C’è l’Italia degli eroi – medici, infermieri, forze dell’ordine, autisti, commessi eccetera- e c’è quella della vergogna: sì perché questo periodo forse restituirà dei cittadini migliori ma per adesso sta facendo venir fuori comportamenti anche vergognosi. Soprattutto nei confronti di chi è più fragile, più esposto. Come gli anziani, quelli che risiedono nelle case di riposo. Abbiamo contato 200 morti e circa mille contagiati, dati che noi desumiamo da fonti scoperte ma non sappiamo davvero che cosa è accaduto in tutto il Paese dove sono almeno 500 mila gli anziani ricoverati nelle strutture più o meno regolari e dove il coronavirus si è insinuato trovando terreno facile grazie alla mancanza di ogni barriera, dai dispositivi di protezione per degenti e personale fino ad arrivare – in qualche caso- all’abbandono di poveri anziani come è accaduto in provincia di Lecce, a Soleto in una struttura chiamata La fontanella: 80 anziani non autosufficienti sono rimasti da soli per due giorni, digiuni e senza medicinali perché l’intero personale si è messo in quarantena abbandonandoli nei loro letti. Il sindaco Graziano Vantaggiati ha revocato l’ incarico alla società che si doveva occupare dell’assistenza e adesso a loro pensa una task force della Asl di Lecce. Per ora fra quegli anziani ci sono 5 positivi. Per fortuna parliamo di persone che non stanno bene ma sono vive. Abbiamo trovato decine di casi limite ma tanti altri purtroppo non li conosciamo. Le case di cura per anziani al momento sono uno degli epicentri di questa mortalità invisibile alle statistiche del coronavirus: centinaia di persone anziane, che presentano sintomi sospetti che vengono lasciate dove si trovano, perché le autorità sanitarie sono costrette a dare precedenza ai casi più gravi. In troppi sono morti senza ricevere un tampone, e tanti sono stati anche medici ed infermieri contagiati.
Il grido di dolore dei familiari dei nonni che volano in cielo è sempre lo stesso dalle Alpi alla Sicilia: “Mio padre o mia madre, il nonno se n’è andato da solo, senza nessuno che gli tenesse la mano, che lo accompagnasse e non sappiamo neppure perché. Vorremmo sapere dove si trova prima di essere crenato. Non è giusto”
Verona, Villa Bartolomeo: ieri è salito a 15 il conto degli anziani deceduti nella casa di riposo di questo comune a sud di Verona, sette solo l’altra notte. E a questo si somma la positività di 36 ospiti e 12 operatori che lavorano nella struttura. Il sindaco, Andrea Tuzza, ha chiesto l’invio di operatori della Croce Rossa o in ultima analisi dell’Esercito, mercoledì scorso aveva fatto santificare la struttura e dividere i positivi da quelli che non lo erano. Adesso è diventato difficile assistere questi anziani, pur preparare loro da mangiare.
Stagno Lombardo, Cremona.Fra i casi più drammatici ed eclatanti quello della Rsa don Mori di Stagno Lombardo nel cremonese. Qui, in un mese, sono morti ben 21 dei 70 ospiti. Non è stato ancora accertato, ma è forte il sospetto che la causa dei decessi sia stato il Covid.19. Per questo motivo il sindaco Roberto Mariani ha richiesto all’Asst di Cremona tamponi per ospiti e personale.
Lambrate, Milano: nella struttura Anni Azzurri sono deceduti 23 ospiti. Quattordici sono risultati positivi al Covid19, per gli altri 9 si parla di altre cause di morte anche perché non è stato effettuato il tampone oro-faringeo per accertare l’eventuale contagio. Altri 44 pazienti sarebbero infettati, 42 di loro sono in isolamento in camere singole, due sono stati ricoverati in strutture ospedaliere. Alcuni familiari, preoccupati avrebbero presentato un esposto alle forze dell’ordine sui decessi.
Quinzano d’Oglio, Brescia: sono già 31 i decessi a Villa Giulio Padovani, residenza per anziani .Una strage senza fine che ha visto crescere il bilancio di morte negli ultimi giorni con un’impennata di casi. Qui ci sono 150 ospiti e vi lavorano 80 persone, molti sono in quarantena e la Fondazione ricerca personale. Nella prima ondata di decessi, 18, solo uno degli sopiti risultava essere morto per Coronavirus: l’unico al quale è stato fatto il tampone.
Affori, Milano: una nuova strage in una residenza sanitaria, la Casa famiglia per anziani. In un solo reparto, su 35 ospiti, 11 sono morti e una decina sono ancora malati.
Lodi, Milano, casa di riposo Santa Chiara: 38 persone sono decedute ma non sappiamo se questi morti rientreranno nella casistica del Covid19 perché non a tutti sono stati fatti i tamponi. Gli ospiti sono circa 250, i dipendenti almeno 40.
Mediglia, Milano, Residenza Borromeo: in 20 giorni sono morti in 52 su 150 anziani ospitati nella struttura con almeno 70 dipendenti. Anche qui l’interrogativo è: quanti hanno contratto il virus? I familiari vogliono vederci chiaro ed hanno formato un comitato che vuol sapere se sono state prese le misure necessarie.
Cingoli,Macerata: 6 i morti nella casa di riposo, uno però sarebbe risultato negativo al tampone
Sant’Anastasia, Napoli, casa di riposo Madonna dell’Arco: in pochi giorni qui sono morte 10 persone, 52 sono risultate positive al test. Un’impennata di casi scoperta dal laboratorio dell’ Istituto zooprofilattico di Portici che ha analizzato i tamponi ma i nonnini rimasti reclamano lo stesso un gesto d’affetto, una carezza. Impossibili al tempo del Covd19 che ammazza senza neanche il conforto di un abbraccio o di una stretta. Fra i positivi ci sono gli ospiti rimasti ma anche il personale e i frati. Il primo tampone però – denuncia su Facebook il priore del Santuario della Madonna dell’Arco, Padre Alessio Romano – era stato richiesto dal medico curante di un degente il 17 di marzo; è stato effettuato solo il 23 marzo, una settimana dopo. “Nonostante le sollecitazioni, mie e del medico curante, il risultato è giunto solo dopo che ci è scappato il morto”, denuncia Padre Romano. Ospiti e personale della struttura in isolamento, il santuario è chiuso in via precauzionale.
A tutti questi morti, poi, occorre aggiungere quello che è accaduto a Bergamo e nella bergamasca. E qui la situazione è, se possibile, ancora più drammatica. Si muore in ospedale, in casa e si muore nelle residenze per anziani. I più fragili sono i primi a morire. C’è un numero che fotografa una realtà agghiacciante: in Provincia di Bergamo la situazione delle Rsa e dei centri diurni in soli venti giorni hanno visto oltre 600 decessi su 6.400 posti letto. Lo hanno messo nero su bianco i responsabili delle strutture in una lettera di richiesta di sostegno indirizzata all’Ats e alla Regione Lombardia. “Mentre scriviamo la situazione – si legge nella lettera del 25 marzo – continua ad evolvere in peggio. Siamo in ginocchio anche sul versante operativo perche’ quasi duemila dei cinquemila operatori risultano assenti per malattia, quarantena o isolamento”. Numeri di decessi che, con molta probabilita’, non rientrano nei dati ‘ufficiali’, come dice anche il sindaco Giorgio Gori, ma che hanno portato allo stremo anche le imprese di pompe funebri che minacciano di fermarsi a partire da lunedi’. E poi ci sono tanti altri casi, dal Nord al Sud del Paese: nel Torinese fra Borgaro e Bosconero ci sono 2 morti e 11 positivi; 2 morti e 72 positivi a Neroli, Roma; 30 positivi nelle strutture in provincia di Rieti, 25 a Benevento, nel centro Villa Margherita; 2 persone morte e 29 positivi in una casa di riposo a Sala Consilina, Salerno; 1 anziano morto e 72 positivi nella struttura di Villafrati, Palermo; 33 positivi a Troina, Enna; 28 positivi a Messina in una struttura che si chiama Come d’incanto, e in tante altre case di riposo del Paese. E come d’incanto ci piacerebbe che questo si rivelasse solo un brutto incubo ma purtroppo non è così e chissà quanti altri nonnini il virus spazzerà via o lo ha già fatto. Insomma, tirando le somme, e precisando che dietro quei numeri allucinanti si nascondo persone, storie drammatiche, dolori personali, famigliari, collettivi, diciamo che questo capitolo dell’emergenza covid 19 va riletto e indagato a fondo dopo la fine dell’emergenza.
Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.
Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.
Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.
Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria
Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.
“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.
Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.
Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica
Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.
Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.
Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”
Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania
La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.
I risultati hanno evidenziato che:
Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.
Uno studio rivoluzionario con implicazioni future
Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.
Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.
Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.
L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.
Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.
Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.
Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie
Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.
Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.
La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza
Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.
A cinque anni di distanza: quali lezioni?
La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.
Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.
In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.