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Politica

Covid: governo preoccupato, capienza bus resta 80%

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Non e’ ancora allarme rosso, ma la preoccupazione c’e’. Ed e’ molta. Il record dei contagi dall’inizio dell’emergenza piomba sul tavolo del governo e costringe il premier Giuseppe Conte e i ministri a prendere in seria considerazione la possibilita’ di un’ulteriore stretta, che prevederebbe inevitabilmente zone rosse localizzate ma anche lockdown settoriali e a tempo, sulla scia di quel che gia’ sta avvenendo in altri paesi europei. L’obiettivo primario e’ pero’ quello di resistere almeno un paio di settimane e attendere gli effetti del Dpcm entrato in vigore oggi, considerata anche la possibilita’ che il decreto assegna alle Regioni di poter introdurre autonomamente misure piu’ restrittive di quelle indicate a livello nazionale. Nei ministeri e sul tavolo del Cts si comincia pero’ a fare i conti con la possibilita’ che a questo punto nessuna misura puo’ essere esclusa. “Nessun allarme, nessun terrore, ma e’ evidente che l’aumento dei contagi ci preoccupa, il virus corre veloce” dice il ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia sottolineando pero’ che “le reti sanitarie territoriali” stanno tenendo. Lo stesso presidente del Consiglio, per la prima volta da settimane, a domanda specifica non esclude esplicitamente il provvedimento piu’ drastico, il lockdown – anche se si fara’ di tutto per non arrivarci. A partire dai trasporti pubblici, strettamente connessi alla scuola. Dalla riunione al Mit tra il ministro dei Trasporti Paola De Micheli, regioni, comuni e societa’ che gestiscono il Tpl e’ arrivata la disponibilita’ ad affrontare le situazioni piu’ critiche anche se e’ stata confermata la soglia della capienza massima all’80%. Questo perche’, sottolinea il ministero, i dati dell’ultimo periodo dicono che l’utilizzo da parte degli studenti si attesta ad una media del 55% della capacita’ consentita. La scuola e’ e resta, assieme al lavoro, la priorita’ del governo. Per la didattica in presenza anche oggi si sono spesi diversi ministri: Teresa Bellanova, Paola De Micheli, la stessa Lucia Azzolina. Se l’idea di qualcuno e’ chiuderle e lasciare tutti a casa – dice la ministra dell’Istruzione – la risposta e’ no”. Diverse regioni premono invece in questo senso e il problema e’ concreto tanto che anche oggi al Mit si e’ ridiscussa la possibilita’ di un ulteriore scaglionamento degli ingressi degli studenti in modo da decongestionare bus e metropolitane. Su questo pero’ si e’ alzata la voce dei presidi, secondo i quali dilazionare ulteriormente entrate e uscite “e’ impossibile”. Strada quasi senza uscita. Si torna dunque al punto di partenza. Se la curva continua a salire a questo ritmo, nel giro di meno di una settimana sara’ superato il muro dei diecimila casi al giorno. “Oggi ci sono numeri seri, prima c’erano dei cluster che si isolavano, ora la diffusione e’ piu’ diffusa” ammette il leader del Pd Nicola Zingaretti ribadendo l’invito ai cittadini gia’ fatto da Conte: “dobbiamo stare attenti, ammettere che il vero rischio e’ tra gli amici e in famiglia e rispettare le regole di base”. Che fare, dunque? La riflessione che in questo momento si sta facendo, sottolineano fonti dell’esecutivo, e’ di continuare a monitorare con attenzione i dati su ricoveri e terapie intensive. Perche’ e’ quello il cul de sac: “non abbiamo la sostenibilita’ sanitaria della Germania, soprattutto al sud. E dobbiamo anche tenere conto che il personale sanitario e’ molto stanco- ragiona un membro del Cts – Dunque dobbiamo anticipare problemi e prescrizioni”. Che tradotto significa mettere sul tavolo i possibili interventi. Nei prossimi giorni ci saranno una serie di incontri, a partire dalla Conferenza Stato-Regioni di giovedi’ che fara’ una prima analisi dei numeri, come conferma Boccia. E venerdi’ arrivera’ il nuovo monitoraggio del ministero della Salute. Se l’Rt a livello nazionale dovesse superare l’1.25 si entrerebbe nel terzo scenario ipotizzato dallo studio dell’Iss, che prevede interventi chiari: zone rosse con lockdown temporanei, interruzione di attivita’ sociali e culturali a maggior rischio di assembramento, la possibilita’ di interrompere alcune attivita’ produttive, possibili restrizioni alla mobilita’ interregionale, lezioni scaglionate e potenziamento della Dad. Scenari che il governo, per il momento, non vuole prendere in considerazione.

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Politica

San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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Politica

Folla commossa a Santa Maria Maggiore per salutare Papa Francesco

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All’alba, una lunga coda si era già formata davanti alla Porta Santa della basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto Papa Francesco. Ad aprire i cancelli, alle 7 in punto, è stato il rettore della basilica, il cardinale Rolandas Makrickas, che con emozione e un sorriso ha accolto i primi fedeli. Un’affluenza straordinaria che testimonia l’enorme affetto verso il Pontefice che ha scelto come ultima dimora il cuore multietnico dell’Esquilino.

Trentamila fedeli in poche ore

Alle 14, i visitatori erano già 30mila, e si prevede che a fine giornata possano raddoppiare. Famiglie, religiosi, scout e cittadini da ogni parte del mondo hanno reso omaggio a Francesco, il Papa dei poveri e della semplicità. La gente dell’Esquilino si è stretta attorno alla basilica, orgogliosa di avere come “vicino di casa” un Pontefice amato universalmente.

Le testimonianze di una devozione senza confini

Tra i tanti fedeli, Maria arrivata da Agrigento ha sottolineato la semplicità della tomba, specchio dello stile di Francesco. Florentine, da Grenoble ma originaria del Benin, ha parlato di una “grande emozione”. Roberto, romano e ateo, ha ricordato una frase che lo aveva colpito: «È meglio vivere da ateo che vivere da cristiano e parlare male degli altri». Dalla Finlandia, Sinika ha definito Francesco “il miglior Papa che i poveri possano avere”, fiera di indossare una maglietta con il suo ritratto.

Il ricordo che si fa simbolo

Nel quartiere, il volto di Francesco campeggia tra le vetrine, mentre striscioni di ringraziamento spuntano sui palazzi. Nella basilica, intanto, le celebrazioni liturgiche si alternano alla lunga processione dei fedeli: messe solenni, canti e l’omaggio di oltre cento cardinali. I tempi di attesa sono lunghi, ma il desiderio di sostare anche solo pochi secondi davanti alla lapide di “Franciscus” è fortissimo.

Roma prepara un afflusso senza precedenti

La fila continuerà oggi fino alle 22 e riprenderà domani mattina. Il sindaco Roberto Gualtieri ha annunciato una pianificazione straordinaria per gestire l’enorme afflusso di pellegrini: «Mercoledì ci sarà una riunione in Prefettura per organizzare al meglio l’accoglienza». Intanto, la rosa bianca – fiore caro a Francesco per la sua devozione a Santa Teresina – è diventata il simbolo silenzioso di questo tributo d’amore.

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Referendum e regionali, la sfida delle opposizioni

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Per le opposizioni, le regionali saranno il “test prima delle politiche”. La definizione è del presidente Pd Stefano Bonaccini. La tornata d’autunno, quindi, come un esame di compattezza, come una prova di forza per vedere se nel 2027 il centrosinistra potrà evitare il Meloni bis. Al voto andranno: Marche, Veneto, Campania, Puglia, Toscana e Valle d’Aosta. Le prime due sono governate dal centrodestra, le altre dal centrosinistra. Qualche mese prima, l’8 e 9 giugno, ci sarà un altro esame: i cinque referendum su lavoro e cittadinanza. Le opposizioni si stanno spendendo anche per quelli, specie Pd, M5s e Avs, mentre i centristi sono meno partecipi. Già raggiungere il quorum del 50% dei votanti farebbe ben sperare il fronte dei sostenitori dei “sì”.

In vista delle regionali, per il momento il lavoro dei partiti d’opposizione è orientato soprattutto alla definizione delle coalizioni. L’obiettivo della segretaria Pd Elly Schlein è rodare lo schieramento, nell’auspicio che sia il più largo possibile e che si presenti nel maggior numero possibile di Regioni. Sui nomi dei candidati i giochi sono fatti solo nelle Marche, dove per la carica di governatore corre l’eurodeputato Pd ed ex sindaco di Pesaro Matteo Ricci: l’alleanza è in via di costruzione, ma c’è la speranza che alla fine possa comprendere sia il M5s sia i centristi. In Puglia dovrebbe essere in campo l’altro eurodeputato Pd ed ex sindaco di Bari Antonio Decaro. L’accoppiata Pd-M5s parte in discesa, visto che ha già fatto le prove con la giunta ora guidata da Michele Emiliano.

In Toscana, il trascorrere del tempo fa crescere le quotazioni di una ricandidatura del governatore uscente Eugenio Giani, del Pd, già alleato a Iv, che auspica di imbarcare anche M5s e Avs. Mentre Azione ha già dato il suo placet. Giochi aperti in Campania, dove Pd e M5s stanno lavorando al candidato, che potrebbe essere l’ex presidente della Camera Roberto Fico. In ballo c’è anche l’attuale vicepresidente di Montecitorio Sergio Costa.

Entrambi sono del M5s. Fico sembra favorito, anche se per adesso è “bloccato” dal limite dei due mandati: la Costituente del Movimento ha dato indicazione di togliere il vincolo, ma ancora devono essere definiti i criteri, che dovranno passare la vaglio del voto degli iscritti. Sembrava che la chiusura dell’iter potesse arrivare prima di Pasqua. I tempi, comunque, dovrebbero essere maturi. Resta in ogni caso da capire quali saranno le indicazioni del governatore uscente Vincenzo De Luca. Partita aperta in Veneto, dove il centrosinistra è alla ricerca del candidato, che potrebbe essere sostenuto sia da Pd sia dal M5s.

Dinamica a sé in Valle D’Aosta, dove il voto è sostanzialmente proporzionale: spetta poi agli eletti formare una maggioranza in consiglio regionale e individuare il governatore. La prima prova generale delle opposizioni, però, ci sarà fra un mese e mezzo, con i referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che sostanzialmente aboliscono il jobs act, e quello per rendere più facile l’acquisizione della cittadinanza promosso da un comitato con Più Europa. Pd e Avs hanno dato indicazione per cinque sì. Quattro sì per il M5s, che lascerà libertà di coscienza sulla cittadinanza. Per una volta, indicazioni analoghe da Azione e Iv: “sì” solo alla cittadinanza, “no” agli altri.

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