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Coronavirus, parla Giordano: attenti, il virus circola ancora e gli asintomatici sono un serbatoio di contagio

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Se da alcune settimane la vita in Italia è quasi tornata alla normalità, non significa che il virus sia scomparso o sconfitto. Seppur con minore intensità, Sars-Cov 2 continua a circolare. Basta poi allargare lo sguardo oltreoceano per trovarsi di fronte ad una realtà completamente diversa. Gli Stati Uniti vivono un momento drammatico e contano al momento 3,7 milioni di contagi (67mila nellultimo giorno) e 140mila decessi. Quanto è concreto il rischio che una nuova ondata travolga il nostro Paese in autunno? A che punto è la ricerca di un vaccino? Abbiamo rivolto queste ed altre domande al Professor Antonio Giordano, oncologo e ricercatore napoletano di fama mondiale, oggi direttore dello Sbarro Institute della Temple University di Philadelphia.

Professor Giordano, parliamo dellautunno che verrà. Quanto è concreto il rischio di una nuova ondata di contagi?

Prima di rispondere vorrei ribadire, in questo periodo di forti polemiche, che il lavoro degli scienziati è quello di accelerare il processo di eliminazione del Coronavirus, per cui i nostri appelli non devono essere interpretati come allarmi ma come utili consigli. Tornando alla domanda, la mia risposta è sì, anche se non abbiamo certezze in merito alla seconda ondata, il rischio c’è. Il virus continua a circolare, e continua a circolare senza aver cambiato aspetto. Sars-CoV 2 al momento non mostra significative mutazioni che lo avrebbero potuto indebolire. Potrebbe sembrare una malattia più mite, meno insidiosa, ma più probabilmente c’è stata una variazione nella popolazione clinica piuttosto che nel virus.

Quali fattori potrebbero favorire una seconda ondata?

Il numero dei contagi in molti Paesi è ancora alto. Gli asintomatici sono infettivi e, pertanto, stanno fungendo da serbatoioper il virus. La seconda considerazione riguarda, invece, la stagionalità del virus. I Coronavirus sono una vasta famiglia di virus che causano infezioni, per lo più respiratorie, e alcuni virus respiratori mostrano un andamento stagionale, con diffusione scarsamente efficiente in presenza di temperature più alte. I Coronavirus tendono ad essere virus invernali. Nell’aria fredda e secca, i sottili strati di liquido che ricoprono i nostri polmoni e le vie respiratorie diventano ancora più sottili, e le ciglia che poggiano in quegli strati faticano a eliminare virus e altre particelle estranee. Nel caldo e nell’umidità dell’estate gli agenti patogeni hanno difficoltà a proliferare allinterno del tratto respiratorio superiore. Questo può dipendere sia dal virus stesso che resiste meglio in condizioni più umide sia da una minore efficienza del nostro sistema immunitario durante linverno. Inoltre, la famose goccioline responsabili della trasmissione virale, non si essiccherebbero con temperature più umide e fredde.

Ritiene che istituzioni e cittadini stiano facendo abbastanza per farsi trovare preparati dinanzi a questa possibilità? Come giudica il comportamento degli italiani in questa fase? C’è prudenza e rispetto delle norme oppure abbiamo abbassato troppo la guardia?

Purtroppo la pandemia Covid-19 ci ha insegnato che la prudenza non è mai troppa. Non è facile prendere decisioni in questo momento, soprattutto le decisioni che hanno forti ripercussioni sulla economia mondiale. In alcuni casi, credo che si sia abbassata troppo la guardia: immagini di locali stracolmi di persone non sono certamente indice di prudenza. Abbiamo imparato a gestire il virus ma non lo abbiamo ancora eradicato. Non abbassiamo la guardia!

A che punto è la ricerca del vaccino per il Coronavirus? In quanto tempo potremmo disporre di un vaccino pronto alluso?

Per ottenere il vaccino tanto desiderato sono necessari tempi per garantire efficacia e contemporaneamente sicurezza della popolazione mondiale, ma finalmente cominciamo ad avere alcuni dati incoraggianti. È recente la pubblicazione di uno studio sullautorevole rivista scientifica New England Journal of Medicinein cui viene dimostrato che un approccio vaccinale è in grado di indurre una buona risposta anticorpale, simile a quella che viene riscontrata nei pazienti guariti. Questo tipo di vaccino, inoltre, non si basa sullattenuazione virale ma sulluso di parti ricombinanti del virus. Questi dati sono quindi utili sia per comprendere lefficacia della vaccinazione, sia quale sia il miglior metodo di produzione del vaccino. Ma non soffermiamoci esclusivamente sul vaccino, lidentificazione di una terapia specifica per questo Coronavirus è altrettanto necessaria ed urgente.

Gli Stati Uniti sono ormai lepicentro della crisi Coronavirus, con oltre 3 milioni di casi accertati. Quali sono stati gli errori più evidenti dellamministrazione Trump? I contrasti e la mancanza di unità dintenti rischiano di complicare la gestione dellemergenza nel Paese nordamericano?

In America, purtroppo, si sta assistendo ad un aumento dei casi e anche dei casi che necessitano di ospedalizzazione. LAmerica si è mostrata frammentata: la mappa dei paesi americani che hanno cominciato ad allentare le misure restrittive sembra aver seguito criteri geografici, sociologici e ideologici. Molti stati hanno cominciato a ridurre il lockdown, altri hanno proprio riaperto. Per massimizzare le possibilità di successo per porre fine alla pandemia da Covid-19, bisogna che si sia uno sforzo coordinato globale e soprattutto unitario.

Imperversa negli Stati Uniti lo scontro fra Donald Trump e limmunologo Anthony Fauci, a capo della task force Contro il Covid-19. Quali sono i punti di frizione?

Prima di tutto bisognerebbe capire se è uno scontro reale o uno scontro mediatico. Ma pur avendo appurato tale dinamica non sarebbe questa la via di uscita per il superamento della pandemia negli USA. Come ho anticipato nella risposta precedente in questo momento lunione fa la forza, è necessario sforzarsi in modo compatto nella stessa direzione. Tale incomprensione potrebbe avere ripercussioni dirette sulle sulla gestione della epidemia.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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