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De Angelis offre le scuse ma non si dimette: non volevo causare disagi

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Offre le sue scuse ma non le dimissioni Marcello De Angelis, responsabile istituzionale della comunicazione della Regione Lazio, finito nella bufera per le sue affermazioni sulla strage di Bologna di cui ha sconfessato la matrice neofascista dichiarando innocenti Mambro, Fioravanti e Ciavardini. Un nuovo, lungo, post su Fb con cui chiede perdono a “quelli, e sono tanti, a partire dalle persone a me più vicine, a cui ho provocato disagi, trascinandoli in una situazione che ha assunto dimensioni per me inimmaginabili. Profonde scuse nei confronti di chi io possa aver anche solo turbato esprimendo le mie opinioni”.

E sull’attentato del 1980 è tornato anche il presidente del Senato Ignazio La Russa che in una nota afferma di non avere, dopo la commemorazione in Aula per le vittime dell’attentato, “rilasciato, né personalmente né per interposta persona, alcuna altra dichiarazione o commento in proposito. Credo, d’altronde, – aggiunge La Russa – fossero esaustive le mie parole sia sul dovere (“doverosamente”) del presidente di tutti i senatori di non tacere su una risultanza oggettiva (“la verità giudiziaria”), sia sul sollecitare ulteriori desecretazioni per fugare ombre e dubbi che tuttora persistono”. Il post di De Angelis è arrivato a poche ore di distanza dalle parole del Presidente della Regione Lazio, Francesco Rocca, che ha annunciato un incontro con il suo collaboratore non nascondendo l’irritazione della premier Meloni, “non felice per quanto accaduto”.

Un sentimento che sembra essere condiviso all’interno del partito, che però al momento fa quadrato intorno al dirigente regionale. Per Rocca, comunque, il cognato di Ciavardini ha commesso “un errore importante” parlando “in termini di certezza anche se a titolo personale. Ora farò le mie valutazioni – aggiunge il presidente del Lazio – ma lui non ha alcun ruolo politico nell’amministrazione regionale”. Un concetto sostanzialmente ripreso dallo stesso De Angelis che via social ammette che le sue sono state affermazioni personali che possono essere state “fraintese per l’enfasi di un testo non ponderato, ma scritto di getto sulla spinta di una sofferenza interiore che non passa ed è stata rinfocolata in questi mesi”. Ricorda di avere “servito e rappresentato le istituzioni democratiche per anni” di cui afferma di avere “il massimo rispetto, così come per tutte le cariche dello Stato” e “fra queste e prima di tutte, la presidenza della nostra Repubblica”.

Il responsabile della comunicazione istituzionale della Regione torna poi sulla “più che quarantennale ricerca della verità sulla strage di Bologna” e ribadisce che “l’unica mia certezza è il dubbio”. E ancora: “purtroppo sono intervenuto su una vicenda che mi ha colpito personalmente, attraverso il tentativo, fallito, di indicare mio fratello, già morto, come esecutore della strage”. Nel post De Angelis dichiara il suo “rispetto” per la magistratura, “composta da uomini e donne coraggiosi che si sono immolati per difendere lo Stato e i suoi cittadini” e ritiene “che tutti abbiano diritto ad una verità più completa possibile su molte vicende ancora non del tutto svelate”. Le scuse via social non sembrano, però, placare la bufera politica.

Le opposizioni ma anche l’Associazione partigiani e quella dei familiari vittime dell’attentato ribadiscono la richiesta di dimissioni, tirando in ballo anche la premier. “E’ colpa delle omissioni di Giorgia Meloni sulla matrice neofascista della strage di Bologna se poi ci sono personaggi come De Angelis che dicono quello che dicono”, afferma Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione familiari. Per il Pd il dirigente regionale “sapeva bene quello che avrebbe sollevato con il suo post revisionista. Le sue scuse non cancellano le sue dichiarazioni: De Angelis si deve dimettere”. Richiesta che arriva, identica, da Alleanza Verdi e Sinistra secondo cui il responsabile della comunicazione della Regione “può permettersi di restare perché la destra vuole promuovere un pericoloso processo di revisionismo storico pur non avendo nessun elemento di realtà a sostegno”.

Per gli M5S “uno così lo avremmo buttato fuori a calci nel sedere, in Fratelli d’Italia invece gli continuano a garantire poltrona e stipendio con i soldi pubblici”. Il problema, concludono i pentastellati, “è che la Destra ha paura di fare pulizia di questi personaggi al suo interno ed il silenzio della premier e del presidente dell’antimafia Colosimo ne sono la prova”.

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Da mini-condono a Salva multe, ecco i decreti in pole

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Tra il 22 e il 29 maggio, la date in cui dovrebbe riunirsi il Consiglio dei ministri, potrebbero vedere la luce almeno 5 provvedimenti, tutti piuttosto importanti per il governo anche alla luce delle prossime Europee. Tra i decreti annunciati ufficialmente c’è il cosiddetto ‘mini-condono’. Il progetto di legge, che il ministro per le Infrastrutture Matteo Salvini preferisce chiamare il ‘Salva-Casa’, punta a sanare tutte le difformità di tipo formale che non corrispondo alla planimetria dell’immobile: dal muro spostato al soppalco o alla veranda. Ma anche la finestra che è di 30 centimetri più in basso o più in alto rispetto al disegno originario. Con questo dl si potrebbero sanare anche le varianti in corso d’opera che non erano state disciplinate prima del 1977.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha poi promesso da tempo che si farà un decreto per ridurre i tempi delle liste di attesa nella Sanità. Ma questo, quasi sicuramente, non sarà all’attenzione dei ministri il 22 maggio perché sul tema, si spiega, sarebbe ancora in corso un confronto con le Regioni e si sarebbero ravvisati dei problemi di copertura. Tra gli altri provvedimenti in gestazione a Palazzo Chigi c’è quello fortemente voluto dal ministro per lo Sport, Andrea Abodi, per istituire l’Agenzia per lo sport professionistico. Un testo che gli enti di governo dello Sport, dalla Figc al Coni, starebbero guardando con una certa diffidenza e che potrebbe essere accorpato ad un altro decreto: quello di cui parla da giorni il ministero dell’Istruzione di Giuseppe Valditara in cui si affronterebbe, tra l’altro, anche il tema dei corsi di potenziamento per studenti stranieri.

E’ atteso inoltre anche un provvedimento ‘salva-infrazioni europee’. Per ora si tratta di un decreto ancora in stand-by perché sarebbe politicamente molto complicato varare questo testo senza risolvere prima il problema delle concessioni demaniali marittime. Un tema che ci vede in costante braccio di ferro con l’Europa. Più articolato il fronte della Giustizia dove, oltre ad un decreto sui giudici di pace, è in cantiere da tempo anche un disegno di legge costituzionale per la separazione delle carriere dei magistrati: cavallo di battaglia da sempre di Forza Italia. Il testo, che probabilmente potrebbe vedere la luce già nella riunione del 22 maggio, prevede, oltre a due distinti concorsi per giudici e Pm, anche l’istituzione di due diversi Consigli Superiori della Magistratura e la creazione dell’Alta Corte di giustizia per giudicare sulle toghe. A una delle due riunioni governative dovrebbe approdare anche un decreto legislativo attuativo della delega fiscale: quello che rivede le sanzioni tributarie, riducendole di un terzo ed eliminando quelle ‘maxi’ che arrivano fino al 240%. Chi commette violazioni fiscali pagherà al massimo il 125% di multa.

Le sanzioni amministrative verranno ridotte da un quinto a un terzo, avvicinandole ai parametri europei e introducendo un principio di maggiore proporzionalità. Sul fronte penale ci si allinea ai recenti indirizzi della giurisprudenza aiutando chi non può pagare per forza maggiore e decide di pagare rateizzando. Se, ad esempio, c’è la dichiarazione, la sanzione per l’omesso versamento dell’imposta viene ridotta al 25%. Pugno di ferro invece verso i comportamenti fraudolenti, anche sui bonus e sui crediti d’imposta. L’opposizione critica molto questo ‘sovraffollamento’ di ddl e decreti, parlando di ‘misure di propaganda elettorale’. Ma nel governo si fa notare che quelle del 22 e del 29 sono date obbligate, “non tanto per il voto” delle Europee, quanto perché se questi progetti di legge venissero approvati dopo l’appuntamento con le urne, magari a metà o fine maggio, poi scadrebbero a metà a agosto, quando i lavori parlamentari si presume che siano interrotti.

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L’Italia a giudizio alla Cedu per la legge elettorale

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L’Italia dovrà spiegare all’Europa se le diverse modifiche apportate negli ultimi anni alla legge elettorale hanno violato la libertà di voto dei cittadini: la Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha ammesso il ricorso avanzato dall’ex segretario dei Radicali italiani Mario Staderini e da alcuni cittadini secondo i quali proprio quei cambiamenti hanno comportato la violazione dei diritti nelle elezioni politiche del settembre 2022, quelle vinte da Giorgia Meloni. L’accoglimento del ricorso risale a febbraio ma la notizia si è diffusa oggi e ora il governo ha tempo fino al 29 luglio per replicare. Palazzo Chigi sta preparando la memoria difensiva: “la Cedu ha posto delle questioni – dice il sottosegretario Alfredo Mantovano – e si sta lavorando. Ovviamente riteniamo il ricorso non fondato”.

Il ricorso è stato depositato alla fine di gennaio del 2023 da Staderini – segretario dei Radicali Italiani dal 2009 al 2013 – e da diversi cittadini: alle elezioni del 2022 in circa 500 sono andati ai seggi verbalizzando il loro dissenso e spiegando le ragioni dell’astensione. E quella documentazione è alla base della richiesta alla Cedu, che riguarda “l’instabilità della legge elettorale e la compatibilità” del Rosatellum “con il diritto a libere elezioni, garantito dall’articolo 3 del protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani”. “Negli ultimi 20 anni – sottolinea Staderini – ci hanno costretto ad eleggere parlamenti con leggi incostituzionali o introdotte e modificate a ridosso del voto, ingenerando l’idea che i sistemi elettorali siano uno strumento che chi esercita il potere manovra a proprio favore e che il voto dell’elettore serva a poco. Prima il Porcellum, poi il Rosatellum, domani chissà cosa”.

Lo individua il deputato di Alleanza Verdi e sinistra Angelo Bonelli, il ‘cosa’: la decisione della Cedu “mette in seria discussione il premierato voluto da Meloni”. Nel ricorso si afferma che prima delle elezioni del 2022 il sistema elettorale è stato modificato tre volte: con la legge costituzionale numero del 2019 che ha ridotto il numero dei parlamentari, con la legge 177 del dicembre 2020 sulla redistribuzione elettorale e con la legge del giugno 2022 che ha esentato alcuni partiti all’obbligo di raccolta delle firme per la presentazione delle liste a livello nazionale. Quanto alle modalità di voto, dicono ancora i ricorrenti, un articolo del Rosatellum contrasta con il principio della libertà di voto: in sostanza non consente di esprimere il voto separato, vale a dire dare al proporzionale una preferenza per una lista o coalizione diversa da quella indicata nel maggioritario. Ed inoltre, nel caso in cui il cittadino voti solo per il candidato nel maggioritario, il suo voto viene assegnato automaticamente alla lista o alla coalizione nel sistema proporzionale. Alla luce di ciò, la Cedu ha formulato tre domande al governo. La prima si concentra sulle modifiche apportate nel 2019, 2020 e 2022, “queste ultime introdotte solo 3 mesi prima delle legislative” osserva la Cedu, che vuole sapere se “i cambiamenti al sistema elettorale hanno minato il rispetto e la fiducia dei ricorrenti nell’esistenza di garanzie di libere elezioni”.

In seconda battuta la Corte chiede se il Rosatellum, “impedendo agli elettori di votare nel sistema proporzionale per una lista o coalizione diversa da quella scelta nel sistema maggioritario e attribuendo automaticamente il voto espresso nel sistema maggioritario alla lista o coalizione corrispondente nel sistema proporzionale, ha violato il diritto dei ricorrenti di esprimersi liberamente sulla scelta del corpo legislativo in libere elezioni”. Ed infine, i giudici vogliono sapere se i cittadini hanno la possibilità di introdurre un ricorso “effettivo” davanti alle istanze nazionali, come prevede l’articolo 13 della convenzione europea dei diritti umani, se ritengono violati il loro diritto a libere elezioni.

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Giorgetti: ripresi 15 miliardi di truffe su 215 di Superbonus

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“Con le indagini fatte dalla Guardia di Finanza abbiamo già recuperato più di 15 miliardi richiesti indebitamente allo stato come crediti fiscali” nell’ambito del Superbonus. Lo afferma il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sottolineando che “di quei 215 miliardi 15 in qualche modo ne usciranno, ma al netto delle truffe dobbiamo tornare alla normalità, dobbiamo tornare sulla terra”. “Io – prosegue – ricordo che oggi in Italia è ancora previsto un beneficio del 70% per chi ristruttura la propria abitazione. Qual è quella nazione in Europa o al mondo che offre lo stesso beneficio?”. “A tutti quelli che si lamentano e contestano – aggiunge – inviterei a fare questa valutazione”.

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