La fortuna non ti è amica? Ti si rompe l’otturatore? I diaframmi dell’obiettivo si bloccano? Non funziona l’esposimetro interno?, Nessun problema, cambi l’apparecchio fotografico e le riparazioni non sai nemmeno a cosa possano servire.
Anche nella fotografia, l’usa e getta è oramai un modo di essere, di fare ed operare all’ordine del giorno e forse, realmente più economico delle riparazioni.
Il secolo scorso, appena 25 anni fa, su per giù, non la si pensava allo stesso modo, le fotocamere erano oggetti che si desideravano per anni, prima di riuscire ad acquistarli, anche per i professionisti funzionava allo stesso modo. Una Hasselblad era il frutto di vari anni di lavoro precedenti e di tante cambiali firmate all’atto dell’acquisto, una Linhof o una Sinar 13cm x 18 cm la si desiderava per tantissimo tempo, prima che la si potesse acquistare e si avessero in portafoglio i clienti che commissionandoti lavoro, facevano in modo di poterla mantenere e onorare le cambiali firmate. Valeva per tutto, per gli ingranditori, per gli obiettivi, per i flash e per tutti gli accessori che servivano ad offrire un prodotto professionalmente sempre all’avanguardia. Proprio per questo e per i costi che tali attrezzature comportavano, difficilmente, quando sopravveniva un problema meccanico, questi beni oramai acquistati e acquisiti venivano rottamati. C’erano, specialmente a Napoli, specialisti nelle riparazioni delle attrezzature fotografiche, dei veri e propri “medici” specializzati in malattie meccaniche dovute all’usura, ad incidenti o all’inesperienza, si, perché capitava anche che un obiettivo sganciato male, facesse venir via lo zoccolo o la ghiera dalla macchina fotografica, oppure una pellicola inserita in modo maldestro potesse bloccare la macchina o addirittura intaccare le tendine dell’apparecchio. Tanti problemi che oggi paragonati al display che non si accende, o alle strisce nel mirino digitale verrebbero risolti con il cambio dell’apparecchio fotografico, ma il secolo scorso, c’erano loro, i FotoCineRiparatori, una sola parola, da dire tutta d’un fiato. Si ricorreva a loro confidando in essi per la riacquisizione di una macchina perfetta dopo l’intervento e cosi era. Erano i confessori, i consiglieri e i taumaturghi di ogni fotografo. Non parlavano mai delle riparazioni effettuate ad altri fotografi, per non far diminuire il prezzo dell’apparecchio nel caso dovesse essere rivenduto, divenivano anche amabili complici dei fotografi. Ma tutti sapevano di queste loro qualità per cui tutti stavano al gioco, sapendo che alla fine i veri garanti dell’integrità delle apparecchiature erano loro e solo loro.
Oggi, da quei tempi, come un higlander, ne è rimasto solo uno, il mitico Vincenzo Romano che insieme al figlio, specializzato in obiettivi ed alcune apparecchiature digitali continuano ad esercitare al Monte di Dio nell’oramai storico laboratorio di Via Egiziaca. Vincenzo si commuove quando restaura (si, perché oggi lui può essere definito un restauratore) una macchina fotografica analogica, sia essa una Rolleiflex, una Nikon F2 o una Comet Bencini. Non è, purtroppo, lo stesso per l’altro storico punto napoletano, Il laboratorio di Foto Riparazioni Martusciello in Via Duomo a Napoli. Il famoso laboratorio Martusciello in via Duomo, uno dei piu’ antichi a Napoli, fondato nel 1923 da Mariano e poi tramandato al figlio Giuseppe è stato uno dei punti di riferimento per tante generazioni di fotografi analogici napoletani. Nei primi anni della sua attività Mariano Martusciello collaborava anche con tutte le produzioni cinematografiche nella città, quando Napoli era considerata la capitale del cinema Italiano. Chiuso da tempo, per la scomparsa di Giuseppe, Mariano, non ha seguito le orme familiari, ma è legatissimo a quello che fu il luogo dove è cresciuto e ha conosciuto i fotografi napoletani e non. Mariano continua, tra le tante difficoltà a mantenere lo spazio, benché non aperto, ma almeno riesce a non smantellarlo, fin quando potrà. Riesce con difficoltà a non chiuderlo e smembrare una fetta cospicua di ricordi analogici che altrimenti andrebbero al macero per l’assenza di un posto istituzionale dove conservare questo patrimonio fotografico composto da polaroid, macchine analogiche, obiettivi in ferro e cristalli, banchi ottici, apparecchiature per tarare esposimetri e flash e tanti attrezzi da riparazione. Non esiste, come tante altre negligenze in città e in special modo in merito alla fotografia, non esiste un luogo che possa accogliere, anche gratuitamente questi che sono oltre che ricordi, veri e propri pezzi museali. Non è una prerogativa della città di Napoli, è difficile trovarne anche in altre città. E’ una sorta di paradosso o legge del contrappasso: tutto ciò che è servito a registrare ricordi e memoria, probabilmente non dovrà essere ricordato e dovrà subire l’oblio della memoria.
Il laboratorio di Foto Riparazione Martusciello in Via Duomo.
ph. Mario Laporta/KONTROLAB
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Il laboratorio di Foto Riparazione Martusciello in Via Duomo.
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Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse,
Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES.
Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli.
Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli.
Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it
E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International.
Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.
Nel quattordicesimo giorno del processo per la morte di Diego Armando Maradona, ha deposto il dottor Fernando Villarejo, responsabile della terapia intensiva della Clinica Olivos, dove il campione fu operato per un ematoma subdurale il 2 novembre 2020, appena 23 giorni prima della sua morte.
Villarejo, 67 anni, con oltre 40 anni di esperienza, ha dichiarato davanti ai giudici del Tribunale Penale Orale n. 3 di San Isidro che Maradona fu operato senza alcun esame preoperatorio, esclusivamente per volontà del suo medico di fiducia, il neurochirurgo Leopoldo Luque, nonostante non vi fosse, secondo i medici della clinica, alcuna urgenza immediata.
Trattamento per astinenza e decisione di sedazione
Tre giorni dopo l’intervento, Villarejo partecipò a un incontro con la famiglia e i medici curanti. Fu allora che Luque e la psichiatra Agustina Cosachov confermarono che l’obiettivo era trattare i sintomi di astinenza da sostanze e alcol.
«Maradona era ingestibile, difficile da trattare dal punto di vista comportamentale», ha riferito Villarejo, aggiungendo che Luque e Cosachov ordinarono di sedare il paziente, consapevoli dei rischi: depressione respiratoria, complicazioni infettive, cutanee e nutrizionali. La sedazione iniziò il 5 novembre e durò poco più di 24 ore, finché lo stesso Villarejo decise di ridurla, vista l’assenza di un piano preciso.
Il caos in terapia intensiva: “Potevano entrare con hamburger o medicine”
Il medico ha denunciato un clima caotico nel reparto: «Troppe persone in terapia intensiva, potevano portare hamburger o qualsiasi altra cosa. È stato vergognoso, scandaloso». Ha poi ammesso: «Mi dichiaro colpevole, ero una pedina su una scacchiera con un re e una regina», riferendosi al peso dell’ambiente vicino a Maradona.
Ricovero domiciliare e responsabilità
Villarejo ha raccontato che il ricovero presso la clinica non era più sostenibile. Fu deciso il trasferimento a casa, dove secondo l’ultima pagina della cartella clinica, fu la famiglia a chiedere l’assistenza domiciliare, sostenuta da Luque e Cosachov.
In aula ha testimoniato anche Nelsa Pérez, dipendente della società Medidom incaricata dell’assistenza a casa Maradona. Pérez ha ammesso che, secondo lei, in Argentina non esistono ricoveri domiciliari, ma che il termine viene usato per semplificazione. La testimone ha nominato Mariano Perroni come coordinatore dell’équipe, composta dagli infermieri Dahiana Madrid e Ricardo Almirón.
Tensione in aula: accuse di falsa testimonianza
Le affermazioni di Pérez hanno generato momenti di alta tensione in aula. Gli avvocati Fernando Burlando e Julio Rivas hanno chiesto la detenzione della testimone per falsa testimonianza, ma i giudici hanno rigettato la richiesta.
Nel corso del controinterrogatorio, Pérez ha confermato che non fu ordinato alcun monitoraggio dei parametri vitali, ma che veniva comunque effettuato dall’infermiera per scrupolo, a causa di precedenti episodi di tachicardia.
I dati raccolti nei primi tre mesi del 2025 confermano una situazione drammatica per la qualità dell’aria nelle città italiane. Secondo l’Osservatorio Mobilità Urbana Sostenibile, promosso da Clean Cities Campaign e Kyoto Club, in molti capoluoghi i livelli di PM2,5 (polveri sottili) e biossido di azoto (NO₂) hanno superato abbondantemente i limitifissati dalla Direttiva europea e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
In alcune zone urbane, come Torino Rebaudengo, non si è registrato neanche un giorno sotto i limiti dall’inizio dell’anno, evidenziando un’emergenza ormai strutturale.
Le città più colpite: Padova, Milano, Napoli, Torino e Palermo
Per quanto riguarda il PM2,5, i superamenti dei limiti sono stati registrati già nel primo trimestre nelle città di Padova, Milano, Brescia, Torino, Vicenza, Modena, Bergamo, Parma, Terni, Trento e Bologna. La maglia nera per il biossido di azoto (NO₂) va invece a Palermo, Napoli, Messina, Genova, Torino, Catania, Milano, Vicenza, Venezia e Trento.
L’inquinamento come emergenza sanitaria
«L’inquinamento atmosferico è una vera emergenza sanitaria», afferma Roberto Romizi, presidente dell’Associazione Italiana Medici per l’Ambiente (ISDE Italia). «Le evidenze scientifiche dimostrano l’aumento di malattie respiratorie, cardiovascolari, neurodegenerative, problemi riproduttivi e disturbi dello sviluppo nei bambini. Non possiamo più permetterci esitazioni. Servono politiche urgenti e coraggiose, in linea con le indicazioni dell’OMS».
Le richieste di Kyoto Club: mobilità sostenibile e transizione energetica
Per Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, è essenziale «procedere rapidamente verso la decarbonizzazione, investendo in efficienza energetica, fonti rinnovabili e soprattutto mobilità sostenibile». Una critica netta viene rivolta al Governo per la Legge di Bilancio 2025, che avrebbe dirottato risorse verso il Ponte di Messina, sottraendole a trasporto pubblico locale e mobilità attiva: «Così si aggrava l’emergenza climatica e sanitaria».
I numeri che preoccupano l’Europa
Secondo l’OMS, oltre 7 milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo a causa dell’inquinamento atmosferico. L’Agenzia Europea dell’Ambiente stima decine di migliaia di morti premature ogni anno solo in Italia per esposizione a inquinanti.
L’esercito libanese ha smantellato “oltre il 90 per cento” dell’infrastruttura militare del gruppo filo-iraniano Hezbollah nel Libano meridionale, vicino al confine con Israele, ha dichiarato un funzionario all’Afp. “Abbiamo completato lo smantellamento di oltre il 90 percento delle infrastrutture di Hezbollah a sud del fiume Litani”, ha dichiarato un funzionario della sicurezza, a condizione di mantenere l’anonimato. L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hezbollah libanese prevede lo smantellamento delle infrastrutture di Hezbollah.