Il sindaco di Napoli e quello di Milano a passeggio per la città prima del convegno a San Domenico Maggiore
ph.KONTROLAB
Napoli e Milano sono due città molto simili, forse gemelle. Napoli è la città più a nord del Sud, è la locomotiva alla quale sono agganciati i destini complicati del Sud. Milano è la città del Nord ricco e produttivo, la metropoli internazionale con testa e cuore in Europa. Milano è la città dove risiedono più famiglie del Sud o originarie del Sud (pugliesi, calabresi, lucani, siciliani). Milano è dopo Napoli la seconda provincia per numero di residenti della Campania, che poi sono quelli che vivono a Milano o ci lavorano. A confrontarle emergono due Italie molto differenti, sotto tanti punti di vista. Nella città metropolitana di Milano (Popolazione: 3,242 milioni – Comuni: 133 comuni) il tasso di disoccupazione è contenuto (6,5% nel 2017). Nella città metropolitana di Napoli (i Comuni sono 92 comuni; la Popolazione: 3,114 milioni) la disoccupazione sfiora la media del 24%.
Una veduta aerea di Napoli e due foto di Milano vista dall’alto e piazza Duomo
Milano
Davanti a questi numeri e alla complessità del governo di queste due metropoli che da sole fanno quasi il 13 per cento della popolazione del Paese, i due sindaci si sono visti a Napoli (replicheranno l’incontro a Milano il 12 marzo) per discutere di riforme, autonomia, possibili forme di collaborazione e difficoltà a gestire gli enti locali in un periodo storico di tagli lineari di fondi e continue attribuzioni di nuove funzioni.
Momenti del convegno con i sindaci de Magistris e Sala (Foto Kontrolab)
Beppe Sala e Luigi de Magistris, anche loro, come le città che amministrano, sono così diversi ma così uniti tra loro. Al meeting ”Napoli Milano uniti nelle diversità” nel meraviglioso complesso di San Domenico Maggiore, davanti a 400 persone rimaste incollate alle sedie ed in piedi nella sala del Capitolo per ben due ore, entrambi dicono subito no all’autonomia così come presentata dal Governo e chiedono alle istituzioni “di fermarsi, di discutere e ragionare prestando maggiore attenzione alle città e soprattutto alle grandi aree metropolitane”. È questo l’invito rivolto al Governo e alle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia dai sindaci de Magistris e Sala. Nel corso del dibattito moderato/provocato dal direttore di Juorno.it Paolo Chiariello, i due primi cittadini hanno “raccontato” le loro città ed hanno ascoltato i rappresentanti dell’imprenditoria (Vito Grassi presidente dell’Unione industriali e Ciro Fiola presidente della Camera di Commercio), i sindacati (Walter Schiavella segretario della Cgil e Francesco Garofalo segretario della Cisal), i racconti di uomini della cultura (il grande scrittore Maurizio De Giovanni) e della musica (Enzo Avitabile), dell’Università motore del cambiamento a Napoli (il Pro Rettore della Federico II Arturo de Vivo) ma anche presidi, esponenti del terzo settore, uomini e donne impegnate nelle istituzioni come l’assessore Alessandra Clemente, unica donna che ha preso la parola e che ha parlato di sicurezza, periferia, del capitale umano costituito dai giovani. In sala c’era anche la preside Armida Filippelli, candidata alle primarie di domenica del Pd, voluta da Zingaretti in Campania, venuta a salutare il sindaco di Milano Beppe Sala.
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Vito Grassi (presidente Unione Industriali)
Al centro del dibattito tra i due sindaci c’erano anche i temi sviscerati dai rappresentanti di scuola e Terzo settore, ma anche quelli di chi si occupa di cultura e turismo senza dimenticare appunto le questioni “spinose” come la sicurezza, l’immigrazione e il razzismo. E proprio i cori razzisti contro il giocatore del Napoli, Kalidou Koulibaly, lo scorso 26 dicembre allo stadio San Siro, sono stati lo spunto per costruire il doppio appuntamento per dimostrare – come detto da de Magistris – “che Napoli e Milano sono in questo momento i due motori del Paese: Milano è punto di riferimento per la sua forza economica e finanziaria, Napoli per la sua partecipazione democratica e popolare, per la sua cultura che può unire nelle diversità”. De Magistris e Sala si sono trovati concordi nel sostenere che “il motore del Paese sono le città piccole e grandi” e “devono poter dire la loro perchè se si continuano ad asfissiare con vincoli normativi e finanziari è come mettere piombo sulle ali del Paese”. Il dibattito è stato occasione per “riflettere insieme” sulla politica, sull’economia, sui diritti, sulla cultura, sull’istruzione ma anche per avviare una collaborazione, un lavoro comune e sinergico sui temi della musica, della cultura, della lettura e dello sport creando “una formula unica, un brand unico che ci unisca” perchè – ha detto Sala – “entrambi pensiamo che i lunghi percorsi sono fatti di piccoli passi. Iniziamo a fare un pezzettino di strada”.
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Nel dibattito sono stati raccontati i cambiamenti che Milano e Napoli hanno avuto in questi anni e quelli che sono ancora in corso perchè – ha sottolineato Sala – “i sindaci illuminati devono stare ogni giorno sul pezzo, ma devono anche essere visionari e immaginare le trasformazioni delle nostre città”. Uno sviluppo che – hanno affermato entrambi – passa “necessariamente per la solidarietà”. “Noi non possiamo aprire e chiudere le porte a piacimento – ha concluso Sala – perchè o si accetta la sfida di essere città aperta e internazionale o ci vuole un attimo a tornare indietro. Le differenze vanno valorizzate”. Sala ha lanciato anche la manifestazione che sabato si terrà a Milano contro ogni forma di razzismo e intolleranza “in una città da sempre accogliente e inclusive per tradizione e vocazione”. Sabato a Milano si terrà “People – prima le persone”, voluta da Beppe Sala e dall’amministrazione comunale che presiede. “Porteremo in piazza 100 mila persone a Milano, un corteo che si concluderà in piazza Duomo, senza discorsi, non contro qualcosa o qualcuno ma a favore dell’integrazione e dell’accoglienza nelle regole” dice Sala, complimentandosi con il suo collega “e anche amico” Luigi de Magistris per come è stato capace di tenere la barra dritta a Napoli in questi anni difficili. “Non si possono fare parallelismi o classifiche tra Milano e Napoli, data la forza economica e finanziaria diversa delle due città in questo momento, ma Napoli è una città magnetica, potente, attrattiva che ha davanti a sé un futuro radioso” spiega Sala che non fa mistero di “amare Napoli e i napoletani da sempre”. “A Milano adoriamo i napoletani per inventiva, creatività, capacità e voglia di lavorare che ci insegnano” spiega Sala.
I due sindaci concordano su quasi tutto, soprattutto sulla critica serrata “all’automomia dei ricchi che vorrebbero imporre Lega e M5s” spiega de Magistris. All’incontro hanno partecipato e sono intervenuti, con loro considerazioni e ponendo una domanda ai due sindaci, il direttore della redazione napoletana di Repubblica, Ottavio Ragone, il direttore del quotidiano il Mattino Federico Monga, i giornalisti responsabili del settore politica del Corriere del Mezzogiorno e del Roma, Paolo Cuozzo e Mario Pepe. Appuntamento il 12 marzo a Milano. Si replica. I sindaci delle due metropoli gemelle si incontreranno di nuovo, “ed io spero di poter ricambiare lo stesso affetto, la stessa considerazione che Napoli mi ha donato e spero di poter mostrare al sindaco de Magistris la stessa bellezza e farlo sentire a casa sua a Milano come lui mi ha fatto sentire a Napoli”. Sono state le ultime parole, quelle meno scontate forse, di Beppe Sala a Napoli. Un sindaco manager che sembrava davvero l’altra faccia del vulcanico de Magistris, molto a loro agio. Nelle prossime settimane Napoli e Milano concorderanno iniziative comuni in campo culturale e turistico, scambi che faranno bene alle due metropoli.
Il principale, grande nodo che i cardinali che si riuniranno nella Sistina dovranno sciogliere nell’individuare la figura del nuovo Pontefice sarà su chi potrà raccogliere la grande eredità di papa Francesco. I tanti cantieri aperti lasciati dal Pontefice scomparso, i “processi avviati” come li chiamava lui, sono altrettanti capitoli di cui scrivere un futuro e su cui, se possibile, non fermarsi, né tanto meno tornare indietro. Quando dodici anni fa si dimise Benedetto XVI, la Chiesa attraversava una grave crisi, provata dagli scandali come il primo Vatileaks, le ondate di rivelazioni sugli abusi sessuali – peraltro favorite proprio da Ratzinger, il primo a promuovere la ‘tolleranza zero’ -, e la stessa rinuncia del Papa per l’età avanzata e le difficoltà nel fare fronte alle resistenze interne, che avevano fatto fortemente ondeggiare la ‘barca di Pietro’.
E il mandato dei cardinali a chi sarebbe diventato il nuovo Papa era stato di rifondare la Chiesa su una nuova base di rinascita cristiana e di rilanciata missione evangelizzatrice. Proprio quello che ha perseguito, non senza pesanti ostacoli, Jorge Mario Bergoglio in questi dodici anni di pontificato, con le riforme in primo luogo finanziarie, poi della Curia con l’inedito mandato ‘di governo’ anche ai laici e alle donne, sulla protezione dei minori, e col proprio atteggiamento personale di radicalità cristiana, di vicinanza ai più poveri, ai migranti, agli ‘scartati’, di indefessa abnegazione in favore della pace, della fratellanza umana e del dialogo con le altre religioni. Un insieme di spinte in avanti che rimettono in primo piano molti dei propositi ancora inattuati del Concilio Vaticano II, finora gravati da contrarietà e passività all’interno della Chiesa.
Senza contare l’ultimo grande cantiere aperto da Francesco, quello della Chiesa ‘sinodale’, su cui a parte i due Sinodi già svolti il Papa defunto ha indetto un ulteriore triennio per l’attuazione, con una grande e finale “assemblea ecclesiale” già programmata per l’ottobre del 2028. Un’eredità, quindi, in buona parte già scritta quella che dovrà raccogliere il prossimo, e 266/o, successore di Pietro. Che dovrà riprendere in mano tutte le riforme e portarle avanti secondo le proprie sensibilità e priorità. Oltre che con la necessaria autorevolezza e capacità di governo, qualità indispensabili per il pastore universale di un organismo della complessità e vastità della Chiesa cattolica.
Questo, insomma, sarà l’identikit del nuovo Papa, almeno per chi pensa che sulla rivoluzione imposta da Bergoglio in tanti settori ecclesiali “non si può tornare indietro”. E, a parte gli elenchi dei papabili e i possibili fronti contrapposti, nelle congregazioni generali pre-Conclave, come accadde proprio nel 2013 con la successiva elezione di Francesco, avrà la meglio chi nei propri interventi riuscirà a trasmettere carisma e a catalizzare maggiormente i convincimenti dei confratelli. Non mancherà certo l’assalto dei restauratori, di chi nel Collegio cardinalizio vorrebbe riportare indietro l’orologio della storia e fare piazza pulita di molte delle innovazioni di Francesco, in particolare in campi come la pastorale della famiglia (c’è chi non nasconde di non aver ancora digerito la comunione ai divorziati risposati) o peggio ancora le benedizioni alle coppie gay, o anche i rapporti con le altre religioni, oppure certe fughe in avanti tuttora mal sopportate.
Il fatto che ben 108 dei 135 cardinali elettori, cioè l’80 per cento, siano stati nominati da Francesco non garantisce sul risultato finale: si tratta di un gruppo molto composito, tra cui molti non si conoscono fra loro, e che comprende anche fieri oppositori della linea di Bergoglio. Un nome per tutti, l’ex prefetto per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Mueller, fiero oppositore della linea bergogliana. L’esito del Conclave è dunque molto incerto. E a parte i favoriti elencati finora dai media, è possibile che alla fine prevalga un nome del tutto a sorpresa.
Revocata la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini, conferita invece a Giacomo Matteotti, il politico socialista ucciso dai fascisti il 10 giugno 1924. Alla vigilia del 25 aprile, il Comune di San Clemente, in provincia di Rimini, ha preso queste due decisioni simboliche, approvate all’unanimità dal consiglio comunale nel tardo pomeriggio. Anche Ozzano dell’Emilia, in provincia di Bologna, proprio ieri ha revocato la cittadinanza al duce. E così hanno chiesto di fare i gruppi consiliari di centrosinistra ad Isernia, dove era stata concessa a Mussolini il 20 maggio 1924. “Revocare la cittadinanza onoraria a Mussolini significa prendersi la responsabilità di giudicare con determinazione e piena maturità un passato costellato da atrocità, economia inesistente, azzeramento, in modo scientifico, quasi chirurgico, del pensiero critico”, ha detto la sindaca di San Clemente, Mirna Cecchini, nel suo discorso.
“In un’epoca in cui il coraggio delle proprie azioni e l’intransigenza verso le bestialità sembrano venir meno, l’esempio di Matteotti è pronto a ricordarci che la democrazia e la libertà non sono beni scontati e facilmente ottenibili. Bensì l’epilogo di faticose conquiste personali e collettive, la spina dorsale dei popoli capaci di rialzare la testa; traguardi che richiedono responsabilità, vigilanza continua e partecipazione convinta”, ha aggiunto, motivando il conferimento della cittadinanza post mortem. A Ozzano la cittadinanza a Mussolini fu concessa il 18 maggio 1924, “in un periodo e contesto storico totalmente diverso da quello attuale, quando tantissimi Comuni furono in un certo senso sollecitati a rendergli omaggio attraverso un atto simbolico e politico – ha spiegato il sindaco, Luca Lelli – A chiederne la revoca è stata l’Anpi locale e come Amministrazione non abbiamo esitato a rispondere all’appello, e a procedere con il ritiro attraverso un atto del Consiglio comunale. La revoca è avvenuta a ridosso del 25 aprile perché abbiamo voluto dare anche un segnale forte, puntando l’attenzione sull’impegno che da sempre abbiamo nel promuovere una società basata sui valori di democrazia e libertà”.
A Isernia il capogruppo del Pd, Stefano Di Lollo, ha spiegato che “la cittadinanza onoraria, attribuita all’epoca come atto di adesione ideologica al regime fascista nascente, è oggi ritenuta incompatibile con i valori della Costituzione repubblicana e con il sentimento democratico che deve appartenere a uno Stato civile. Benito Mussolini è stato il principale responsabile dell’instaurazione della dittatura fascista, delle persecuzioni razziali e politiche, e dell’alleanza con il nazismo, che ha condotto l’Italia in una delle fasi più oscure della sua storia. Restituire alla storia il suo giusto significato è fondamentale per costruire un presente consapevole e un futuro libero”.
Il cardinale Angelo Becciu conferma di ritenere che lo si debba ammettere al Conclave. Il porporato sardo, ex sostituto della Segreteria di Stato ed ex prefetto per le Cause dei santi – che in una drammatica udienza del 24 settembre 2020 papa Francesco privò della carica in Curia e dei diritti del cardinalato -, afferma in una conversazione con la Reuters che il suo ruolo è cambiato da quella sera di oltre quattro anni e mezzo fa, quando il Pontefice lo degradò perché si sentiva tradito nella sua fiducia. Oltre a confermare quanto già dichiarato all’Unione Sarda – che le sue prerogative sono “intatte, che non c’è stata “alcuna esplicita volontà” di escluderlo dal Conclave e che non gli è mai stato chiesto di rinunciare al privilegio per iscritto -, Becciu aggiunge che papa Bergoglio sarebbe stato vicino a prendere una decisione sul suo status.
Dice infatti di aver incontrato il Pontefice a gennaio, prima del ricovero al Gemelli a febbraio, e cita le sue parole: “Penso di aver trovato una soluzione”, gli avrebbe detto Francesco. Becciu dichiara inoltre di non sapere se il Papa gli abbia lasciato istruzioni scritte su questo aspetto. “Saranno i miei confratelli cardinali a decidere”, conclude in attesa della discussione nelle congregazioni pre-Conclave del Sacro Collegio, già iniziate e a cui lui stesso è invitato.
La questione-Becciu, che rischia di condizionare gravemente il prossimo Conclave e anche il dopo, si complica quindi sempre di più. Tra l’altro nel prossimo autunno – prima udienza il 22 settembre – si aprirà il processo d’appello sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato e la compravendita del Palazzo di Londra, per le quali Becciu ha sempre proclamato la sua innocenza ma è stato in primo grado condannato a cinque anni e sei mesi di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici per i reati di peculato e truffa aggravata ai danni della Santa Sede. Intanto, spuntano due lettere scritte dal Papa che sancirebbero l’esclusione di Becciu dal voto per il nuovo Pontefice. Ne scrive il quotidiano Domani riportando che il cardinale Pietro Parolin, già segretario di Stato, avrebbe mostrato ieri sera a Becciu due lettere dattiloscritte e siglate dal Pontefice con la F che lo escluderebbero dall’ingresso in Sistina: una del 2023 e l’altra dello scorso mese di marzo, quando Francesco affrontava l’ultima, gravissima malattia.
Il porporato sardo avrebbe preso atto, ma al momento non risulta abbia rinunciato al suo proposito. Sempre secondo ricostruzioni su Domani dell’ex direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian, il cardinale decano Giovanni Battista Re, che domani celebrerà i funerali di Francesco, avrebbe detto a Becciu di essere favorevole al suo ingresso in Conclave, non avendo disposizioni contrarie scritte dal Pontefice scomparso. Nel riferire ciò al cardinale camerlengo Kevin Joseph Farrell, però, quest’ultimo avrebbe comunicato a Re la volontà di papa Bergoglio, espressagli tempo fa soltanto a voce, che Becciu fosse tenuto fuori. Da indiscrezioni che trapelano dalle prime congregazioni generali, poi, per sbrogliare il caso-Becciu che sta diventando un vero e proprio ‘giallo’, potrebbe essere costituita una commissione, composta da cinque cardinali tra cui lo stesso porporato sardo.
Questa, secondo il Fatto Quotidiano, la proposta avanzata dal cardinale Claudio Gugerotti, già prefetto per le Cause orientali e considerato molto vicino al card. Parolin. Gugerotti, dal canto suo, avrebbe espresso un parere contrario all’ingresso di Becciu in Sistina. Lo stesso avrebbe fatto un altro fedelissimo di Bergoglio, il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski. Su tutta la questione non ci sono commenti da fonte ufficiale. Alle domande dei giornalisti il portavoce vaticano Matteo Bruni continua a ripetere che “per ora parliamo dei funerali del Papa. Del Conclave si parlerà poi”.