I fatti di Palermo, di Caivano, l’uccisione brutale del musicista Giovanbattista Cutolo, “Giogiò”, nel pieno centro di Napoli e le cronache criminali che vedono protagonisti sempre più i giovani spingono ognuno di noi a fare una seria riflessione. Don Mimmo Battaglia, cardinale di Napoli, “l’ho molto ringraziato per le cose che ha detto, per la richiesta di perdono che è anche la mia”, ha detto quasi con una smorfia di dolore, il presidente della Cei e arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, intervenuto stamattina all’apertura del Festival di Mediterranea “A bordo!”.
“È anche un impegno su cui lui e la città di Napoli – ha aggiunto allargando il contesto -, deve sentire la vicinanza di tutta la Chiesa”. “Serve sia inasprire le norme che l’educazione – ha quindi osservato sulla stretta del governo annunciata e arrivata nel pomeriggio con il via libera al decreto contenente misure contro la criminalità giovanile – ma sicuramente se non punti sull’educazione è difficile che pensi di risolvere” il problema. Parole che fanno seguito a un dibattito apertosi già ieri a partire proprio dall’omelia-mea culpa dell’arcivescovo Battaglia ai funerali di Cutolo, in cui don Mimmo, presenti anche le istituzioni, ha denunciato non solo l’assenza di soluzioni ma anche del lavoro. La linea della stretta con pene più severe e provvedimenti ad hoc per il contrasto delle bay gang e della delinquenza giovanile, viene sposata invece da don Maurizio Patriciello, il parroco del Parco Verde di Caivano che ha ospitato la premier Giorgia Meloni: “Basta buonismo” dice intervistato dal Corriere.it, e ok all’abbassamento della soglia della imputabilità dei minori ai 17 anni, comunque non previsto, perchè a quell’età “sono già scafati”. Di altro avviso le Acli, che in una nota affermano: “La criminalità minorile è un problema, ma quello che bisogna fare per risolverlo è prevenirlo”.
“La pena deve avere uno scopo rieducativo, soprattutto nel caso di minori – è il monito del presidente Emiliano Manfredonia – abbassare l’età imputabile sposta la responsabilità di noi adulti sui ragazzi, magari nati in contesti in cui l’illegalità è molto diffusa. A 12, 13 anni sappiamo bene che tanto ancora si può fare per aiutare questi bambini e le loro famiglie. Gli autori di reati, specie se minorenni, devono essere aiutati a comprendere la gravità del fatto compiuto, per diminuire le recidive: in questo la giustizia riparativa è un valido strumento”. Significativa anche la voce di don Mattia Ferrari, giovanissimo parroco e cappellano della Ong Mediterannea, di recente ricevuto anche da papa Francesco: “Bisogna come sempre prima di tutto incontrare le persone e conoscerle veramente – dice -. Io conosco tanti ragazzi delle baby-gang: in molti casi finiscono a compiere reati e atti gravi assolutamente ingiustificabili non perché siano cattivi, ma perché hanno un vissuto di sofferenze e di emarginazione sociale”. “Se vogliamo veramente contrastare la criminalità giovanile – aggiunge -, non dobbiamo inasprire le pene ma puntare sull’educazione e sulle relazioni con queste persone. È l’esempio che ci viene anche dalle grandi figure educative, come don Bosco. Puntiamo quindi sulle scuole, sugli oratori, puntiamo sulle relazioni, perché i ragazzi non finiscano per soffrire e sentirsi emarginati dalla società, ma si sentano amati. Quanti ragazzi sono stati salvati dalla delinquenza proprio perché hanno conosciuto l’amore!”.