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Champions, Napoli sfortunato: il Real Madrid vince al Maradona

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Gol, spettacolo, agonismo. C’è tutto questo in Napoli-Real Madrid di Champions. Alla fine, al termine di una partita emozionante, ricca di colpi di scena, la spunta i madrileni, ma il Napoli esce tra gli applausi del pubblico del ‘Maradona’ che accetta la sconfitta e si gode lo spettacolo. Il risultato lo decide un autogol di Meret, incolpevole perché la palla gli batte sulla schiena e finisce in porta. Ma il Napoli gioca alla pari con la squadra di Ancelotti e la mette in lunghi momenti della gara in grosse difficoltà. La tattica di Garcia è semplice e si basa sul principio che sfidare il Real tentando di rubare agli spagnoli il predominio del gioco non sarebbe una scelta oculata. Gli azzurri, dunque, quando i madrileni sono in possesso del pallone, preferiscono aspattarli nella loro metà campo per chiudere loro da un lato le linee di passaggio verso la porta di Meret e per tentare di lanciare Osimhen e Kvaratskhelia nel caso in cui si offrissero occasioni per le ripartenze veloci. La squadra di Garcia, però, trova il gol del vantaggio su calcio da fermo. E’ il 18′ quando Kvaratskhelia batte un calcio d’angolo. Natan colpisce di testa anticipando Kepa e manda il pallone sulla tarversa. Sulla ribattuta si avventa Ostigard che colpisce a sua volta di testa e manda il pallone in rete. Il Real, pur in svantaggio, non cambia di una virgola il proprio atteggiamento tattico. Per rimettere gli spagnoli in carreggiata arriva un errore clamoroso di Di Lorenzo che al 26′ sbaglia un disimpegno alquanto semplice e cede il pallone a Bellingham il quale serve Vinicius smarcatosi in area di rigore. Per il brasiliano è semplice trafiggere Meret con un diagonale rasoterra. Nel Napoli sembra non mancare l’animo per una reazione, ma il centrocampo in fase propulsiva soffre la prestazione sotto tono di Anguissa e difficilmente gli azzurri riescono a essere propositivi.

Anche l’apporto di Kvaratskhelia alla manovra offensiva è limitato per le mancate sovrapposizioni di Olivera che si disimpegna quasi esclusivamente nella propria metà campo, preoccupato dallo spirito di iniziativa di Carvajal che su quella fascia gioca sostanzialmente da centrocampista aggiunto. Dopo una fase di equilibrio arriva all’improvviso il gol del vantaggio dei madrileni. E’ il 33′ quando Bellingham si incunea nell’area di rigore avversaria, sfrutta un rimpallo favorevole con Ostigard e batte Meret. Il Napoli reagisce cn un colpo di testa di Osimhen sventato da Kepa e mantiene vivo il risultato alla fine della prima frazione di gioco. Al Napoli non manca il coraggio e nella ripresa l’atteggiamento della squadra di Garcia cambia totalmente. Gli azzurri si riversano all’attacco e vengono premiati dopo 8 minuti. Osimhen concludea rete da distanza ravvicinata a Nacho devia con un braccio. Dopo un lungo controllo il Var richiama l’arbitro Turpin che concede il calcio di rigore.

Zielinki riporta la gara in parità. Il Napoli cresce e il Real cala. Gli spagnoli vengono messi alle corde e sono costretti a difendersi con le unghie nella loro area di rigore. Ancelotti manda in campo Modric al posto di Kroos allo scopo di riprendere in mano il pallino del gioco. Ma i padroni di casa spingono soprattutto sulla sinistra con Kvaratskhelia, coadiuvato da un più coraggioso Olivera, che semina il panico nella difesa madrilena. E’ però il Real Madrid a tornare in vantaggio. E’ il 33′ quando Modric batte un calcio d’angolo contestato dagli azzurri che chiedono una punizione per fallo su Olivera. Ostigard devia di testa e Valverde da 25 metri fa partire un tiro che sbatte sulla traversa. Il pallone colpisce Meret sulla schiena e finisce in rete. Nella fase finale della gara il Napoli si riversa in attacco alla ricerca del gol del pareggio. Il Real si aggrappa al vantaggio che riesce a portare fino in fondo, conquistando tre punti fondamentali nell’economia del girone.

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Tra i disperati di Gaza in fuga anche dal sud

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La Striscia di Gaza si è risvegliata nell’incubo, dopo un settimana di tregua e di speranze che il peggio fosse ormai passato. E anche tra le strade di Khan Yunis, la cittadina del sud dove si sono riparati migliaia di sfollati arrivati dal Nord, domina la disperazione mentre risuona l’eco dei raid. Lì oggi è stata bombardata una moschea, una delle tante già finite nel mirino perché ritenute da Israele luoghi di di sostegno all’ala militare di Hamas. Malgrado fosse venerdì, giorno di preghiera, la struttura era deserta. Ma il muezzin che dal minareto leggeva i versetti coranici è rimasto ucciso.

“Anche oggi – raccontano in città – saremo costretti a pregare in casa”. Come avviene ormai da settimane: le famiglie riunite con gli uomini seduti davanti e le donne dietro e il più anziano, o il più erudito, che svolge la funzione. A Khan Yunis sta arrivando anche una folla di migliaia di persone, attraverso l’ormai nota arteria che divide la Striscia – la Sallah-a-din -, dai villaggi del settore orientale: quello più agricolo, il meno abitato, il più vicino alla linea di demarcazione con Israele. Da lì, secondo Israele, si sono ripetuti i lanci di razzi e in mattinata l’esercito ha fatto planare dal cielo migliaia di volantini che ordinavano l’evacuazione di quattro villaggi: Karara, Khuzaa, Abassan, Bani Suheila. Le evacuazioni iniziano quindi a riguardare anche il sud della Striscia, finora indicato come ‘zona di sicurezza’, e non più solo il nord.

I nuovi sfollati si sono messi in cammino per lo più a piedi, in un silenzio quasi funebre, con volti inespressivi, scioccati con in mano qualche valigia ed abiti pesanti, in previsione di dover trascorrere notti all’addiaccio. Fra le migliaia di persone si sono contate solo 5-6 automobili, a testimonianza che di benzina non ce ne è più. Sono arrivati all’accampamento dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per i profughi, vicino al mare: “Lì almeno c’è la speranza di avere qualcosa da mangiare per non rischiare la fame”, ha raccontato sconsolata una donna. Dappertutto il clima è tetro: “Eravamo sicuri, o comunque volevamo sperare, che il cessate il fuoco avrebbe retto, che ormai la guerra fosse un brutto ricordo del passato. Ma perché Hamas non ha rilasciato gli ostaggi, perchè queste nuove sofferenze?”, ci si chiede nei caffè.

E i timori vanno anche a quanto si è lasciato dietro spalle, in quelle case e in quelle vite abbandonate in fretta e furia. Con le voci di saccheggi al nord che si diffondono a macchia d’olio. In molti raccontano del caso di un ladro, scoperto in una casa di Jabalya rimasta incustodita dopo che il proprietario era stato costretto a sfollare a sud. L’intruso è stato sopraffatto dai vicini di casa e legato ad un palo. “Un caso esemplare, ma certo non unico”, dicono a Khan Yunis. Molti hanno lasciato i propri appartamenti sotto le pressioni dell’esercito, e non sempre hanno fatto a tempo a portare con sé le cose più preziose che avevano. “Oltre alle percosse, cos’altro sarebbe possibile fare? Ormai qui a Gaza non c’è più polizia, non ci sono più tribunali”, commentano alcuni sfollati stringendo le spalle.

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Bilaterali Meloni a Dubai su Gaza, vede Erdogan ed Herzog

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L’urgenza di dare una “svolta” all’azione contro i cambiamenti climatici. Ma anche quella di trovare la via per una “pace duratura” in Medio Oriente. Giorgia Meloni si presenta alla Cop28 con l’annuncio di 100 milioni di euro che l’Italia verserà al nuovo fondo contro i danni provocati dal clima nei paesi più vulnerabili. Ma la guerra tra Israele e Gaza, con la tregua finita, i nuovi attacchi di Hamas, e la ricerca di terreni di mediazione internazionale inevitabilmente occupano gran parte dell’agenda parallela al vertice. La premier arriva all’Expo City di Dubai in tempo per la foto di famiglia (baci con il segretario dell’Onu Antonio Guterres, un momento di incertezza sull’etichetta per il saluto al presidente degli Emirati Arabi bin Zayed). Ci sono quasi 150 leader (l’Iran se ne va, proprio per la presenza di Israele) e una delle edizioni più partecipate di sempre perché non c’è più tempo da perdere per rendere concreta la transizione. Che va accompagnata anche nel campo dei sistemi alimentari, una “priorità”, con attenzione particolare all’Africa, l’altra “priorità” per l’Italia.

La premier ne parla con il primo ministro etiope Abiy Ahmed in uno dei diversi bilaterali che avrà nel corso della giornata. Il più delicato, quello con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Si erano sentiti solo poche settimane fa, e a Dubai Meloni cerca di richiamare il ruolo che Ankara può giocare nell’evitare un “allargamento” del conflitto al resto della regione. Mentre Erdogan fa sapere di avere sì sottolineato l’importanza di una “stretta cooperazione con l’Italia” per arrivare alla fondazione di uno Stato palestinese basato sui confini del 1967. Ma allo stesso tempo di aver ribadito che è “essenziale prendere misure efficaci per fermare Israele in modo tale da porre fine alle uccisioni” a Gaza.

Roma invece condanna il nuovo attacco di Hamas e la premier porta direttamente al presidente israeliano Isaak Herzog la “solidarietà” dell’Italia che, ribadisce, rimane “al fianco del popolo israeliano in questo difficile momento”. C’è anche, nelle parole della premier, l’auspicio per una nuova pausa umanitaria e l’impegno italiano per curare soprattutto i bambini feriti, con il team di medici arrivato con lei da Roma e la nave ospedale della marina militare Vulcano che attraccherà domenica ad Al Arish in Egitto. Di Gaza parla anche con il primo ministro del Libano, Najib Miqati (mentre Hezbollah rivendica un nuovo attacco) e della situazione al confine con Israele che resta critica.

E con l’emiro del Qatar, in prima fila nei negoziati, Tamim Al Thani. Tra un intervento e l’altro, e prima di andare all’Opera di Dubai per il concerto dell’orchestra della Scala, Meloni si confronta anche con gli amici Rishi Sunak e Narendra Modi – in India è “popolare”, sottolineano da Palazzo Chigi, e lo dimostra l’attenzione di “studenti e giornalisti” indiani (l’incontro con la stampa italiana è rinviato). E ha un rapido scambio con il segretario di Stato Usa Antony Blinken ma anche, tra gli altri, con il presidente francese Emmanuel Macron.

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Pil, l’Istat alza le stime del terzo trimestre, +0,1%

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L’Istat rivede al rialzo la stima del Pil del terzo trimestre migliorando quella preliminare diffusa a fine ottobre: si passa dalla crescita zero a un +0,1% sia congiunturale sia tendenziale. Resta comunque ferma a +0,7% la crescita acquisita per il 2023. “Alla lieve crescita del Pil contribuiscono positivamente sia i consumi delle famiglie e delle istituzioni sociali private per 0,4 punti percentuali, sia la domanda estera netta per un punto percentuale, mentre la variazione delle scorte fornisce un contributo negativo”, commenta l’Istat. Cresce dello 0,3% il valore aggiunto dell’industria e dello 0,1% quello dei servizi, mentre risultano ancora in flessione agricoltura, silvicoltura e pesca (-1,2%). Sono positivi gli andamenti di posizioni lavorative, unità di lavoro e ore lavorate, cresciuti rispettivamente dello 0,1%, 0,2% e 0,4%, così come i redditi pro-capite, cresciuti dell’1,1%.

Rispetto al trimestre precedente, tra i principali aggregati della domanda interna risultano in crescita i consumi finali nazionali in misura pari allo 0,6%, mentre gli investimenti fissi lordi si riducono dello 0,1%. Le importazioni sono diminuite del 2% e le esportazioni sono aumentate dello 0,6%. Il segnale è timido e bisognerà attendere i dati dei prossimi mesi per un quadro più accreditato. Intanto, secondo l’Indice Hcob Pmi sul settore manifatturiero (si tratta di un indice redatto da S&P Global) a novembre l’indice italiano è calato a 44,4 da 44,9 di ottobre, a livello minimo in cinque mesi. Il dato è inferiore alle stime degli analisti che prevedevano un aumento a 45,3.

I dati di novembre hanno osservato un “forte crollo della produzione, il più veloce in tre mesi, che è stato attribuito dalle aziende che partecipano all’indagine alla continua debolezza della domanda del settore, che ha inoltre causato un calo dei nuovi ordini”. Si tratta comunque di un dato migliore di quello registrato da Hcob Pmi per il settore manifatturiero Eurozona, che a novembre è a 44,2, (in crescita rispetto al 43,1 di ottobre). E migliore di quello della Germania che si attesta a 42,6. L’Istat ha diffuso anche i dati sulla produttività nel 2022. Questa segna una diminuzione dello 0,7%, come risultato di un incremento delle ore lavorate più intenso di quello del valore aggiunto (rispettivamente +4,8% e +4,1%). La dinamica negativa della produttività del lavoro segue un lungo periodo di crescita, seppur lenta, 0,5% in media negli anni 2014-2022,. In questo arco di tempo, nell’Ue a 27 si è registrata una crescita del 1,3%. La dinamica dell’Italia è risultata inferiore a quella della Germania (1,1%) ma superiore a quella della Francia (-0,1%) e in linea con quella della Spagna.

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