L’Argentina ha respinto “con la massima fermezza” la realizzazione da parte della Gran Bretagna nelle isole Falkland-Malvine di manovre militari, accompagnate fra l’altro dal lancio di missili, “in un territorio argentino illegittimamente occupato” da Londra. In un comunicato del ministero degli Esteri diramato a Buenos Aires si sostiene che le manovre militari “costituiscono una dimostrazione di forza ingiustificata e un deliberato allontanamento dagli appelli contenuti in numerose risoluzioni delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali”. Tali risoluzioni, si ricorda, “sollecitano l’Argentina e il Regno Unito a riprendere i negoziati, al fine di trovare una soluzione pacifica e definitiva alla controversia sulla sovranita’ che coinvolge entrambi i Paesi nella questione delle Isole” Falkland-Malvine. Dopo aver indicato che il governo britannico ha informato l’ambasciata argentina a Londra sull’intenzione di svolgere le manovre con l’utilizzazione di missili Rapier, il comunicato rende noto che “il governo argentino ha inviato a quello britannico una forte nota di protesta”.
In essa, si dice, Buenos Aires che le esercitazioni militari contravvengono fra l’altro alle risoluzioni 31/49 e 41/11 dell’Onu sulla necessita’ di non intraprendere iniziative che alterino gli equilibri esistenti e di preservare il carattere dell’Atlantico meridionale come zona di pace e cooperazione. “Nell’ambito degli obblighi e delle responsabilita’ del nostro Paese in materia di sicurezza della navigazione nell’Atlantico sud-occidentale – prosegue la nota – una volta disponibili precise informazioni sulla data di lancio dei missili, il Servizio di idrografia navale argentino emettera’ un avviso radio nautico per informare sull’andamento delle manovre”. Infine, conclude il comunicato, “il governo argentino informera’ della situazione il segretario generale delle Nazioni Unite (Antonio Guterres, ndr.) e il segretario generale dell’Organizzazione marittima internazionale”, Kitack Lim.
Le forze della sicurezza pachistane hanno ucciso 15 combattenti appartenenti al Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) in tre distinte operazioni nella provincia nord-occidentale del Khyber Pakhtunkhwa (Kp). Lo rendono noto i militari, precisando che le operazioni sono state condotte nel distretto di Karak, nel Waziristan settentrionale ed in quello meridionale. Armi e munizioni sono state recuperate dai combattenti uccisi, che, secondo le stesse fonti, erano coinvolti in numerose attività terroristiche.
Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione (ancora provvisorio) avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a 14 morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.
Le cause restano misteriose
Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.
L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili
Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.
Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.
Israele nel mirino dei sospetti
Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.
L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.
Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano
L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.
La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.
Le autorità portuali estoni hanno rilasciato oggi la petroliera Kiwala appartenente alla cosiddetta flotta ombra russa sequestrata due settimane fa nel golfo di Finlandia dopo aver constatato la presenza di oltre 40 infrazioni alla normativa sulla navigazione dell’Estonia. Lo comunica il ministero dei Trasporti estone. Secondo quanto comunicato dalle autorità estoni, la nave è stata dissequestrata in seguito alla risoluzione di tutte le infrazioni rilevate. La petroliera era già stata sottoposta a sanzioni da parte dell’Unione europea, del Canada, della Svizzera e del Regno unito.