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Politica

Chiude il G7 della Cultura, inizia l’era di Giuli: a lui le redini del Mic

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Con la chiusura del G7 della Cultura, si chiude formalmente l’era di Gennaro Sangiuliano alla guida del Ministero della Cultura e, da lunedì, il nuovo inquilino del Collegio Romano prenderà in mano le redini della gestione della cultura in Italia. Lo fa con un sincero ringraziamento al suo predecessore per il lavoro fatto: “Ringrazio l’ex ministro Sangiuliano che ha concepito, ideato, voluto e creato le premesse di questo G7 di successo” dice in conferenza stampa a chiusura del summit di Napoli. E anche se non ci sta a definire il G7 della Cultura, “l’ultimo atto del mio predecessore…ha qualcosa di funereo”, parla piuttosto di “sintesi perfetta”. “E’ un lavoro iniziato non solo dal ministro Sangiuliano ma da un gruppo e da me, anche se mi sono da poco insediato” mette in chiaro prendendosi i suoi meriti.

Ora, se da un lato annuncia che intende fare di tutto per “cercare di non perdere”, come consigliera del Mic, Beatrice Venezi, finita nel frullatore mediatico dell’affaire Boccia, dall’altra sussurra l’inizio di una nuova via. Le mostre, ad esempio, che erano state da subito “manifesto” della sterzata che intendeva imprimere il suo predecessore alla narrazione culturale del paese, non saranno più appannaggio di indicazioni ministeriali. ” Non saranno mai mie mostre, nascono dalle idee che saranno portate dai direttori dei musei, è sbagliato pensare che siano il capriccio di un ministro” replica a chi gli chiede quale sarà il “timbro” che intende apporre alla sua gestione.

Largo quindi ai tecnici e avanti con i progetti già in cantiere: “non è in discussione ciò è che è stato già incardinato”. E comunque, “le mostre erano state previste non da Sangiuliano ma dal ministero della cultura con lo straordinario apporto delle Fondazioni”. Di sicuro prende le distanze dalle vicende dell’ex ministro e si rifiuta anche lontanamente di pensare che le delegazioni internazionali arrivate a Napoli per il G7 possano essersi sentite in imbarazzo per le vicende legate al suo predecessore: “Il mondo ci guarda con grandissimo rispetto con attenzione prepolitica del tutto indifferente al gossip” assicura. Ripete che il summit, soprattutto l’idea di farlo allargato, è stato un successo: “Non mi aspettavo tanti incoraggiamenti ed in blocca al lupo ma non tanto a livello personale, mai come oggi l’Italia è al centro. Del resto quando si parla di cultura l’Italia parte con un credito gigantesco nei confronti di chiunque”.

E’ di Giuli, d’altra parte, l’idea di chiamare il ministro ucraino Mykola Tochytsky a prendere parte in un ruolo di ospite d’onore all’evento, proprio mentre tutta l’Europa discute di come aiutare il paese il paese in guerra. Da Napoli ottiene la dichiarazione dei ministri dei 7 grandi che mettono nero su bianco la “ferma condanna all’aggressione su vasta scala della Russia contro l’Ucraina”. E a Napoli rimette in agenda gli obiettivi del Piano Mattei per costruire “nuove forme di cooperazione basate sulle esigenze effettive delle nazioni africane e ispirate al rispetto delle loro sensibilità e dei loro interessi, distanziandosi dall’approccio predatorio che ha caratterizzato l’epoca della colonizzazione e quello paternalistico che spesso abbiamo visto negli ultimi sessant’anni”.

La cultura, sottolinea Giuli, è quindi uno dei settori di intervento del Piano italiano, “perché crediamo che l’Africa abbia risorse culturali straordinarie e vogliamo collaborare con i governi africani perché siano preservate, valorizzate, sviluppate, celebrate”. E quindi largo alle nuove Pompei africane: “la Tunisia e l’Eritrea hanno siti archeologici di valore straordinario che possono rappresentare per quei Paesi” quello che rappresenta il sito campano per l’Italia. E anche la Nigeria, assicura, è “una grande potenza culturale mondiale”.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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