Se i numeri non sono una opinione e neanche le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che stima come il Coronavirus abbia un tasso di mortalità nella misura del 3,4 %, quindi se in Italia sono accertati ad oggi circa trentamila deceduti, allora i contagiati dovrebbero ammontare a circa 1 milione, se non anche di più.
Tuttavia, malgrado tali numeri e tutte le carenze e contraddizioni del nostro Paese, dopo due mesi di quarantena, avviata ad inizio marzo di questo funesto anno 2020 (in modo colpevolmente tardivo dal Governo che aveva infatti decretato lo stato di emergenza già a fine gennaio) solo grazie ai meriti dei lavoratori che hanno garantito servizi ed assistenza fino alla morte e ai meriti degli italiani che hanno osservato l’isolamento (salvo alcuni sporadici casi di gente mentecatta) oggi possiamo sperimentare, primi tra tutti in Occidente, la “Fase 2”.
Ripartire il 4 Maggio per l’Italia è stato un obbligo altrimenti l’economia sarebbe crollata del tutto e anziché morire di virus prima o poi si sarebbe cominciato a morire di fame e di depressione, come tristemente già registriamo soprattutto tra alcuni imprenditori che di fronte alla impossibilità di riavviare la loro attività si sono tolti la vita.
Tuttavia, già a poche ore dall’avvio della nuova ed altrettanto delicatissima fase, da più parti si sono sollevati cori di giustificata indignazione avendo tutti notato un crescente numero di concittadini (inqualificabili) dediti a perdere tempo in giro senza avere con se le mascherine o tenerle abbassate, magari formando anche piccoli gruppetti di passeggio e chiacchiericcio. A questi esseri indegni si è subito aggiunta l’ormai puntuale piaga di chi ritorna ciclicamente dal Nord, pur avendone sacrosanto diritto, ma senza osservare le norme di autodenuncia e temporaneo isolamento preventivo. Addirittura ai varchi autostradali e nelle stazioni ferroviarie di arrivo si sono registrati fin da subito anche casi di persone scese al Sud con sintomi influenzali evidenti o addirittura affetti da “Covid19”.
Così rischiamo davvero di vanificare tutti gli immani sforzi fatti e come tanti nostri concittadini già anticipano, tra due settimane potremmo leggere statistiche di nuovo tanto negative da far paventare il ripristino delle ristrettezze tra cui la totale quarantena.
Però forse adesso sarebbe il caso di svegliarci un po’ tutti e smettere di subire unilateralmente gli ormai soliti slogan della politica e i tragicomici siparietti di chi ci governa, a fronte dei quali davvero poco è stato fatto, salvo degli insufficienti contributi elargiti ad alcune categorie professionali per calmierare le più che giustificate agitazioni e l’allestimento di qualche ricovero ospedaliero modulare che non potrà mai sopperire al depredamento fatto in danno alla buona Sanità, e quindi agli ospedali e policlinici incompiuti da decenni.
Ancora una volta la nostra Politica non sta dando sufficienti risposte e continua ad addossare ai singoli Comuni (da anni lasciati a se stessi con pochi mezzi e poche risorse), ai cittadini ed ai lavoratori, tutto ciò che essa continua a non fare, lasciandoci così sostanzialmente soli a combattere un gigante senza averne mezzi, salvo strillare che la quarantena di tutti è l’unico mezzo per combattere la pandemia. Ma così non è perché Germania, Francia ed altri paesi della UE, che grazie all’ausilio di maggiori mezzi messi in campo: sanitari, economici ed organizzativi, riescono a coniugare al meglio l’irrinunciabile protezione della salute e la migliore attività economica possibile.
Orbene, se fino a ieri si sono stati minacciati lanciafiamme e forse anche l’invio di testate nucleari a chi voleva far festa in barba alle sacrosante indicazioni di distanziamento, questa volta invece di attendere brutte notizie per magari pensare di richiudere tutto, tanto ciò come ad oggi fatto a “costo zero” per la Politica ma a costo salatissimo di chi vuole o deve lavorare, si potrebbero mandare le Forze dell’Ordine anche per strada in modo più massiccio, fin da subito, e così ripristinare la nuova modalità di distanziamento sociale e, soprattutto, l’obbligo delle mascherine, perché solo immaginare di rimettere milioni di persone in casa e così distruggere definitivamente l’economia italiana per una minoranza di idioti che va in giro senza motivo è una follia che il Governo nazionale e Regionale non possono più permettersi di imporre alla cieca, senza prima porre in essere reali alternative al lockdown.
Ma bisogna agire subito perché a pagare il menefreghismo di pochissimi non deve più essere la quasi totalità di persone che rispettano le regole! Si è sempre parlato dell’eventuale impiego dell’esercito per non far uscire nessuno di casa…ebbene questo è il momento di far scendere per strada i militari a controllare l’uscita delle persone di casa. Non solo gli automobilisti quindi, ma adesso soprattutto i gruppetti di persone che ad ogni ora del giorno passeggiano ed “ocheggiano” come nulla fosse, ignorando ogni forma di rispetto per se stessi e per il prossimo.
Treni dal Nord. La foto è relativa ai rientri del giorno 8 marzo dal Nord
Neanche questa volta è stato fatto un censimento dei rientri dal Nord o un controllo sistematico ed irrinunciabile vista la tragica esperienza di alcune settimane fa. Invece no, tutto sulle spalle dei cittadini e del “buon senso a gratis” che da solo però non potrà mai bastare.
Si manifesta allora inconcepibile che per questi pochi miserabili si richiuda tutto magari per altri 6, 12 o 18 mesi, troppo facile e troppo comodo per i governanti, perché oggi proprio gli imprenditori e tutti i lavoratori sono proprio quelli che realmente rispettano tutte le regole e garantiscono il miglior contenimento del Virus, ed invocano solo tamponi e mascherine a costi sostenibili.
L’economia non può essere fermata ancora, non tutta almeno. Quello che deve invece essere contenuto fin da subito, non attendendo passivamente i prossimi e peggiori bollettini, è l’atteggiamento di questi “parassiti sociali” che se ne vanno allegramente in giro fregandosene di tutto e di tutti. Si intervenga sul serio allora, con urgenza ed in modo mirato e soprattutto si avvii finalmente una campagna a tappeto dei tamponi che mancano ancora in modo vergognoso dall’inizio della pandemia soprattutto in Campania, perché solo con i test da somministrare immediatamente nei possibili focolai di virus si può subito intervenire a contenerne la diffusione senza dover mettere tutti in isolamento in modo indiscriminato.
Perché solo così possiamo ritornare alla normalità, quella che magari forse inizia a fare paura a chi ci governa, perché da quel momento inizieremo a chiedere alla politica tutto ciò che è mancato in questa pandemia, tutto ciò che non è stato fatto, tutte le commesse milionarie aggiudicatein questi periodi per le vie brevi giustificate dell’emergenza, e soprattutto chi ha moncato e depredato la Sanità in questi anni fino ad ieri, così mandando a morire operatori sanitari ed ammalati che in molti casi potevano e dovevano salvarsi.
“Il mondo ha scoperto poco prima delle 14 del 15 marzo che gli Stati Uniti stavano bombardando obiettivi Houthi in tutto lo Yemen. Io, invece, l’ho saputo due ora prima. E il motivo per cui l’ho saputo prima è che Pete Hegseth, il segretario alla Difesa, mi aveva inviato un sms con il piano di guerra alle 11.44. Il piano includeva informazioni precise su pacchetti di armi, obiettivi e tempistiche”. Così il direttore della rivista The Atlantic, Jeffrey Goldberg, ha raccontato la vicenda incredibile che lo ha coinvolto quando il suo numero è apparso all’interno di una chat di gruppo su Signal altamente classificata tra il capo del Pentagono, il vice presidente americano JD Vance e altri funzionari di primo piano.
“Non può essere vero?”, racconta di aver pensato il giornalista che ha ricostruito la storia a partire dall’11 marzo, quattro giorni prima il fatidico messaggio, quando ha ricevuto una richiesta di connettersi alla chat da parte di un certo Michael Waltz. Inizialmente dubbioso che si trattasse veramente del consigliere per la sicurezza americana Goldberg ha accettato con riluttanza e ha scoperto di essere entrato in un gruppo chiamato ‘Houthi PC small group’ di cui facevano parte i più alti funzionari del Pentagono e della sicurezza americana.
Per giorni i membri della chat, ignari della presenza del direttore, si sono scambiati messaggi iperclassificati che includevano informazioni precise sui tempi degli attacchi, sulle armi che sarebbero state utilizzate, persino discussioni sul morale dei soldati, nonché nuove stoccate all'”Europa parassita”. In pratica, non era solo un gruppo di pianificazione logistica ma un luogo di scambio sui processi decisionali attorno alle imminenti azioni militari. Goldberg alla fine ha deciso di uscire dalla chat ed è stato soltanto dopo la pubblicazione del suo articolo, quasi dieci giorni dopo i fatti, che il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale, Brian Hughes, ha ammesso l’incredibile disguido.
“Il numero” del direttore “è stato erroneamente incluso in una chat di gruppo altamente confidenziale”, ha spiegato il funzionario assicurando che è in corso un’indagine per capire come ciò sia potuto accadere. Donald Trump ha dichiarato di non saperne nulla ma ne ha approfittato per attaccare The Atlantic, “rivista terrribile”, come se la colpa del gravissimo errore fosse del giornalista. Per gli esperti la fuga di notizie potrebbe avere conseguenze di vasta portata sulla sicurezza nazionale, la segretezza operativa e l’integrità della pianificazione militare e non sarebbe mai dovuta accadere. Non un banale errore, insomma, ma il segnale di quanto facilmente informazioni sensibili possano essere diffuse. Lo stesso Goldberg non esclude guai giudiziari per i promotori della chat.
Colloqui fiume di oltre 12 ore, a porte chiuse, con gli americani impegnati su due tavoli paralleli con gli emissari di Kiev e Mosca, ma senza apparenti svolte salvo l’annuncio di un comunicato Usa-Russia, atteso per martedì. Il percorso verso una tregua in Ucraina, al termine del nuovo round di colloqui a Riad, si conferma accidentato, perché sono rimasti sospesi i nodi di un cessate il fuoco alle reti dell’energia e della ripresa in sicurezza della navigazione commerciale del Mar Nero. A frenare è soprattutto il Cremlino, che ha parlato di “molti aspetti su cui lavorare” e che dopo ore e ore di colloqui con gli Usa ha chiarito che le delegazioni non avrebbero firmato alcun documento.
Tutto questo mentre da Washington Donald Trump aggiungeva altra carne al fuoco, facendo sapere che in Arabia Saudita si è discusso anche di confini territoriali (un tema ben più impegnativo e di più lungo respiro) e del controllo delle centrali nucleari, a partire da Zaporizhzhia. Il team tecnico americano, composto tra gli altri dall’ex ufficiale dell’intelligence dell’esercito Andrew Peek, è sbarcato a Riad per tentare di riavvicinare russi e ucraini, con l’obiettivo di fare passi avanti verso una prima parziale cessazione dell’ostilità, finora rimasta lettera morta nonostante l’impegno verbale delle due parti.
Trump auspica che l’intesa entri in vigore entro Pasqua ma Mosca, prima di iniziare gli incontri sauditi, ha rilanciato la palla nel campo ucraino, affermando che l’esercito russo sta rispettando lo stop agli attacchi alle reti energetiche. Tanto che ha proposto agli americani di monitorare la situazione sulle centrali, per trarne “le conclusioni pertinenti”: ossia che sono gli ucraini a violare l’accordo. Accusa subito rinviata al mittente da Kiev, con Volodymyr Zelensky che ha accusato la Russia di aver “influenzato alcune persone del team della Casa Bianca attraverso la disinformazione”.
Altro tema dei colloqui di Riad, la tregua nel Mar Nero. Un punto proposto in prima battuta dagli ucraini ma che interessa anche i russi. Se l’accordo del grano venisse ripristinato, Mosca potrebbe infatti riprendere a esportare prodotti agricoli e fertilizzanti attraverso quella rotta, alleggerendo il peso delle sanzioni occidentali. Anche su questo dossier, tuttavia, non è emerso nulla di sostanziale. Salvo dichiarazioni generiche pronunciate tra le pieghe dei colloqui dal team russo, che ha parlato di interlocuzione “interessante” con gli Usa. Quanto agli ucraini, c’era in programma un nuovo scambio con la controparte americana dopo il primo giro d’orizzonte di domenica sera.
La tregua fa parte di un negoziato a tutto campo che crei le fondamenta per una pace duratura, ha poi spiegato in serata Trump in un briefing con la stampa alla Casa Bianca. “Stiamo parlando di territorio in questo momento. Stiamo parlando di linee di demarcazione, stiamo parlando di energia, della proprietà delle centrali elettriche”, ha detto il presidente, aggiungendo: “Alcune persone dicono che gli Stati Uniti dovrebbero possedere le centrali elettriche, in particolare la grande centrale nucleare”, ossia l’impianto di Zaporizhzhia. Trump, guardando sempre alle prospettive di una pace duratura, ha poi rilanciato il tema dell’accordo sulle terre rare con Kiev, ribadendo che sarà firmato “a breve”.
Non legato ai colloqui di Riad, ma comunque connesso al tema delle garanzie di sicurezza, resta sempre sullo sfondo l’ipotesi di una missione internazionale di pace per monitorare il rispetto delle intese tra Mosca e Kiev. In questo ambito si registra una smentita di Pechino rispetto alla notizia diffusa dai media tedeschi di un possibile coinvolgimento di sue truppe sul terreno. A questo dossier, al momento, lavora soltanto la coalizione dei volenterosi, che farà un nuovo punto giovedì in una riunione a Parigi convocata da Emmanuel Macron. Questo progetto è stato difeso a spada da tratta da Keir Starmer, respingendo al mittente le critiche dell’inviato Usa Steve Witkoff, che aveva bollato l’iniziativa inutile. Allo stesso tempo, rivelano alti ufficiali britannici al Telegraph, l’operazione avrebbe problemi di fattibilità, anche per la mancanza di dettagli cruciali sulle truppe e sugli equipaggiamenti messi a disposizione dai diversi Paesi.
Il disimpegno di Vivendi da Tim è iniziato e il mercato si interroga sulle possibili mosse di Poste, di recente entrata nel capitale col 9,8% al posto di Cdp. A Piazza Affari la cessione del 5%, che porta i francesi sotto la soglia del 20% (al 18,37%), è stato accolto con favore e a fine seduta il titolo ha guadagnato il 2,09% a 0,3 euro. Ma la spinta maggiore l’hanno ricevuta le risparmio, balzate a 0,34 euro (+4,4%) sulle attese che il progetto di conversione, avversato da Vivendi, possa tornare d’attualità.
“Non escludiamo, come ipotizzato anche in diversi articoli di stampa, che il grosso della partecipazione residua possa essere comprato da Poste, che potrebbe acquisire fino al 15% circa del capitale ordinario, salendo al limite della soglia d’opa del 25% (circa 700 milioni di esborso ai valori correnti)”, osserva Equita: il suo rafforzamento “fornirebbe poi al gruppo una governance più solida e flessibilità strategica”. Si “eliminerebbe un elemento di incertezza sui prossimi passi della storia di turnaround del gruppo, vista la posizione molto critica di Vivendi sull’esecuzione del piano industriale presentato al mercato da Labriola e il veto che era stato posto in passato da Vivendi sull’operazione di ottimizzazione della struttura del capitale”. “L’intenzione è di vendere la nostra quota, questo è il piano. Abbiamo sentito diverse speculazioni ma quando potremo vendere a buone condizioni lo faremo: il nostro è un approccio molto pragmatico”, aveva dichiarato il ceo Arnaud de Puyfontaine un paio di settimane fa.
Ci si aspettava però che vendesse la partecipazione a un acquirente industriale (Iliad o Poste) o finanziario (Cvc) piuttosto che sul mercato. Se le operazioni proseguiranno, segnala Barclays, ci potrebbe essere il rischio di overhang (un eccesso di azioni offerte che fa scendere il prezzo del titolo) ma per ora il mercato ha solo guardato alle opzioni che si aprono per Tim. Sul tema del consolidamento anche l’ad Labriola ha la sua da dire e ripete che uno dei vantaggi è la riduzione dei costi. e non deve far temere un aumento dei prezzi. “Il consolidamento, porterà le aziende a mettere insieme le reti e questo comporterà un’assunzione di costo minore” ha spiegato recentemente ribadendo che per Tim ci sono solo “due partner ideali: iliad e Poste, tutti gli incroci che portano a una quota di mercato sopra il 45% sono impraticabili”. Un deal con iliad avrebbe caratteristiche industriali di riduzione delle reti mentre “con Poste la partnership può accelerare la condivisione della ‘customer platform'”, la base clienti. Si guarda quindi al cda di Poste di giovedì prossimo (26 marzo) e a quello di Tim del 14 aprile.