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Corona Virus

Covid, la guerra che ha cambiato medici e ospedali

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Hanno dovuto affrontare un nemico nuovo e invisibile, che ha da subito scardinato quasi tutte le loro certezze. Una guerra che hanno combattuto all’inizio disarmati, senza poter contare su mascherine e dispositivi di protezione, ma affidandosi solo all’intuizione e grande spirito di abnegazione. Sono stati chiamati eroi, angeli, poi quando i contagi hanno ripreso a salire dopo l’estate, sono stati spesso insultati. Il 2020 e’ stato un anno difficilissimo per i medici e gli infermieri italiani degli ospedali, di servizio sulle ambulanze o negli studi, in particolare dei medici di famiglia, che hanno pagato un conto molto salato: 323 quelli uccisi dal virus SarsCov2, migliaia i contagiati dal 21 febbraio 2020. La pandemia ha da subito messo in crisi gli ospedali, costringendo a chiudere e isolare quelli dove si scoprono i primi focolai di Covid, come a Codogno (Lodi) e Schiavonia (Padova). Il dilagare del virus costringe presto a ridisegnare la gestione dei posti letto e rimandare visite ed esami non urgenti nei primi mesi del lockdown. I risultati di un decennio di tagli e blocco del turn over dei camici bianchi appaiono subito evidenti: mancano letti e medici. Gia’ dal 22 febbraio il presidente degli ordini dei medici, Filippo Anelli, chiede a tutti i colleghi a mettersi a disposizione per sopperire a carenze. Appelli ripetuti costantemente. A marzo oltre 7200 medici rispondono alla chiamata per creare una task force da mandare a supporto delle regioni del nord, le piu’ colpite. Arrivano anche medici da Cuba, Cina, Venezuela e Russia. Si fanno bandi per assunzioni straordinarie, gli specializzandi vengono chiamati a dare aiuto. Per gli italiani sono medici e infermieri i nuovi eroi: escono sui balconi ad applaudirli, fanno flash mob. Nasce l’inno dei medici sulle parole di Mogol. Continuano pero’ a ripetersi le denunce dei medici che mancano dispositivi di protezione, respiratori, ventilatori e filtri, tanto che c’e’ chi a Parma costruisce un respiratore usando una maschera da snorkeling. I reparti vengono riorganizzati per rafforzare fino al 100% i posti in terapia sub-intensiva e del 50% nelle terapie intensive. A Milano, Bergamo e nelle Marche si costruiscono nuovi padiglioni nelle Fiere. Per aiutare gli ospedali scattano tantissime raccolte fondi, lanciate da associazioni, gente comune e persone del mondo dello spettacolo. Il Governo stanzia piu’ fondi per gli ospedali e il personale, chiama in soccorso anche medici militari e di strutture private. A giugno tra i 56 eroi premiati dal presidente della Repubblica, Sergio Matteralla, molti sono i medici che si sono distinti nella lotta al virus. In estate pero’ i contagi calano, la gente vuole dimenticare i mesi terribili del lockdown in vacanza e non si rispettano le misure di distanziamento. Ecco cosi’ che in autunno arriva, come previsto, la seconda ondata di contagi, questa volta in tutta Italia. I medici ora non sono piu’ eroi, c’e’ chi viene insultato. Il Covid e’ diffuso ovunque e la stanchezza e lo stress dei mesi passati pesano come macigni. Le foto dei medici italiani arrivano anche sul New York Times. Il 20 febbraio si celebra la prima Giornata del personale sanitario, ma a un anno dalla pandemia l’incubo non e’ finito. L’avvio della campagna vaccinale, troppo lenta, non riesce ad arginare il dilagare delle varianti del virus che fanno schizzare nuovamente i casi. E’ iniziata la terza ondata.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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