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Cronache

Br, Prima Linea e Nar: l’Italia insegue 17 latitanti

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Di molti di loro le uniche immagini sono le foto in bianco e nero sui giornali di 40 anni fa. Di altri invece si sa tutto, dove vivono, cosa fanno, che attivita’ gestiscono. Altri ancora sono spariti nel nulla e di loro resta il dolore per la scia di sangue che si sono lasciati alle spalle. Dopo l’arresto dei 7 in Francia (e la fuga degli altri tre), sono 17 i terroristi protagonisti degli anni di piombo che l’Italia ancora insegue. I latitanti piu’ famosi sono Alessio Casimirri e Alvaro Lojacono, entrambi ex Br, entrambi in via Fani il 16 marzo 1978 quando fu sequestrato Aldo Moro, entrambi condannati all’ergastolo. Casimirri, nome di battaglia ‘Camillo’, e’ l’unico brigatista del commando mai arrestato. Fuggi’ in Nicaragua nel 1983 e li’, dove prese la cittadinanza dopo le nozze, vive ancora, con moglie e 2 figli. Esperto sub, da anni gestisce il ristorante, ‘la Cueva del buzo’ vicino a Managua, sulla costa del pacifico. Quando i giornali italiani  lo contattarono, a 20 anni dalla strage di via Fani, rispose cosi’: “quella e’ una storia passata e se ne potra’ parlare compiutamente quando si sara’ trovata una soluzione politica, globale e collettiva”. Nel 2004, in un’intervista al ‘Nuevo Diario’, nego’ di aver partecipato all’agguato: “stavo dando lezioni di educazione fisica in una scuola “. L’Italia ha chiesto piu’ volte l’estrazione ma la Costituzione nicaraguense vieta di consegnare un cittadino ad un altro paese. Alvaro Lojacono, che oggi si chiama Alvaro Baragiola grazie alla madre cittadina elvetica, vive invece in Svizzera. Oltre all’agguato di via Fani ha anche una condanna a 16 anni per l’omicidio dello studente greco di destra Mikis Mantakas. Arrestato nel 1988 dalle autorita’ svizzere per l’uccisione del giudice Tartaglione, dopo 9 anni ha avuto la semiliberta’. E’ stato arrestato una seconda volta nel 2000, su richiesta delle autorita’ italiane, su una spiaggia in Corsica, ma la Francia non ha concesso l’estradizione. Ha rotto un lungo silenzio dopo l’arresto di Cesare Battisti. “L’Italia non ha mai chiesto la mia estrazione e in ogni caso una ‘consegna’ equivarrebbe ad una deportazione alla boliviana”. Nel 2006 il nostro paese presento’ una richiesta di ‘exequatur’, cioe’ di esecuzione in Svizzera delle condanne italiane, respinta dai giudici perche’ incompleta. Ma se l’Italia dovesse ripresentarla completa? “L’accetterei senza obiezioni”, disse. Tra i latitanti anche tre ex Br della colonna genovese, Livio Baistrocchi e Lorenzo Carpi, condannati all’ergastolo, e Leonardo Bertulazzi, a 27 anni. Baistrocchi era tra i capi e partecipo’ all’attentato del procuratore Francesco Coco. Dove sia non si sa, anche se alcuni brigatisti hanno sostenuto che sia stato ucciso dai suoi stessi compagni dopo esser stato costretto a scavarsi la fossa. Non c’e’ traccia neanche di Carpi: era l’autista del commando che uccise nel 1979 il sindacalista della Cgil Guido Rossa. Leonardo Bertulazzi, nome di battaglia ‘Stefano’ con il quale partecipo’ al sequestro dell’armatore Pietro Costa, e’ invece in Argentina. E’ stato arrestato nel 2002 ma non e’ mai stata concessa l’estradizione. In Francia, invece, ci sono Paolo Ceriani Sebregondi, condannato all’ergastolo per l’omicidio del responsabile del servizio di sorveglianza della Fiat di Cassino Carmine De Rosa, e probabilmente Paola Filippi, ex militante dei Pac e una pena di 23 anni da scontare per l’omicidio del macellaio Lino Sabbadin. Dell’ex bierre Italo Pinto, condannato a 13 anni, e dell’esponente dell’Unione dei comunisti combattenti (Ucc) Agostino Bruno, che deve scontare 9 anni e mezzo, nulla si sa. Cinque latitanti facevano parte di Prima Linea ma solo di Claudio Lavazza, condannato a 27 anni, si hanno notizie certe: e’ in carcere in Spagna per il duplice omicidio di due poliziotti durante una rapina a Cordoba nel 1996. “Sono sempre stato un proletario, un nemico di questo o di qualsiasi altro sistema”. Non c’e’ traccia di Oscar Tagliaferri e Maurizio Baldasseroni, responsabili della strage del dicembre 1978 in via Adige a Milano in cui uccisero per un diverbio politico 3 persone. Entrambi fuggirono in Sudamerica, dove potrebbe essere anche Franco Coda, tra i fondatori di Prima Linea condannato a 28 anni per l’omicidio dell’agente di polizia Fausto Dionisi. L’ultimo latitante di Pl e’ Guglielmo Prato: partecipo’ all’assalto all’agenzia del Monte dei Paschi a Monteroni d’Arbia finito con una sparatoria in cui morirono due carabinieri e non rientro’ in carcere dopo un permesso nel 1987. Deve scontare 19 anni, non si sa dov’e’. Si sa dove sono vivono i tre estremisti di destra indicati nell’elenco dell’ Antiterrorismo. Vittorio Spadavecchia, ex Nar con una condanna a 15 anni per omicidi di poliziotti, rapine e banda armata, e’ a Londra dal ’92 dove ha una moglie inglese e 3 figli, e Pierluigi Bragaglia, ex Nar anche lui con 12 anni e 11 mesi da scontare , e’ in Brasile, spostato con una brasiliana. Arrestato nel 2008, non e’ stato estradato. Militava in Avanguardia Nazionale Mario Pellegrini, rintracciato in Argentina. Deve scontare 12 anni e 6 mesi per il sequestro del banchiere Luigi Mariano: per lui l’Italia ha chiesto l’estradizione e anche per lui non concesso.

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Identikit del nuovo Papa, chi raccoglie eredità Francesco

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Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.

E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.

Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.

Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.

Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.

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Comune revoca cittadinanza al duce, la dà a Matteotti

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Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.

“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.

A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.

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Becciu: Papa Francesco aveva la soluzione, non possono escludermi

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Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.

Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.

La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.

Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.

Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.

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