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Belgrado e Pristina sempre più lontane, Vucic attacca Kurti: dalle parole alla guerra il passo è breve

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La crisi del Kosovo, a dispetto di tutti gli appelli alla calma, si deteriora di giorno in giorno, e nulla sembra in grado di arrestare né la rivolta dei serbi locali né lo scontro sempre più duro fra Belgrado e Pristina. Anche oggi nel nord è proseguita la protesta dei serbi, radunatisi davanti ai municipi di Zvecan, Leposavic e Zubin Potok, contro l’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese e per chiedere il ritiro della polizia di Pristina dal nord a maggioranza serba, e il rilascio dei cinque serbi arrestati negli ultimi giorni, a loro avviso senza alcun motivo valido. A presidiare gli edifici comunali sono sempre i militari della Kfor, la Forza Nato in Kosovo, mentre all’interno delle sedi municipali restano reparti della polizia kosovara.

Ai valichi di frontiera restano le restrizioni imposte da Pristina sull’ingresso in Kosovo di automezzi con merci serbe o che abbiano semplicemente la targa serba, mentre i normali veicoli passeggeri provenienti dalla Serbia vengono perquisiti scrupolosamente. Decisione questa che ha fatto seguito all’arresto nei giorni scorsi di tre poliziotti kosovari da parte delle forze di sicurezza serbe. Un episodio controverso con versioni opposte da parte di Belgrado e Pristina. Gli uni dicono che i tre sono stati sorpresi ben all’interno del territorio della Serbia, pesantemente armati e muniti di sofisticate apparecchiature di orientamento e monitoraggio. Gli altri sostengono invece che gli agenti kosovari sono stati rapiti dai serbi in territorio del Kosovo.

Finora non è stato possibile dare una versione certa sull’episodio, che ha contribuito ad esacerbare ulteriormente la situazione e alimentare la forte tensione al nord. La situazione, anche durante la scorsa notte, si è mantenuta tranquilla, ma la tensione interetnica è palpabile, e rischia di degenerare in qualsiasi momento. Il ministro della difesa serbo Milos Vucevic ha parlato di “situazione allarmante”, denunciando il continuo attacco ai serbi del Kosovo.

Una situazione, ha osservato, non di questi giorni, ma dall’avvento alla guida del governo del premier Albin Kurti. Vucevic, che a fine maggio è subentrato al presidente Aleksandar Vucic alla guida del Partito di maggioranza Sns, ha affermato che tale situazione costituisce una minaccia diretta alla sicurezza non solo dei serbi del Kosovo ma anche della Serbia, e che l’unico filo di speranza è la razionalità della comunità internazionale, in primo luogo dei Paesi del gruppo Quint, che dovrebbe esercitare pressione politica su Pristina. Tuttavia, ha aggiunto, “fa male assistere al silenzio assordante della comunità internazionale”.

Kurti, ha detto Vucevic, mira allo scontro tra serbi e truppe della Kfor, avendo come obiettivo finale la pulizia etnica con la cacciata di tutti i serbi dal nord del Kosovo. “Le continue pressioni e i numerosi arresti, gli attacchi, il divieto di ingresso (in Kosovo) dei camion con generi alimentari e medicinali hanno lo scopo di indurre i serbi a pensare che non possano continuare a vivere là”, ha detto il ministro della difesa, citato dai media. In giornata intanto il ministero della difesa serbo, in un comunicato, ha seccamente smentito le affermazioni di Kurti secondo cui all’arresto dei tre poliziotti kosovari avrebbero partecipato militari dell’Esercito serbo.

Con un tale deterioramento della situazione sul terreno e un forte inasprimento della contrapposizione fra Belgrado e Pristina è difficile prospettare in un’ottica positiva un nuovo incontro al vertice fra il premier Kurti e il presidente Vucic, annunciato per i prossimi giorni dall’Alto rappresentante Ue Josep Borrell a Bruxelles. Lo ha detto chiaramente oggi lo stesso Vucic, secondo il quale in una tale situazione il dialogo con Pristina non ha alcun senso. “Parleremo quando anche gli altri saranno pronti a farlo”, ha detto Vucic aggiungendo che deciderà prossimamente se andare o meno all’incontro con Kurti.

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Zelensky a Roma per i funerali di Papa Francesco, forse incontra Trump

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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è arrivato a Roma per partecipare ai funerali di Papa Francesco. Lo ha confermato il suo portavoce, Sergei Nykyforov, spiegando che anche la First Lady Olena Zelenska prenderà parte alla cerimonia funebre.

Incertezza fino all’ultimo sulla presenza

Fino a poche ore prima dell’annuncio, Zelensky aveva espresso dubbi sulla possibilità di raggiungere la capitale italiana, affermando di non essere certo di “avere il tempo” per partecipare all’evento e per rivedere il presidente americano Donald Trump, anch’egli atteso ai funerali. Alla fine, il presidente ucraino ha scelto di essere presente per rendere omaggio a Papa Francesco.

Un momento solenne di rilievo internazionale

La partecipazione di Zelensky e della First Lady alla cerimonia sottolinea l’importanza del momento, che vede la presenza di numerosi capi di Stato e di governo provenienti da tutto il mondo.

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Sondaggio Nyt, tasso di approvazione per Trump crolla al 42%

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Il consenso di Donald Trump crolla al 42%, secondo un sondaggio New York Times-Siena college condotto tra il 21 e il 24 aprile su 913 elettori registrati: il 42% approva il suo operato, mentre il 54% lo disapprova (il 5% non sa o non risponde). E solo il 36% pensa che gli Usa siano nella giusta direzione, il 53% crede il contrario (l’11% non sa o non risponde). Quanto al suo secondo mandato, il 66% del campione lo definisce caotico, il 59% preoccupante e solo il 42% eccitante.

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Trump, Mosca e Kiev si incontrino per concludere accordo

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“Appena atterrato a Roma. Una buona giornata di colloqui e incontri con Russia e Ucraina. Sono molto vicini a un accordo e le due parti dovrebbero ora incontrarsi, ad altissimo livello, per ‘concluderlo’. La maggior parte dei punti principali è stata concordata. Fermate lo spargimento di sangue, ora. Saremo ovunque sia necessario per contribuire a porre fine a questa guerra crudele e insensata!”: lo scrive Donald Trump su Truth dopo essere arrivato a Roma per i funerali del Papa.

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