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Corona Virus

Chi favorisce il contagio va arrestato, lo Stato sia autorevole perchè è a rischio la sicurezza nazionale

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Lui è Alberto Maria Picardi. Di professione fa il giudice, peraltro in un ruolo apicale. Ma non è importante il lavoro che svolge per conto dello Stato ai fini di questo racconto. È importante che si sappia che Picardi è un eccellente giurista. Ed è uno che parla solo quando è necessario. E questo è uno di quei momenti “necessari”. Sul suo profilo social, il presidente Alberto Maria Picardi ci  spiega che “chiunque viola le disposizioni della quarantena, o anche quelle in tema di zone rosse, o anche quelle che impongono di non recarsi al pronto soccorso, se affetto da Coronavirus o in attesa degli esiti del tampone, o con sintomi tipici di infezione virale (qualora successivamente accertata come esistente), può essere tratto in arresto e rischia una pena fino ad anni 12 di carcere”.

Davanti a questa spiegazione così semplice di norme giuridiche (gli articoli 438 e 452 del codice penale) nemmeno così complesse che prevedono sanzioni severe (l’articolo 438 commina l’ergastolo a chi cagiona una epidemia), appare incomprensibile la strafottenza di questa moltitudine di persone che quotidianamente, in costanza di circostanze eccezionali, di uno stato di emergenza nazionale, continuano a fare esattamente tutto quello che è vietato: assembramenti; apertura di strutture aperte al pubblico che dovrebbero essere chiuse; apprestamento di asili nido di  fortuna o ludoteche improvvisate dove genitori scellerati abbandonano figli per ovviare alle scuole e altre strutture chiuse per il contagio; abbandono delle zone rosse; spostamenti dentro le zone rosse o anche fuori dalle zone rosse non autorizzate; fughe verso aree dove il contagio è limitato e dunque possibilità di favorire una accelerazione della circolazione del coronavirus. Potremmo andare avanti nella elencazione di quelle che noi giornalisti definiamo scelleratezze ma che invece andrebbero qualificati come reati e pertanto così andrebbero perseguiti. Che cosa si può fare affinchè le autorità con autorevolezza possano perseguire chi quotidianamente e impunemente commette reati che concorrono alla propagazione del contagio e a spingere il nostro Paese verso il baratro di una catastrofe sanitaria dalle proporzioni inimmaginabili?

Protezione civile nazionale. È questa la regia che coordina tutti gli sforzi per fermare il contagio nel Paese

A questa domanda ha risposto Alberto Maria Picardi ricordandoci che quando non rispettiamo le disposizioni previste dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri per fronteggiare l’emergenza coronavirus commettiamo reati. Sicuramente quelli previsti dagli articolo 438 e 452 del codice penale che prevedono pene detentive pesanti, fino all’ergastolo. Ma è vero anche che prim’ancora che commettere reato, favorire la propagazione del contagio ci espone alla sanzione morale di una comunità intera che viene messa a rischio dal comportamento criminale di chi per scelleratezza, insipienza, ignoranza e strafottenza non rispetta le regole minime di buona educazione sanitaria e di comportamento chieste dalla comunità scientifica. Perchè il coronvirus è un nemico invisibile, non lo si batte con l’esercito ma con la comunità scientifica, con i ricercatori, soprattutto quelli italiani, che stanno combattendo una battaglia epocale nei laboratori per ridurre al minimo l’impatto di questo covid19 sulla salute pubblica. Noi cittadini possiamo dare una mano semplicemente seguendo quei consigli che limitano al minimo le possibilità di contagio e dunque danno più tempo agli scienziati di trovare un vaccino efficace e consentono alla macchina della sanità publica di affrontare con ordine la sfida della cura di chi è contagiato e necessita di cure importanti.

Poggioreale. Le rivolte nelle carceri italiane sono un segnale: i detenuti colgono il momento di debolezza dello Stato

Col nostro comportamento scellerato, con la strafottenza, con l’ignoranza di chi se ne infischia delle regole, abbiamo quasi trasformato città enormi in lazzaretti, ospedali in accampamenti e stiamo letteralmente uccidendo una classe medica che è sottoposta oramai da due settimane a turni di lavoro che non sono umani. È vero, è la nostra pagina più buia, è vero che ce la faremo, ma lo Stato per essere autorevole e per dimostrare di avere una classe dirigente adeguata, deve cominciare a fare i conti con la realtà. Se è vero che siamo in una fase di emergenza straordinaria, allora va usata tutta la forza di cui lo Stato dispone per imporre queste regole minime per fermare il contagio.

Se non siamo capaci di farlo con le nostre forze di pubblica sicurezza, anche l’uso dell’Esercito, anche i blindati in strada, anche il coprifuoco la sera va bene. Va bene qualunque misura che possa essere utile per chiudere in casa per 3/4 settimane gli italiani che non vogliono capire che il momento è grave. Su esercito e altre misure eccezionali, il Capo dello Stato, Sergio Mattarella è garante degli equilibri e dell’equilibrio dei nostri poteri costituzionali. Mattarella presiede anche il CSD (Consiglio supremo di Difesa). Se non fermiamo il contagio è a rischio la sicurezza e l’unità nazionale. Allora prima che succeda, si faccia qualcosa per imporre le regole. Si faccia quello che si deve fare per sanzionare chi non rispetta le regole. Non abbiamo le carceri? Si mettono agli domiciliari i delinquenti che non osservano le regole anti coronavirus.

(Nella foto in evidenza di Salvatore Laporta per Kontrolab si vedono alcune delle centinaia di persone che ieri, in fuga da Milano dichiarata zona rossa, sono scese alla stazione centrale di Napoli. Sono tutti potenzialmente bombe biologiche che possono esplodere e seminare il contagio in un’area del Paese dove è ancora lenta la propagazione del coronavirus)

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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