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Azzerata commissione,Petrocelli pronto alla Consulta

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Vito Petrocelli resta al comando della commissione Esteri del Senato, che pero’ perde gli altri 20 componenti. Tutti dimissionari, compresi i suoi colleghi 5 Stelle e pure Matteo Salvini. Esasperati dal tira e molla che va avanti da settimane, per cercare di convincerlo al passo indietro, sono loro a lasciare la commissione. In massa. Ma il presidente che condanna l’invio delle armi a Kiev e tanto filoputiano da essere chiamato ironicamente ‘compagno Petrov’, non molla. Anzi minaccia di ricorrere alla Corte costituzionale. “Su questo sentiro’ il mio legale di fiducia”, annuncia alla fine di una commissione ‘fantasma’. Convocata alle 10, viene aperta e chiusa prendendo atto che le dimissioni paventate da giorni sono diventate realta’. Arrivano gradualmente, superando anche le ultime riserve come quelle di Stefania Craxi di Forza Italia (“Serviranno davvero o si rischia di trasformarlo in un martire?”) e di Alberto Airola, che cede dopo “un cordiale colloquio con il presidente Conte”. Il leader dei 5 Stelle sdogana la decisione: “Ho gia’ assicurato che il M5s contribuira’ a superare l’impasse in commissione”, rivela Conte in mattinata. Orfana dunque dei 20 senatori, la commissione, che non prevede piu’ convocazioni per tutta la settimana, dal pomeriggio ha una new entry. E’ Emanuele Dessi’, ex 5 Stelle passato dal Misto al nuovo gruppo parlamentare, ‘Costituzione, ambiente e lavoro’ (Cal) che conta 12 senatori e che lo assegna formalmente alla commissione Esteri. Appena arrivato, Dessi’ non intende dimettersi. A parte lui, l’Aventino condiviso da tutti i gruppi e’ l’estrema mossa per uscire dal pantano di una commissione guidata da un presidente che ha smesso di sostenere il governo Draghi. Il 31 marzo Petrocelli fu uno dei 35 senatori a votare contro la fiducia del decreto Ucraina. Un dissenso rimasto ‘tatuato’ sul suo profilo Twitter, dove da allora campeggia il post-monito: “Fuori da questo governo interventista, che vuole fare dell’Italia un paese co-belligerante”. Una posizione che rivendica attaccando tuttora gli altri senatori: “Le dimissioni sono una loro scelta e anche una grande responsabilita’”. Una volta che tutte le richieste di dimissioni saranno sul tavolo della presidente Casellati, la parola passera’ alla conferenza dei capigruppo. E subito dopo tornera’ alla Giunta del regolamento. Estremo tentativo di forzare la mano, invocando il precedente del senatore Riccardo Villari, presidente della commissione Vigilanza Rai tra il 2008 e 2009. Anche lui si appello’ alla Consulta, che poi dichiaro’ inammissibile quel ricorso, ma secondo alcuni la differenza e’ che quella era una commissione bicamerale quindi non permanente come la Esteri. Nel frattempo sottotraccia si lavora al possibile sostituto di Petrocelli. Tra i papabili Simona Nocerino, relatrice del decreto Ucraina e Gianluca Ferrara che potrebbe contare sul sostegno della Lega. Ma secondo voci di corridoio, il Pd sarebbe contrario, mentre su Nocerino ci sarebbero riserve dei vertici del Movimento. (

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Meloni, con morte di Ramelli tutti devono fare i conti

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I cinquant’anni dalla morte di Sergio Ramelli, militante del Fronte della gioventù ucciso a diciotto anni per una aggressione di Avanguardia operaia a Milano, sono l’occasione per invocare una memoria condivisa delle vittime degli anni di piombo. Memoria condivisa “nel tentativo di ricucire una ferita profonda che deve accomunare tutte le vittime innocenti dell’odio e della violenza politica” ha sottolineato la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio all’evento ‘Le idee hanno bisogno di coraggio’ a lui dedicato nell’auditorium di Regione Lombardia. La sua vicenda, la sua morte “tanto brutale quanto assurda” che “forse, proprio per questo, divenuta un simbolo per generazioni di militanti di destra di tutta Italia”, è “un pezzo di storia con cui tutti a destra e sinistra devono fare i conti” ha ammonito.

“Ancora oggi, a cinquant’anni dalla morte – ha aggiunto Meloni – c’è una minoranza rumorosa che crede che l’odio, la sopraffazione e la violenza siano strumenti legittimi attraverso cui affermare le proprie idee. Ai ragazzi che oggi hanno l’età in cui Sergio morì, che hanno spalancata davanti a sé la strada della propria vita, che vogliono dedicarla a ciò in cui credono, voglio dire: non fatevi ingannare da falsi profeti e da cattivi maestri”. Anche il presidente del Senato Ignazio La Russa ha parlato del bisogno di una memoria condivisa. E come aveva già fatto ha paragonato Ramelli a Fausto e Iaio, ovvero Fausto Pinelli e Lorenzo Iaio Iannucci, esponenti del centro sociale Leoncavallo uccisi nel 1978. “Sono tra i pochi per i quali ancora non è stata fatta giustizia, non è stato scoperto chi li ha uccisi” ha ricordato.

“Questa memoria condivisa di giovani che hanno perso la vita solo perché credevano in delle idee, non importa se di destra o di sinistra, sia un insegnamento che credo debba restare forte in questa fase storica in cui vedo riaffacciarsi nei fuocherelli che non mi piacciono”. Se la memoria si fa più condivisa, resta comunque uno strascico di polemiche. Sono 38 le città che a Ramelli hanno dedicato una strada, una via o comunque un luogo. Oggi è successo anche a Sesto San Giovanni, un tempo Stalingrado d’Italia, che a Ramelli e Enrico Pedenovi, consigliere provinciale dell’Msi ucciso l’anno dopo, ha dedicato uno slargo. Inaugurazione a cui ha fatto seguito una manifestazione a cui hanno preso parte fra gli altri Anpi, Sinistra Italiana e Pd con l’idea che “è doveroso ricordare ragazzi ammazzati innocenti” ma “non può essere la scusa per riscrivere la storia e riabilitare valori neofascisti”.

Una critica alle manifestazioni con il ‘presente’ e il saluto romano (domani è in programma il tradizionale corteo per Ramelli, Pedenovi e Carlo Borsani che si conclude proprio con il ‘presente’ davanti al murale di Ramelli) è arrivata dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè: “non appartengono a Fratelli d’Italia, non è certo il nostro elemento distintivo, niente di tutto questo può essere riconducibile a noi” ha detto aggiungendo che “sbagliano e non aiutano a pacificare”. Domani la cerimonia ufficiale per Ramelli sarà comunque ai giardini a lui dedicati in un appuntamento a cui parteciperà come sempre il sindaco di Milano Giuseppe Sala. Non però, come vorrebbe La Russa, con la fascia tricolore.

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Mercoledì Consiglio dei ministri, si pensa a un decreto su post alluvione e Campi Flegrei

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Potrebbe approdare mercoledì in Consiglio dei ministri un decreto con ulteriori disposizioni urgenti per affrontare gli straordinari eventi alluvionali verificatisi nei territori di Emilia Romagna, Toscana e Marche, nonché gli effetti del fenomeno bradisismico nell’area dei Campi Flegrei. Il provvedimento, a quanto si apprende, è all’ordine del giorno della riunione tecnica preparatoria convocata per domani. Il governatore dell’Emilia Romagna, Michele de Pascale, in questi giorni ha scritto alla premier Giorgia Meloni, al ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci, e al capo Dipartimento della Protezione civile, Fabio Ciciliano (nella foto in evidenza), per chiedere la proroga di un anno dello stato di emergenza nazionale, in scadenza il 4 maggio, per le ondate di maltempo di settembre e ottobre 2024.

In esame anche un disegno di legge in materia di tutela del personale scolastico, e l’esame preliminare di due schemi di decreto del presidente della Repubblica, uno con modifiche in materia di valutazione degli studenti del secondo ciclo di istruzione, e l’altro che modifica e integra lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria. All’ordine del giorno, poi, un altro disegno di legge proposto dal ministero dell’Istruzione, in materia di consenso informato. In esame preliminare, inoltre, un decreto legislativo sulle politiche in favore degli anziani, in attuazione della delega. All’ordine del giorno c’è anche un disegno di legge di ratifica dell’accordo sulle misure di solidarietà volte a garantire la sicurezza approvvigionamento di gas tra Germania, Svizzera e Italia, fatto a Berlino il 19 marzo 2024.

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San Giacomo Vercellese, nove liste per meno di trecento abitanti: un paradosso vergognoso

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San Giacomo Vercellese, minuscolo paese piemontese incastonato tra le risaie della provincia di Vercelli, finirà suo malgrado sotto i riflettori nazionali. Il motivo? Alle prossime elezioni del 25 e 26 maggio, si presenteranno addirittura nove liste per scegliere il nuovo sindaco, nonostante i residenti siano meno di trecento.

Un numero che sfida ogni logica democratica e che solleva più di una perplessità sulla serietà e sulla trasparenza del voto in piccoli centri come questo.

Dopo la scomparsa del sindaco Massimo Camandona, morto a febbraio e ricordato come un amministratore radicato nel territorio, si sarebbero potute immaginare elezioni sobrie, nel rispetto della comunità. Invece, alla fine della fase di presentazione delle liste, si sono contati candidati provenienti da Napoli, Roma, Siracusa e Salerno.

Solo due liste fanno riferimento ad esponenti locali, già attivi nell’attuale Consiglio comunale. Tutte le altre sette sono spuntate in extremis, registrate da persone senza alcun legame con il territorio.

La presenza di un numero così spropositato di liste in un comune minuscolo non è un segnale di vitalità democratica, ma l’ennesima prova di come meccanismi elettorali poco vigilati possano essere strumentalizzati.

Dietro queste candidature improvvisate spesso si celano interessi diversi: tentativi di ottenere visibilità, raccolta firme utile per future candidature, o peggio, accesso a rimborsi elettorali.

È un fenomeno che mortifica i cittadini di San Giacomo Vercellese, riducendo la politica a un teatrino grottesco e offendendo chi, invece, si batte quotidianamente per rappresentare davvero il proprio territorio.

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