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Economia

Campania, rapporto Istat: il 53,1% della popolazione regionale vive nell’area metropolitana di Napoli

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“La popolazione residente in Campania, all’1 gennaio 2024, è di quasi 5 milioni e 600 mila persone e rappresenta il 9,5% della popolazione residente in Italia, il 41,7% di quella del Sud e il 28,3% di quella del Mezzogiorno. L’articolazione territoriale della regione è chiaramente caratterizzata in senso urbano. Le città sono 77 in tutta la regione e raccolgono il 56% della popolazione (35,2% la media italiana e 35,4% per quella del Mezzogiorno) mentre il peso delle piccole città e dei sobborghi (171 comuni; 32% della popolazione regionale) è decisamente più ridotto (47,9% la media-Italia). È piuttosto bassa anche la quota dei residenti nelle zone rurali (12,1% a fronte del 16,9% italiano)”. Questi i dati forniti dall’Istat nel rapporto, giunto alla sua seconda edizione, ‘BesT’ dove si delineano i profili di benessere equo e sostenibile per ciascuna delle 20 regioni italiane e per le rispettive province a partire dalla lettura integrata degli indicatori del Bes dei territori.

La Campania, sottolinea l’Istituto, si connota inoltre per una netta prevalenza di popolazione residente nei comuni polo e cintura (82,8%), con valori decisamente più elevati della media del Mezzogiorno (63,9%) e del totale Italia (77,4%). Invece è ridotta l’incidenza delle aree interne: i comuni più distanti dai centri in cui si trovano i servizi essenziali raccolgono il 17,2% della popolazione residente (22,6% in Italia). Nella regione, la città metropolitana di NAPOLI ha un peso preponderante in termini demografici rispetto alle restanti 4 province, raccogliendo il 53,1% della popolazione regionale. Con il contributo delle province di Caserta e Salerno si supera l’88%.

Nel 2023 la dinamica demografica in Campania è in deciso calo. Si registra infatti, spiega il rapporto, una perdita nell’anno di 19.460 residenti (-3,5 per mille) a fronte di una tendenza nazionale di sostanziale stabilità (-0,1 per mille). L’andamento campano è determinato dal segno negativo di entrambe le componenti: quella naturale, con la maggiore perdita (-2,6 per mille), cui si somma il calo, più contenuto, registrato da quella migratoria (-0,9 per mille). Il tasso di crescita naturale è negativo in tutte le province. Quello migratorio invece registra dinamiche di segno opposto in alcuni territori, e in particolare nella provincia di Caserta, dove è positivo e contribuisce al pareggio del bilancio demografico 2023.

Il numero medio di figli per donna (1,29 nel 2023) è leggermente più alto della media nazionale e della ripartizione di appartenenza (rispettivamente 1,20 e 1,24), con una discreta variabilità sul territorio (da 1,14 della provincia di Avellino a 1,34 di Caserta). La struttura per età, con un indice di vecchiaia di 155, anziani (65 anni e oltre) per 100 persone di 0-14 anni, è decisamente meno sbilanciata che a livello nazionale (200 ogni cento), grazie alla maggiore incidenza tra i residenti in regione di persone tra 0 e 14 anni di età e alla più bassa quota di anziani 65+.

La provincia di Benevento presenta il maggiore squilibrio intergenerazionale pari a 213 anziani ogni cento giovani; nella provincia di Caserta si registra l’indice più basso (139). I residenti di cittadinanza straniera sono il 4,7% della popolazione regionale (4,3 punti percentuali in meno della media nazionale) con le incidenze maggiori nelle province di Caserta e Salerno (rispettivamente 5,9 e 5,2%). Il sistema produttivo regionale presenta una vocazione nel settore terziario, con il 76% di occupati, quota più elevata di quella nazionale (73,2%).

Nella città metropolitana di NAPOLI si ha la maggiore specializzazione occupazionale nei servizi (79,3%degli occupati). Le province di Caserta e Salerno registrano un peso del terziario (rispettivamente 73,7 e 73,4% degli occupati) pressoché in linea con la media-Italia. La provincia di Avellino è la più vocata nell’industria in senso stretto con una quota di occupati (17,5%) maggiore della media-Italia, mentre le altre province si collocano tutte sotto il valore nazionale e sono piuttosto omogenee fra di loro, non superando il 13% degli occupati. Una maggiore componente agricola è caratteristica delle province di Benevento (9,3) e Salerno (6,4), dove l’importanza del comparto è tale da superare decisamente non solo il valore regionale, ma anche quello nazionale (3,6 in entrambi i casi).

Nel 2021, ultimo anno di riferimento delle stime disponibili a livello provinciale e secondo anno della pandemia, l’economia campana ha generato un valore aggiunto di 100.197 euro (valori correnti), il 6,1% del valore aggiunto nazionale. In termini pro-capite si è prodotta una ricchezza pari a circa 17.815 euro per abitante e a 53.641 euro per occupato. Entrambi gli indicatori posizionano la regione vicino al dato della ripartizione (18.283 e 53.476 rispettivamente) ma lontano da quello nazionale di confronto (27.688 e 65.031). I livelli minimi regionali si trovano nella provincia di Caserta per il valore aggiunto per abitante (16.353), e nella provincia di Avellino per il valore aggiunto per occupato (48.536), mentre la città metropolitana di NAPOLIpresenta i risultati migliori fra le province campane (18.363 e 56.047 euro).

Nel 2021, conclude il rapporto, il comparto industriale e dei servizi (esclusa la Pubblica Amministrazione) conta 367.475 imprese attive localizzate in Campania e 397.743 unità locali (u.l.), circa l’8% del totale nazionale e il 28% circa del Mezzogiorno. La dimensione media delle u.l. (3,0 addetti) è uguale al valore del Mezzogiorno e più bassa di quello nazionale (3,6). In termini relativi, in Campania sono attive circa 107,5 unità locali di imprese ogni mille abitanti di 15-64 anni; anche il valore di questo indicatore di densità imprenditoriale è più basso in confronto all’Italia (130,9) e al Mezzogiorno (108,9). Fra le province la densità è maggiore a Salerno e Benevento (120,4 e 119,3).

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Ita, per la prima volta Ebit positivo

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Risultato operativo positivo per Ita Airways, a 3 milioni di euro nel 2024, per la prima volta e “in anticipo rispetto alle previsioni del piano industriale, senza aver beneficiato delle sinergie con il gruppo Lufthansa grazie a performance operative e commerciali”. Lo rende noto il cda della compagnia italiana che ha approvato il bilancio chiuso con una perdita di 227 milioni, rilevando come grazie a questi risultati “Ita si posizioni fra i tre migliori vettori a livello europeo”.

I ricavi hanno raggiunto 3,1 miliardi (+26% rispetto al 2023) di cui 2,7 dal traffico passeggeri (+26%), il margine operativo lordo è di 337 milioni. Secondo l’amministratore delegato e direttore generale della società, Joerg Eberhart, le sinergie con il gruppo aereo tedesco rendono “plausibile raggiungere anche un pareggio sostenibile del risultato netto”. In cassa a fine anno c’erano 476 milioni. Il presidente di Ita, Sandro Pappalardo, rileva inoltre come “prosegua il percorso virtuoso” dell’aviolinea iniziato nel 2021 con l’obiettivo di “rendere il Paese orgoglioso della nostra compagnia e garantire sempre maggiore connettività ai territori e ai passeggeri”.

Ita sottolinea che la perdita è stata influenzata “dagli effetti negativi dell’adeguamento contabile dei debiti e crediti in valuta estera ai tassi di cambio di fine anno, oltre che dagli oneri finanziari associati ai contratti di leasing relativi al piano di ammodernamento e incremento della flotta”. Che sarà di 99 aerei totali a fine anno (26 quelli nuovi già entrati) di cui il 65% di nuova generazione. Buono l’andamento del primo trimestre 2025 con la crescita dei principali indicatori: ricavi per circa 600 milioni (+15% sullo stesso periodo del 2024), 3,7 milioni di passeggeri trasportati (+1%) e 81% di load factor (+4 p.p.). Bene la performance della puntualità (87,9% di voli atterrati entro 15 minuti dall’orario previsto) e della regolarità (99,6% di voli effettuati rispetto a quelli previsti). Nel 2024 Ita ha operato circa 138mila voli di linea (+11% sul 2023) e trasportato circa 18 milioni di passeggeri (+19%) grazie alla maggiore capacità offerta e incrementando la propria quota di mercato domestico.

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Giorgetti: Unicredit libera su Bpm. Sale ipotesi addio

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Sono da muovere, e in parte lo saranno questa settimana, alcuni tasselli del risiko bancario che da Mps passando per Mediobanca e Banca Generali portano a Generali e si incrociano con Unicredit-Banco Bpm. Dalla partita non è escluso il governo che secondo Bloomberg non è intenzionato ad alleggerire i paletti, imposti col golden power, all’offerta di scambio promossa dal gruppo di Piazza Gae Aulenti sulla banca guidata da Giuseppe Castagna. Quest’ultimo ha già invitato Unicredit a dire se intende andare avanti o no. E’ ragionevole che nel cda del gruppo capitanato da Andrea Orcel, convocato domenica per approvare la trimestrale, si parli dello stato dell’arte sull’ops. Più difficile prevedere se sarà presa una decisione sull’operazione. Uno stop è comunque considerato probabile se davvero le condizioni imposte dall’esecutivo non verranno ammorbidite.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha rinviato tutto a Piazza Gae Aulenti: “Fanno quello che vogliono”, ha risposto sull’ipotesi di una rinuncia all’offerta. Su un altro fronte, a Palazzo Chigi, potrebbe recarsi l’amministratore delegato di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel, nell’ambito degli incontri che sta programmando questo mese per convincere della bontà dell’ops su Banca Generali non solo le istituzioni ma anche i suoi azionisti che il 16 giugno saranno chiamati in assemblea a votare l’offerta. Tra questi l’amministratore delegato di Mediolanum, Massimo Doris, ha espresso apprezzamento sull’operazione dopo l’apertura già fatta dal numero uno di Delfin, Francesco Milleri.

“L’ops di Mediobanca su Banca Generali è una bella operazione, ammesso che vada a buon fine, e dal punto di vista industriale è un’operazione che ha sicuramente senso”, ha commentato Doris, primo azionista col suo gruppo (3,49%) e con la holding di famiglia Finprog (0,96%) nel patto di consultazione di Piazzetta Cuccia, che raggruppa l’11,87% del capitale. Banca Mediolanum, ha sottolineato, non teme la concorrenza di un gruppo rafforzato nel wealth management. Del resto Mediolanum aveva già visto di buon occhio la nascita di Chebanca! poi diventata Mediobanca Premier. Se l’ops sia poi compatibile o meno con l’offerta di Mps su Piazzetta Cuccia ha rimandato all’amministratore delegato del Monte dei Paschi, Luigi Lovaglio: “più che rispondere io ha risposto Lovaglio dicendo che l’operazione diventa ancora più interessante.

E questo lo decide chi ha lanciato l’offerta”. Doris ha detto di non aver ancora avuto un incontro formale con Nagel ma i due si sono sentiti. Sarà più avanti un cda ad hoc di Mediolanum a decidere come votare sull’ops di Mediobanca su Banca Generali in assemblea e per valutare l’offerta di Mps. Mercoledì nel consiglio di amministrazione di Generali, chiamato a formare i comitati interni, si inizierà anche a discutere – come ha indicato il presidente Andrea Sironi – il processo da seguire per valutare l’ops sulla controllata Banca Generali per la quale Piazzetta Cuccia ha messo sul piatto azioni del Leone pari al 6,5% del capitale della compagnia.

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Nagel incontrerà soci e istituzioni per ops su Banca Generali

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A una settimana dal cda di Mediobanca che ha approvato l’offerta pubblica di scambio su Banca Generali, nei prossimi giorni – da quanto si apprende – i vertici della banca guidati dall’amministratore delegato Alberto Nagel (foto Imagoecnomica) spiegheranno ad azionisti, istituzioni e dipendenti le ragioni industriali e i dettagli dell’operazione che recide il legame con Generali per dare vita a un polo italiano nella gestione del risparmio. Intanto Mediobanca ha pubblicato il documento informativo relativo ad operazioni di maggiore rilevanza con parte correlata.

Dal documento emerge che il comitato parti correlate, che si è riunito domenica scorsa prima del cda che ha approvato l’offerta, ha espresso parere favorevole sull’interesse della banca al compimento dell’operazione, nonché sulla relativa convenienza e correttezza sostanziale delle relative condizioni. Il sì del comitato composto da quattro consiglieri, è arrivato con l’astensione del presidente Sandro Panizza, che è stato eletto nel board nella lista di Delfin – azionista di Mediobanca con il 19,8% – , votata anche dal gruppo Caltagirone (7,3%).

“Panizza, pur comprendendo le ragioni industriali alla base dell’operazione, ha ritenuto di astenersi in considerazione del ridotto tempo disponibile per l’analisi di un’operazione così trasformativa per la banca, avuto riguardo a talune ipotesi industriali del management poste a base della valutazione e taluni assunti valutativi dell’advisor finanziario”. Così il documento di Mediobanca spiega l’astensione del presidente del comitato parti correlate sull’ops su Banca Generali.

Nel documento sono soprattutto esposti i benefici che, verosimilmente, i vertici della banca spiegheranno negli incontri delle prossime settimane a tutti gli stakeholder. In particolare, “Mediobanca ritiene che l’integrazione con l’Emittente, che darebbe vita ad un leader nel Wealth Management in Italia, sia nell’interesse di tutti gli stakeholders e del sistema finanziario italiano nel suo complesso: – gli azionisti di Banca Generali beneficerebbero di una rilevante possibilità di valorizzazione del proprio investimento, atteso che Mediobanca riconoscerà un corrispettivo superiore al massimo storico delle quotazioni di borsa di Banca Generali con un premio”; “gli azionisti di Mediobanca beneficerebbero di un significativo potenziale di creazione di valore derivante da sinergie di costo, di ricavo e di funding, unitamente ad una migliore diversificazione del rischio e del quality of earnings, oltre che a una maggiore generazione di capitale e conseguente capacità di distribuire dividendi; – i clienti di Banca Generali beneficerebbero del posizionamento distintivo di Mediobanca nel Private & Investment Banking” mentre “i clienti del gruppo Mediobanca beneficerebbero a loro volta della maggiore scala operativa del gruppo integrato, nonché della combinazione delle curve di esperienza e best practices; – i dipendenti dei gruppi di Banca Generali e di Mediobanca beneficerebbero della significativa combinazione di due realtà bancarie costruite secondo gli stessi fondamenti di cultura manageriale”; “i consulenti finanziari entrerebbero a fare parte di un campione nazionale con una posizione di leadership in molti ambiti di operatività, con un brand unico”.

Infine “il sistema finanziario italiano potrebbe contare su un operatore finanziario di alto profilo, leader in segmenti strategici dei servizi finanziari, con un progetto industriale distintivo, prospettive di crescita significative e creazione di valore per tutti gli stakeholders, con beneficio sia per il Gruppo Assicurazioni Generali, che fruirebbe di un partner bancario con accresciuta capacità distributiva e potenziale di crescita, sia per tutti gli azionisti di Banca Generali che riceveranno azioni Assicurazioni Generali qualora aderissero all’Offerta”.

Se Alberto Nagel riuscirà a convincere gli stakeholder e in particolare gli azionisti, chiamati a esprimersi nell’assemblea del 16 giugno, Mediobanca stima che “l’aggregazione tra Emittente e Offerente potrà consentire la piena valorizzazione delle potenzialità di entrambi, con un’elevata capacità di creazione di valore a beneficio degli azionisti, dei clienti, dei dipendenti e di tutti gli stakeholders. In particolare come è stato già indicato quando lunedì è stata comunicato l’ops, “facendo leva sulla maggiore massa critica del gruppo nel medesimo ambito di operatività, si generano significative economie di scala ed una migliorata efficienza operativa, con sinergie di costo lorde stimate a regime per circa 150 milioni”.

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