenterosi.

Riguardo alla Russia, invece, Trump ha inviato segnali contrastanti. Da una parte ha accolto con favore gli esiti dell’ultimo incontro a Mosca tra Steve Witkoff e Vladimir Putin, sostenendo che l’accordo tra le due parti in conflitto sarebbe ad un passo. Poi però ha insinuato che Putin lo stia “prendendo in giro”, tergiversando sulla tregua, ed è tornato a minacciarlo di nuove sanzioni. A complicare le cose c’è anche la questione dei territori. Perché gli americani sarebbero disposti a lasciare tutto alla Russia, dalla Crimea alle altre quattro regioni ucraine occupate.

Mentre Kiev, almeno sulla carta, non è disposta a concessioni. Zelensky, prima di qualunque negoziato, chiede innanzitutto un cessate il fuoco completo. E su questo punto ha ottenuto la sponda degli alleati europei nei colloqui a Roma a margine dei funerali del Papa. “Mosca dimostri concretamente che vuole la pace”, sono state le parole della premier Meloni dopo l’incontro con il leader ucraino.

“Ora tocca al presidente Putin”, le ha fatto eco il presidente francese Macron, riferendo che è stato avviato “un lavoro di convergenza” tra i volenterosi, Kiev e Washington per arrivare ad “una tregua solida”. L’Ue, infine, ha ribadito il “sostegno” all’Ucraina “al tavolo delle trattative”, ha assicurato a Kiev la presidente della Commissione von der Leyen.

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