Avrebbero favorito il clan Cutolo che fa affari illeciti nel quartiere Fuorigrotta di Napoli: e’ una delle accuse che la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli contesta a due carabinieri, arrestati dai colleghi del comando provinciale stamattina al termine di un’indagine piu’ ampia, coordinata dal procuratore aggiunto Rosa Volpe. I militari hanno eseguito un arresto in carcere e un altro ai domiciliari. Ai due rappresentanti delle forze dell’ordine viene anche contestato il reato di falso. I carabinieri destinatari delle due misure si chiamano M. C,, 46 anni, nei confronti del quale il gip di Napoli Maria Laura Ciollaro ha disposto il carcere, e W. I., 49 anni, al quale il giudice ha comminato i domiciliari. Insieme con Cinque, in carcere e’ finito anche Gennaro Di Costanzo, ritenuto legato al clan Longobardi-Beneduce, a cui la DDA contesta il ruolo di esponente di vertice dell’organizzazione camorristica nella zona di Bagnoli.
All’epoca dei fatti contestati (inizio 2019) M. C. ha prestato servizio presso la compagnia dei Carabinieri di Bagnoli mentre W. I. lavorava presso il Nucleo Operativo e Radiomobile – Sezione Operativa, del reparto Territoriale dei Carabinieri di Mondragone (Caserta). Tra gli indagati figura anche Gennaro Carra (collaboratore di giustizia, ndr), ritenuto dagli inquirenti il reggente del clan Cutolo del Rione Traiano di Napoli. I carabinieri sono accusati, tra l’altro, di avere rivelato informazioni operte da segreto, come l’esistenza di indagini. A M.C. viene anche contestato di avere falsamente attestato che tra il 28 e il 29 gennaio 2019, Carra (che girava armato di una pistola), fosse a piedi in strada e non a bordo di un’auto presa a noleggio. Anche a W.I. viene contestato di avere rilevato informazioni riservate, al collega M.C. e a un’altra persona: l’esistenza di indagini, correlate da intercettazioni, su un conoscente di M. C., e anche che i carabinieri erano in procinto di eseguire una misura cautelare nei confronti di un’altra persona. A W.I. si contesta, tra l’altro, la detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, per la precisione cocaina, di cui si sarebbe appropriato illegalmente, secondo il giudice abusando dei suoi poteri, a Castel Volturno (Caserta) introducendosi nell’abitazione di alcuni spacciatori extracomunitari. Ad indagare sulla vicenda che vede coinvolti anche i due carabinieri sono stati i militari del Nucleo Investigativo di Napoli.
Ci sono alcune conversazioni intercettate dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli su due colleghi dell’Arma accusati di vari reati (oltre che di infedeltà alle Istituzioni). I due carabinieri infedeli arrestati anche con l’accusa di avere favorito la Camorra avrebbero trovato poi riscontro nelle dichiarazioni “convergenti” rese da ben otto collaboratori di giustizia. Questi collaboratori di giustizia avrebbero tutti riferito, scrive il gip nell’ordinanza con cui dispone l’arresto dei due carabinieri, “di rapporti ‘opachi’, se non propriamente corruttivi. Questi rapporti opachi sarebbe stati intrattenuti tra l’appuntato scelto M. C. e alcuni appartenenti alla organizzazioni camorristiche…”. Il giudice, che condivide l’impostazione accusatoria dei magistrati della Procura Distrettuale Antimafia di Napoli che hanno coordinato l’inchiesta, definisce “trasversale” il contributo dell’appuntato M. C., rivolto in favore “di chiunque potesse garantirgli un tornaconto personale”.
La circostanza, sottolinea ancora il giudice, “non esclude la consapevolezza e la volontà dell’indagato – anche in virtù del ruolo istituzionale da lui ricoperto – di operare a vantaggio dell’uno o dell’altro clan”. Uno degli otto collaboratori di giustizia che riferiscono alla DDA dei rapporti “opachi” tra uno dei carabinieri infedeli arrestati oggi dal Nucleo Investigativo di Napoli, l’appuntato M. C., e diversi esponenti della criminalità organizzata, è Roberto Perrone, ritenuto affiliato storico del clan Nuvoletta. Il signor Perrone, collaboratore di giustizia da tempo, ritenuto affidabile dai magistrati, riferisce di avere ottenuto dall’appuntato M.C. parecchi favori, per se stesso ma anche per altri componenti il clan, omettendo di effettuare i dovuti controlli quando era sorvegliato speciale, e informandolo riguardo eventuali provvedimenti a suo carico. Perrone, tra le altre cose, parla anche dei favori che M.C. gli faceva quando, nel periodo in cui era sotto sorveglianza, aveva preso l’abitudine di giocare a poker con un gruppo di persone, tra cui figurano anche degli imprenditori: “…le partite venivano organizzate una volta a settimana da …. il quale si informava prima quando era di turno Cinque, che veniva a effettuare il controllo presso la mia abitazione e, diversamente dagli altri controlli, si limitava a bussare al citofono e andava via”.
Evidentemente siamo in una fase delicata dell’inchiesta. Il coinvolgimento dei due carabinieri arrestati è gravissimo perchè sono uomini dello Stato. La speranza è che si possano difendere in ogni sede e dimostrare di essere innocenti. Diversamente le accuse loro contestate sono ancora più gravi perchè sono uomini che indossavano una divisa e servivano lo Stato e i cittadini. Anche per loro, in ogni caso vale la presunzione di innocenza. Oggi però occorre dare notizia del loro arresto
Armi in pugno, volti coperti, in quattro hanno fatto irruzione nell’androne di Foqus, la Fondazione Quartieri Spagnoli, in via Portacarrese a Montecalvario. Erano circa le mezzanotte di domenica scorsa e i componenti del commando erano convinti che lì dentro si nascondesse l’uomo che stavano inseguendo per uccidere, come vendetta per un precedente agguato, avvenuto due settimane prima in via Nardones. Non trovandolo, sono fuggiti via. Attimi di terrore per il custode, che ha denunciato tutto.
Il contesto: vendetta e criminalità
Secondo le indagini della Squadra Mobile diretta da Giovanni Leuci, quella incursione armata è stata la risposta a un episodio camorristico. Un agguato, avvenuto a tarda notte tra i vicoli del centro, documentato grazie alla testimonianza di uno studente. L’inchiesta è condotta dalla DDA con il coordinamento del procuratore aggiunto Sergio Amato. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza confermano la dinamica e il livello di pericolosità dei quattro incappucciati, armati di pistole e fucili.
L’emergenza criminale e il caso minorenni
L’attacco a Foqus arriva in un momento già delicato per Napoli, dove si sta alzando l’allarme sulla presenza di armi tra i giovanissimi. Solo pochi giorni fa due ragazzini di 14 e 15 anni sono stati pugnalati da coetanei nei pressi di piazza Dante, per futili motivi. Ieri, il prefetto Michele di Bari e l’assessore alla legalità Antonio De Iesu si sono recati nella zona degli accoltellamenti per incontrare commercianti e cittadini e ribadire l’importanza dell’impegno collettivo contro la devianza giovanile.
La missione di Foqus e la voce di Rachele Furfaro
“Domenica notte il nostro portone era aperto”, spiega Rachele Furfaro, fondatrice e presidente di Foqus. “Da quando siamo nati, nel 2013, abbiamo cercato di vivere la realtà dei Quartieri come una grande piazza, aperta alla contaminazione culturale e al contrasto della povertà educativa”. Non a caso, proprio ieri, la struttura ha ospitato un incontro con 750 studenti provenienti da tutta Italia, in collaborazione con la Robert Francis Kennedy Foundation e l’Università Orientale.
Diritti, scuola e coraggio nei Quartieri
“Serve più coraggio anche da parte delle scuole per stare in questi territori e mettere in campo interventi di qualità. Bisogna affermare il diritto alla formazione, alla lettura, al gioco”, insiste la presidente Furfaro. Un messaggio ancora più forte alla luce dell’ennesimo episodio di violenza giovanile che ha scosso Napoli lo scorso week end.
Il lavoro di Foqus non si ferma. La comunità reagisce, nonostante tutto.
La Procura di Catania ha indagato il rapper Zaccaria Mouhib, 24 anni, in arte Baby Gang, per concorso per accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti, aggravato dall’avere favorito la mafia, e per avere violato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, che gli impediva di essere presente nel capoluogo etneo. Agenti della squadra mobile della Questura di Lecco, in raccordo con quelli di Catania, hanno eseguito a Calolziocorte (Lecco) un decreto di perquisizione e hanno sequestrato lo smartphone dell’artista che nei prossimi giorni verrà sottoposto ad accertamenti forensi.
All’indagato la polizia ha anche notificato un foglio di via obbligatorio emesso dal Questore di Catania che vieta a Baby Gang di potere dimorare nel capoluogo etneo per quattro anni. Iniziativa che farà saltare il suo concerto previsto per l’8 agosto prossimo alla Villa Bellini. Al centro dell’inchiesta della Procura di Catania la sua partecipazione, lo scorso 1 maggio, sul palco della Plaia, all’One day music festival, dove, prima di esibirsi con la canzone ‘Italiano’, scritta con Niko Pandetta, fa vedere un video sul suo smartphone in cui sembra assistere a una videochiamata con il nipote dello storico capomafia Turi Cappello. Il trapper però è in un carcere in Calabria, detenuto dal ottobre del 2024 per spaccio di sostanze stupefacenti.
“È mio fratello, un c… di casino per Niko Pandetta”, ha incitato il pubblico dal palco l’artista mostrando il telefonino in cui si è visto il volto di Pandetta. Il gesto è stato ripreso da molti dei presenti che hanno poi postato i video sui social, diventati virali. Non è ancora chiaro se la videochiamata fosse in diretta o registrata, o fosse un antico video memorizzato. Per chiarire cosa fosse realmente accaduto e verificare se Pandetta abbia avuto la possibilità, dal carcere, di mandare un video o, addirittura, di partecipare in diretta al concerto del 1 maggio sulla spiaggia della Plaia la Procura di Catania ha avviato degli accertamenti, delegando le indagini alla squadra mobile della Questura. E da una perquisizione nella cella del carcere di Rossano, dove Pandetta è detenuto, eseguita il 3 maggio scorso, la polizia penitenziaria ha trovato e sequestrato un telefonino. Per questo motivo è stato indagato per accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di detenuti.
Ventinove misure cautelari e 40 perquisizioni sono in corso di esecuzione in 10 citta tra Emilia Romagna , Campania e Lombardia nei confronti di presunti appartenenti a un’associazione per delinquere operante nel settore edilizio e dedita all’emissione di fatture false, riciclaggio e autoriciclaggio di denaro. Oltre 100 unità composte da operatori della polizia di Stato e da militari della guardia di finanza sono impegnate nell’operazione che si sta svolgendo Bologna, Ferrara, Modena, Ravenna, Reggio Emilia, Forlì, Rimini, Mantova, Napoli e Caserta. Si tratta del risultato di una complessa indagine – partita dalla segnalazione di movimentazioni di denaro sospette pervenuta alla polizia postale da parte di Poste Italiane – condotta dal Centro operativo per la sicurezza cibernetica dell’ Emilia-Romagna coordinato dal Servizio polizia postale e per la sicurezza cibernetica, e dal Nucleo operativo metropolitano della guardia di finanza di Bologna, sotto la direzione del pubblico ministero Flavio Lazzarini della procura di Bologna.