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Salute

Coronavirus: Oms, nei bimbi infiammazione organi

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L’Organizzazione mondiale della sanita’ accende i riflettori sul possibile legame tra la Covid-19 e le particolari sindromi infiammatorie, che possono interessare diversi organi, segnalate in bambini e adolescenti in Europa e Usa. Ad oggi, non sono molti i dati clinici relativi ai piu’ piccoli, tuttavia sono in aumento le segnalazioni di infiammazioni pediatriche tali da richiedere anche il ricovero in terapia intensiva. L’Oms ha dunque sviluppato una prima definizione per classificare tali casi nei bambini: e’ la Sindrome infiammatoria multi-organo. L’allerta arriva sulla base delle segnalazioni giunte da Europa e Usa di bambini ricoverati per una condizione di ‘infiammazione sistemica’ con alcune caratteristiche simili alla Malattia di Kawasaki, che puo’ compromettere le arterie del cuore, o di shock tossico. E’ stata descritta in questi casi una patologia “acuta” accompagnata da una “sindrome iper infiammatoria” che porta alla compromissione di piu’ organi. L’ipotesi iniziale e’ che tale sindrome possa essere collegata alla Covid-19, data la sierologia positiva nella maggioranza dei pazienti pediatrici. In questi casi i bambini sono stati trattati con terapie antinfiammatorie. Per questo, avverte l’Oms, “e’ essenziale caratterizzare questa sindrome ed i suoi fattori di rischio, capire le cause e descrivere gli interventi per il trattamento”. Infatti, “non e’ chiara l’intera patologia e se la distribuzione in Europa e nord America rifletta la realta’ o se tale condizione semplicemente non sia stata riconosciuta negli altri Paesi”. L’Oms sottolinea quindi che vi e’ un “urgente bisogno di raccogliere dati standardizzati che descrivano le manifestazioni cliniche, la gravita’, esiti ed epidemiologia”. La definizione preliminare di ‘Sindrome infiammatoria multisistema’ serve a “identificare i casi sospetti o confermati sia al fine di erogare i trattamenti sia al fine di effettuare un monitoraggio”. Ad oggi, segnala il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc), sono in totale 230 nell’Unione europea i casi sospetti riportati tra i bambini della nuova sindrome infiammatoria multisistemica associata alla Covid-19, di cui due morti (uno in Francia e l’altro nel Regno Unito). Tra le condizioni che definiscono tale sindrome vi sono febbre, congiuntivite, infiammazione orale, sulle mani o sui piedi, problemi gastrointestinali acuti. Attualmente, rileva l’Ecdc, gli studi epidemiologici hanno mostrato che i bambini tra i 0 e 14 anni sembrano comunque essere meno colpiti dal virus SarsCov2: rappresentano solo il 2,1% di tutti i casi confermati in laboratorio. Per questo motivo l’Ecdc continua a considerare basso il rischio complessivo di Covid-19 per i bambini in Europa, sulla base della probabilita’ di avere la malattia e il suo moderato impatto. I bambini che nel mondo risultano al momento avere invece una diagnosi di Covid-19 confermata dagli esami di laboratorio, rileva l’Oms, sono 345 e il 23% di questi aveva anche una condizione di patologia pregressa. (

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Neonata con rara malformazione nata a Salerno e gestita con competenza dai medici

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Parto eccezionale all’ospedale di Salerno. Una donna di 38 anni è stata dimessa dal Reparto di Gravidanza a Rischio dell’Aou San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, diretto dal dottor Mario Polichetti, dopo aver dato alla luce una neonata con una rarissima malformazione. La paziente era stata trasferita dall’ospedale di Polla al Ruggi dove ha partorito sua figlia che sta bene anche se è tuttora ricoverata nel reparto di Neonatologia, diretto dalla dottoressa Graziella Corbo, per ulteriori controlli. La neonata, di quasi 3 chili, è portatrice di una condizione genetica molto rara, denominata ‘Situs Inversus’, ovvero un collocamento anomalo degli organi del torace e dell’addome con inversione di posizione, rispetto alla loro sede usuale.

La piccola paziente, ha infatti il cuore, lo stomaco e la colecisti a destra ed una malformazione della vena cava, vicariata dalla vena emiazygos. “Il parto in questione – spiega Polichetti – è un evento davvero straordinario e deve essere gestito con estrema competenza, per evitare eventuali complicazioni, ma siamo fieri ed orgogliosi che si sia concluso nel migliore dei modi”.

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Salute

Una vita più lunga di 5 anni con le giuste abitudini

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Quando si tratta di longevità, il patrimonio genetico è importante. Lo stile di vita, però, lo è altrettanto, ed è in grado di compensare gli svantaggi derivanti da una cattiva predisposizione genetica. Anche le persone che hanno un profilo genetico che le espone a un maggior rischio di morte prematura, infatti, possono ribaltare la sorte e guadagnare oltre 5 anni di vita aderendo a stili di vita sani: non fumare, evitare l’alcol, avere una corretta alimentazione, svolgere attività fisica. A questo risultato è giunto uno studio internazionale pubblicato sulla rivista BMJ Evidence- Based Medicine. La ricerca ha coinvolto oltre 350 mila persone, classificandole sulla base del loro profilo genetico e dello stile di vita.

La prima scoperta a cui sono giunti i ricercatori è che le abitudini hanno un peso maggiore della genetica sull’aspettativa di vita: le persone con stili di vita dannosi avevano un rischio di morte prematura (prima dei 75 anni) del 78% più alto rispetto a quelli con stili di vita sani. La genetica, invece, aumenta solo del 21% le probabilità di morte precoce. Le cose si complicano notevolmente quando una persona con profilo genetico negativo ha stili di vita non sani: il tal caso il rischio di morire prima di compiere i 75 è più che doppio. Ciò che è più importante, però, è che quando una persona con una cattiva genetica aderisce a stili di vita sani il suo rischio si riduce del 54%.

Tradotto in anni, ciò equivale a 5,2 anni di vita guadagnati. “Le politiche di sanità pubblica per favorire stili di vita sani potrebbero costituire un potente complemento all’assistenza sanitaria e diminuire l’impatto dei fattori genetici sulla durata della vita umana”, scrivono i ricercatori. Nelle stesse ore in cui veniva pubblicato lo studio, un’altra ricerca – in tal caso condotta dall’Ufficio europeo dell’Oms – ha confermato che, per quel che riguarda gli stili di vita, la pandemia ha avuto un effetto distruttivo, soprattutto nei bambini.

La ricerca ha mostrato che, durante la pandemia, per il 35% dei piccoli tra 7-9 anni è aumentato il tempo trascorso a guardare la Tv, a usare videogiochi o social media; per il 28% si è ridotto il tempo trascorso nelle attività all’aperto. È inoltre raddoppiata, passando dall’8 al 16%, la percentuale di bambini percepiti in sovrappeso dai genitori. Per alcuni aspetti, le cose sono andate anche peggio in Italia, che è stato uno dei Paesi in cui si è più ridotto il tempo trascorso fuori (-40%) e si è registrato un più ampio aumento del sovrappeso percepito dai genitori, passato dal 10 al 25%. È anche calato il consumo di frutta e verdura e aumentato quello di snack dolci e salati. “Non possiamo permetterci di ignorare queste tendenze: nella nostra Regione, 1 bambino su 3 è in sovrappeso o obeso e già il consumo di frutta e verdura è basso”, ha detto Kremlin Wickramasinghe, esperto dell’Oms Europa. “Spero che questo rapporto faccia scattare l’allarme”.

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Borotalco al cancro, J&J propone 6,5 mld di dollari per chiudere le cause sul cancro

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Il colosso farmaceutico americano Johnson & Johnson ha presentato un piano per porre fine alle cause civili sul talco accusato di provocare il cancro in base al quale è disposto a pagare circa 6,5 ;;miliardi di dollari. “Questo piano è il culmine della nostra strategia di risoluzione consensuale annunciata in ottobre”, ha spiegato Erik Haas, vicepresidente degli affari legali di J&J, citato in un comunicato stampa. “Da quella data, il gruppo ha lavorato con gli avvocati che rappresentano la stragrande maggioranza dei ricorrenti per trovare una soluzione a questa controversia, che anticipiamo con questo piano”, ha detto. Secondo il piano, J&J ha accettato di pagare circa 6,475 miliardi di dollari in venticinque anni per reclami relativi a problemi ovarici (99,75% dei reclami attuali).

Gli altri disturbi riguardano il mesotelioma, soprannominato ‘cancro da amianto’, e vengono trattati separatamente. Il piano proposto prevede un periodo di tre mesi durante il quale i ricorrenti saranno informati della sua esistenza. Sarà convalidato se il 75% lo accetterà. Il gruppo precisa che gli avvocati dei ricorrenti che hanno collaborato al suo sviluppo “lo appoggiano”. Il talco è accusato di contenere amianto e di provocare il cancro alle ovaie. Cosa che l’azienda continua a smentire, anche se l’ha ritirato dal mercato nordamericano. Haas ha denunciato in questo senso la “distorsione degli studi scientifici”. Una sintesi degli studi pubblicati nel gennaio 2020 e riguardanti 250.000 donne negli Stati Uniti non ha trovato un legame statistico tra l’uso del talco sui genitali e il rischio di cancro alle ovaie.

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