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Dilaga la protesta in Iran, in fiamme la casa di Khomeini

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Brucia il simbolo della Rivoluzione islamica. Nella notte manifestanti hanno dato fuoco alla casa natale di Ruhollah Khomeini, la prima Guida suprema dell’Iran che nel 1979, rientrato dall’esilio in Francia, guidò la rivoluzione per rovesciare la monarchia dello Shah di Persia e instaurare il regime degli ayatollah, ancora in piedi da oltre 40 anni ma scosso dalle proteste di piazza degli ultimi mesi. L’incendio alla casa dove Khomeini nacque nel maggio del 1900 – da circa 30 anni un importante museo della Rivoluzione islamica – appare in video diffusi da attivisti sui social media ed è un atto estremo delle contestazioni anti governative che da oltre due mesi si susseguono nel Paese. Esplose dopo la morte di Mahsa Amini, la ventenne che ha perso la vita il 16 settembre a Teheran dopo l’arresto perché non portava correttamente il velo, le dimostrazioni non si sono mai fermate e proseguono da oltre due mesi in moltissime città. Negli ultimi tre giorni le manifestazioni sono diventata anche un’occasione per commemorare le oltre 1.500 persone uccise nelle rivolte anti governative del novembre 2019, di cui in questi giorni cade il terzo anniversario, e i mercati di varie città del Paese hanno tenuto le serrande chiuse. La protesta si esprime generalmente con iniziative non violente, come sit-in e grandi raduni anche in molte università, ma la repressione delle forze dell’ordine ha spesso portato a durissimi scontri: secondo i dati dell’agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, da quando le dimostrazioni sono iniziate hanno perso la vita almeno 381 persone, tra cui 50 minorenni e 58 membri delle forze di sicurezza. Gli arrestati sono oltre 1.600 e per almeno 5 di loro sono già state emesse condanne a morte. La piazza contesta direttamente il regime degli ayatollah e spesso negli slogan dei manifestanti viene definito “dittatore” l’attuale Guida suprema Ali Khamenei, designato dallo stesso Khomeini come successore poco prima di morire nel 1989. Secondo i video pubblicati sui social media da attivisti, sarebbe stato dato alle fiamme ieri sera anche il seminario di Qom, città considerata sacra nell’Islam sciita, altro simbolo del regime degli ayatollah che i dimostranti hanno deciso di colpire. Il presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi ha spesso accusato i Paesi occidentali di interferenze negli affari interni dell’Iran dopo le critiche per violazioni dei diritti umani che sono arrivate dagli Stati Uniti e dall’Europa. Ieri Raisi ha anche parlato di una “guerra mediatica” in corso per colpire l’Iran e Teheran ha definito “organizzazioni terroriste” i media in lingua persiana dei dissidenti iraniani all’estero, mentre nel Paese l’accesso a internet subisce da mesi forti limitazioni.

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Zelensky: situazione difficile ma resistiamo nel Kursk

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“Il Comandante in Capo Oleksandr Syrskyi ha fornito un aggiornamento sulla situazione in prima linea. In molte direzioni la situazione rimane difficile”. Lo scrive Volodymyr Zelensky su X. “Solo a mezzogiorno, si sono già verificati quasi 70 attacchi russi. Gli scontri si concentrano nelle direzioni di Pokrovsk, Kramatorsk, Lyman e Kursk”. E “le nostre forze continuano le operazioni difensive in aree specifiche delle regioni di Kursk e Belgorod”, ha assicurato, dopo che ieri Mosca aveva annunciato la completa riconquista del Kursk. Zelensky ha chiesto una rinnovata pressione sulla Russia ad accettare la tregua proposta dagli Usa.

Secondo Zelensky “la situazione in prima linea e l’azione dell’esercito russo dimostrano che l’attuale pressione globale sulla Russia non è sufficiente a porre fine a questa guerra. Presto saranno passati cinquanta giorni da quando la Russia ha iniziato a ignorare la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo e incondizionato, una proposta che l’Ucraina aveva accettato l’11 marzo”. Per questo motivo, “è necessaria una pressione più tangibile sulla Russia per creare maggiori opportunità per una vera diplomazia”, ha avvertito, ringraziando “tutti coloro che sono al fianco dell’Ucraina”.

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Tragedia al festival Lapu Lapu a Vancouver: suv travolge la folla, morti e feriti

Durante il festival filippino Lapu Lapu a Vancouver, un suv ha investito la folla causando diversi morti e feriti. Arrestato il conducente. La città è sconvolta.

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Diverse persone sono morte e molte altre sono rimaste ferite durante il festival del “Giorno di Lapu Lapu” a Vancouver, nell’ovest del Canada, quando un suv ha investito la folla. La polizia locale ha confermato che il conducente è stato arrestato subito dopo l’incidente, avvenuto intorno alle 20 ora locale (le 5 del mattino in Italia).

Il cordoglio della città e della comunità filippina

La tragedia ha sconvolto l’intera città e, in particolare, la comunità filippina di Vancouver, che ogni anno organizza il festival in onore di Lapu Lapu, eroe della resistenza contro la colonizzazione spagnola nel XVI secolo. Il sindaco Ken Sim ha espresso il proprio dolore: «I nostri pensieri sono con tutte le persone colpite e con la comunità filippina di Vancouver in questo momento incredibilmente difficile», ha scritto su X.

Le drammatiche immagini dell’incidente

Secondo quanto riferito dalla polizia e riportato dalla Canadian Press, il suv ha travolto la folla all’incrocio tra East 41st Avenue e Fraser Street, nel quartiere di South Vancouver. I video e le immagini diffusi sui social mostrano scene drammatiche: corpi a terra, detriti lungo la strada e un suv nero gravemente danneggiato nella parte anteriore. Testimoni parlano di almeno sette persone rimaste immobili sull’asfalto.

Il dolore delle autorità

Anche il premier della Columbia Britannica, David Eby, ha commentato la tragedia: «Sono scioccato e con il cuore spezzato nell’apprendere delle vite perse e dei feriti al festival». La comunità è ora unita nel cordoglio, mentre proseguono le indagini per chiarire le cause dell’accaduto.

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Trump spinge per il cessate il fuoco in Ucraina: “Ora Putin deve aprire ai colloqui diretti”

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Donald Trump ha deciso di accelerare i tempi. Dopo mesi di logoramento sul fronte, ora il presidente americano punta a ottenere da Vladimir Putin un’apertura concreta ai colloqui diretti, oltre a una tregua immediata e “senza condizioni” che apra la strada ai negoziati di pace. A dirlo chiaramente è stato lo stesso Trump, mentre da Mosca il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha dichiarato che la Russia è pronta a negoziare.

Il piano di Trump e la controproposta di Kiev

Mentre la Russia rivendica la completa riconquista della regione di Kursk, l’Ucraina propone come contromossa uno schieramento internazionale che impedisca futuri attacchi russi. Una misura di garanzia per evitare che la tregua si trasformi in una nuova aggressione. Nonostante le difficoltà militari, Volodymyr Zelensky sembra disposto a valutare un compromesso “dignitoso” per salvaguardare l’indipendenza ucraina dopo tre anni di guerra.

Il compromesso proposto da Kiev prevede:

  • La difesa della sovranità nazionale senza limitazioni sull’esercito.

  • L’utilizzo degli asset russi congelati in Occidente per il risarcimento dei danni di guerra.

L’ombra della resa dei conti e la pressione di Trump su Putin

Trump, incontrando Zelensky a Roma all’ombra della Cupola di San Pietro, ha fatto capire che il tempo stringe. Ammette apertamente il sospetto che Putin voglia “continuare la guerra” per logorare la situazione e far perdere tempo agli Stati Uniti. Una strategia che Trump non intende subire, rilanciando l’obiettivo di concludere la guerra nei primi 100 giorni della sua presidenza.

L’annuncio della riconquista russa della regione di Kursk, accompagnato dal primo riconoscimento ufficiale dell’uso di truppe nordcoreane da parte di Mosca, alimenta le preoccupazioni. Ma allo stesso tempo, la Russia continua a mostrare difficoltà economiche profonde nonostante il regime autarchico tenti di nascondere la crisi.

Il difficile equilibrio: salvare l’onore per tutti

Per Trump, per Putin e per Zelensky l’obiettivo è quello di poter dichiarare una vittoria:

  • Trump vuole essere il presidente che ha portato la pace.

  • Putin vuole presentarsi come il difensore della “Madre Russia” contro l’Occidente.

  • Zelensky vuole salvaguardare la sovranità e l’onore nazionale.

Il 9 maggio, data simbolica della vittoria sovietica sul nazismo, si avvicina. Putin punta a presentarsi come vincitore, ma senza un vero accordo, la guerra rischia di continuare nel logoramento reciproco.

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