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Appalti, Anac: rischi voto di scambio o favori… ai cugini

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Appalti, il giorno dopo. All’indomani del via libera del Consiglio dei ministri al nuovo codice, che regolerà in futuro la concessione di lavori pubblici, si accende il dibattito sulle luci e sulle ombre del provvedimento e in molti casi non si risparmiano le polemiche. Dei 229 articoli che da ora in poi regoleranno tutte le procedure per assegnare e gestire un appalto, da più parti è stato accolto con favore il ricorso alla digitalizzazione e alla semplificazione. Ma come rovescio della medaglia della volontà di rendere le procedure più semplici oltre che più rapide e meno burocratizzate, c’è chi solleva dubbi e timori sulle possibili ripercussioni negative. Prima fra tutti l’Anac, che paventa il rischio di voti di favore o appalti assegnati a familiari e amici. Il ministro delle infrastrutture Matteo Salvini però rassicura garantendo che “con i tempi più veloci avremo meno corruzione”. L’Autorità che previene la corruzione in tutti gli ambiti amministrativi ritiene positivo che nel nuovo Codice degli appalti si punti sulla digitalizzazione, “che obbliga a trasparenza e partecipazione”. Ma non manca di puntare il dito su quella che ritiene la principale ‘ombra’, ovvero il fatto che sotto i 150.000 euro “si dà mano libera, si dice di non consultare il mercato e di scegliere l’impresa che si vuole”.

Il timore dell’Anac è che così “si prenderà l’impresa più vicina, quella che si conosce, non quella che si comporta meglio”. Insomma, secondo il presidente dell’autorità Giuseppe Busia “sotto i 150.000 euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri”. Secondo l’Anac, quindi, ben venga il fare in fretta, purché questo non significhi perdere di vista il fare bene. E non è nemmeno del tutto un bene sburocratizzare troppo laddove la burocrazia fa invece bene il suo lavoro, ovvero “fa controlli per far bene, per rispettare i diritti e perché i soldi vanno spesi bene”. Mentre la Cigil annuncia che l’1 aprile andrà in piazza con la Uil per protestare contro la nuova raccolta di norme e chiedere modifiche al governo, Salvini ne difende invece il valore, spiegando che “sarà uno strumento di lavoro fondamentale per l’Italia nei prossimi anni”. In vigore dal primo luglio, come anticipato dallo stesso ministro, il nuovo codice premetterà di “risparmiare almeno un anno nella fase dell’istruttoria della pratica”. E, secondo lo stesso Salvini, “chi lamenta che sia un favore a corrotti e corruttori sbaglia perché più veloce è l’iter della pratica meno è facile per il corrotto incontrare il corruttore”.

Tra le tante e più disparate reazioni alla nuova rivoluzione nel mondo degli appalti ha detto immancabilmente la sua anche l’Ance, l’associazione dei Comuni che saranno i soggetti interessati in prima linea nella gestione delle gare pubbliche. L’Ance plaude ai grandi passi avanti fatti in un tempo a disposizione assai limitato (vista la scadenza improrogabile del 31 marzo) e registra con favore le modifiche su illecito professionale e la revisione dei prezzi “anche se va ancora affinato il meccanismo di revisione per renderlo veramente automatico ed efficace”. “Restano però – osserva la presidente dell’Ance, Federica Brancaccio – perplessità sulla concorrenza, in particolare nei settori speciali che di fatto potrebbero sottrarre al mercato il 36% del volume dei lavori pubblici”. Tra i sindacati, particolarmente critica appare anche la Uil, con il segretario generale Paolo Bombardieri che avverte che “il codice degli appalti ci fa tornare indietro di 40 anni. Ci saranno, così, gare al massimo ribasso e si rischia di indebolire tutto ciò che si è provato a costruire per la sicurezza sul lavoro e per l’applicazione dei contratti, soprattutto nell’edilizia”. Di parere diverso invece la Filca-Cisl che definisce il codice appalti un passo in avanti importante per il settore, ma ritiene utili correttivi e affinamenti.

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Superbonus, detrazione in 10 anni e controlli ai Comuni

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Estendere la detrazione del Superbonus da 4 a 10, o anche 15 anni. Coinvolgere i Comuni nei controlli ai cantieri, con in cambio un ‘premio’ pari al 50% dei maggiori incassi. Poter usare il credito della detrazione per pagare le tasse. Ed estendere le deroghe allo stop della cessione e dello sconto in fattura anche ad altre aree colpite da eventi sismici, o alluvionali. Sono alcune delle principali richieste con cui è partito l’assalto dei partiti al decreto Superbonus. Ma dopo gli allarmi piovuti da più parti sull’impatto sul debito della spesa ormai abnorme per il maxi incentivo e sui rischi di un nuovo allentamento, si restringono gli spazi per eventuali modifiche. Su una cosa il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si è già detto favorevole: l’ipotesi di spalmare le detrazioni sul Superbonus su 10 anni, anziché i 4 attuali.

E proprio in questa direzione vanno diversi emendamenti, anche bipartisan, presentati alla commissione Finanze del Senato, in cui figura anche l’ipotesi di allungare i tempi a 10 o anche a 15 anni. In particolare, alcune proposte avanzate da Fi, Lega, Iv e M5s, riguardano le detrazioni, prevedendo, per le spese sostenute nel 2023, la possibilità di ripartirle in “dieci quote annuali di pari importo”. Opzione possibile attraverso la dichiarazione dei redditi di quest’anno. L’altra strada proroga uno strumento già previsto per le spese del 2022 nel dl Aiuti quater, che agiva sul fronte dei crediti di imposta: gli emendamenti prevedono la possibilità di usarlo anche per i crediti comunicati entro il “4 aprile 2024”, spalmandone così l’utilizzo su dieci anni, anziché sui quattro ordinari. Se la prima strada consentirebbe un ampliamento della platea dei beneficiari, la seconda avrebbe invece un impatto positivo sul debito.

Che, secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio, resterebbe abbondantemente sotto quota 140%. Riguarda le detrazioni anche la proposta, in due emendamenti uguali di Fi e Iv, di poter trasformare l’importo della detrazione per gli interventi con i bonus edilizi in credito d’imposta: questo permetterebbe al contribuente di usare il credito per pagare non solo l’Irpef ma anche l’Iva, le ritenute, l’Imu, la cedolare secca; salvando così l’ammontare eccedente i limiti dell’imposta (Irpef o Ires) con cui la detrazione è oggi ammessa in dichiarazione. Ma le richieste dei partiti si concentrano anche sull’estensione delle deroghe allo stop della cessione e dello sconto in fattura, che il decreto limita alle zone colpite dal sisma del 6 aprile 2009 e 24 agosto 2016 in Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Una proposta bipartisan chiede di estendere (ma con un tetto alla deroga di 100 milioni per il 2024) la deroga anche alle aree – per cui sia stato dichiarato lo stato d’emergenza – colpite dagli eventi sismici verificatisi dal primo aprile 2009 e dagli alluvioni del 2022 nelle Marche.

Ma le richieste di deroga sono molte e interessano diversi territori colpiti da eventi sismici o alluvionali, dall’Emilia Romagna a Ischia, dal Molise a Calabria e Basilicata, dai Campi Flegrei all’area etnea. E’ firmata dalla Lega, ma nasce da un’idea della commissione, infine, la proposta di coinvolgere i Comuni nei controlli ai cantieri del Superbonus. L’emendamento, del presidente della Finanze Massimo Garavaglia, ha l’obiettivo di “potenziare” il contrasto alle frodi e prevede per i Comuni un incentivo pari al 50% delle somme e sanzioni eventualmente incassate. In attesa della scrematura dei 355 emendamenti depositati in commissione, l’esame riprenderà martedì 30 aprile: si partirà dall’emendamento del governo che proroga di 2 mesi (dal 30 aprile al 30 giugno) il termine per i Comuni per approvare i piani finanziari e le tariffe relativi alla Tari. Insieme al subemendamento del Pd che – spiega la senatrice Cristina Tajani, che lo firma – punta a “far salve le delibere già adottate tra maggio 2024 e la data di entrata in vigore del decreto”.

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Candidature, si chiude il primo maggio

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Tra annunci, sorprese, e chi si concede di arrivare fino all’ultimo minuto per sciogliere le riserve, i partiti entrano nel rush finale della composizione delle liste. Una certezza però accomuna tutti gli schieramenti: entro il primo maggio le forze politiche dovranno depositare i nomi che prenderanno parte alla corsa per le europee 2024. Dopo l’ufficialità della candidatura del generale Roberto Vannacci – in corsa per la Lega in tutta Italia e capolista in Italia centrale – ora si aspettano i leader, anche per far quadrare la scacchiera dei nomi. Ad aver già lanciato la propria candidatura, la segretaria Pd Elly Schlein e il segretario di Forza Italia Antonio Tajani.

La dem capolista al Centro e nelle isole, e il vicepremier ovunque tranne che nelle Isole, dove invece ci sarà Caterina Chinnici. Gli occhi, in queste ore, sono tutti puntati sulla tre giorni a Pescara, dove domenica Giorgia Meloni dovrebbe fare il tanto atteso annuncio sulla sua discesa in campo. Se Giuseppe Conte e Matteo Salvini hanno già rinunciato, all’appello manca solo l’area centrista. O meglio, quella dell’ex Terzo polo. Infatti sono proprio Matteo Renzi e Carlo Calenda ad aspettare l’ultimo minuto per sciogliere la riserva.

I due ex alleati temporeggiano, almeno fino a quando Meloni non scoprirà definitivamente le carte. Ad oggi, tra i due, più quotata la candidatura di Calenda. Leader a parte, alcuni nomi già sono in campo. Proprio oggi gli esponenti di Avs Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, hanno presentato alla Camera la candidatura di Ilaria Salis come capolista nel collegio del Nord-Ovest. “Una battaglia in difesa della democrazia, della Costituzione e per l’Europa”, hanno detto i deputati assieme al papà Roberto, sulla candidatura della maestra che a Budapest rischia “11 anni di carcere duro”, per cui Ilaria in una lettera ha sottolineato che si difenderà al “processo” però nel “rispetto” dei diritti.

Per Avs, Fratoianni e Bonelli, non in campo direttamente, hanno putanto sugli ex sindaci, Ignazio Marino, Mimmo Lucano e Leoluca Orlando. Alcuni nomi certi anche per Stati Uniti di Europa di Iv e +Eu, come Emma Bonino alla guida del Nord Ovest. Il Movimento 5 stelle, dopo le autocandidature, sta invece attendendo l’ultimo voto on line degli iscritti sulle proposte del presidente Giuseppe Conte. Il leader di ‘Sud chiama Nord’, Cateno de Luca, e la ministra pentastellata Laura Castelli, guideranno la lista ‘Libertà’ in tutti i collegi. Incognita per ‘Pace Terra e Dignità’ di Michele Santoro che sta concludendo la raccolta firme nelle isole. E mentre la Lega di Salvini incastra le ultime caselle dopo la ‘bomba’ Vannacci, FdI mantiene il riserbo, almeno fino all’annuncio della premier.

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Kermesse Fdi, l’affondo di Mantovano sull’antifascismo

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Basta con le accuse. Di non avere tagliato davvero i ponti con il fascismo. Di essere sovranisti o populisti come se fosse una iattura: sul palco vista mare di Pescara va in scena l’orgoglio di Fratelli d’Italia e a lanciare l’affondo sono due tra gli esponenti più schivi del governo, Luca Ciriani e Alfredo Mantovano. Dall’aborto alla censura, passando per le “etichette” che puntano a “escludere” una parte politica, soprattutto il sottosegretario alla presidenza traccia le linee identitarie del partito che si appresta almeno a triplicare la compagine a Strasburgo al voto dell’8 e 9 giugno. A pochi giorni dalla consegna delle liste, sono le candidature, più che il programma che viene raccontato nelle tre sale allestite sul lungomare nel centro della città adriatica, a tenere banco nei capannelli.

Ci sono già diversi ministri, sottosegretari e una fitta pattuglia parlamentare all’inaugurazione della tre giorni: “135 relatori, 2200 delegati e più di 150 volontari”, fanno sapere da Fdi. E una grande tensostruttura che ha sollevato più di un dubbio tra le opposizioni locali. La kermesse si concluderà, nella speranza di tutti, con l’annuncio della candidatura di Giorgia Meloni alle europee. Lei finora non ha sciolto la riserva ma nel discorso conclusivo della kermesse farà sapere la sua decisione. Qui nessuno scommetterebbe il contrario, anche se le valutazioni sarebbero ancora in corso.

“Avrebbe la conferma della fiducia degli italiani” dice il ministro Francesco Lollobrigida. E indicherebbe, sottolinea anche il capogruppo al Senato Lucio Malan, “l’importanza che diamo a queste elezioni”. Certo, lei non opterebbe per il seggio all’Eurocamera, diversamente dai parlamentari che dovessero correre che invece, almeno nei ragionamenti che si fanno in queste ore, dovrebbero lasciare lo scranno a Roma per quello europeo se eletti (c’è ad esempio Maddalena Morgante che ha già annunciato la candidatura nel nord est, ma si starebbe ancora riflettendo anche su Salvatore Deidda nelle isole, o su Manlio Messina al Sud che sarebbe però più orientato al no). Nell’attesa della premier, che è anche presidente di Fdi e dei conservatori europei di Ecr, si alternano Gennaro Sangiuliano e Guido Crosetto, Ciriani appunto che respinge, all’indomani delle polemiche sul 25 aprile, le “lezioni di chi alimenta odio o divisioni” o le accuse di “censura”, anche perché il partito, sottolinea, “i conti con il passato li ha già fatti mille volte, una volta per sempre”.

Poi arriva Mantovano a metterci il carico: “Il fascismo demonologico era un’arma di esclusione di massa, si traduceva nella moltiplicazione di etichette attaccate a una persona o a un gruppo culturale, e l’arbitro esclusivo era il Pci. Nelle scorse ore abbiamo assistito a un remake dell’operazione etichettatura” che ora si può riproporre con “sovranista, populista o giocando con la categoria stato di diritto”. Mantovano sottolinea che “il vero stato di diritto è quello che vede l’Europa al servizio dei popoli e non gli Stati che rappresentano quei popoli al servizio dei burocrati e dei giudici”. E, ricordando i Trattati fondativi della Ue che prevedono che l’unione si occupi solo delle materie che le vengono affidate dagli Stati proprio attraverso i trattati, va all’attacco della decisione del Pe di qualche settimana fa di chiedere che l’aborto sia aggiunto alla Carta dei diritti fondamentali della Ue. “Confido che il nuovo Parlamento che andremo a eleggere non scriva più pagine simili non solo per il contenuto ma perché completamente fuori dal perimetro” dice dal palco.

Subito dopo spiegherà che a ridosso del primo maggio, il prossimo lunedì, a Palazzo Chigi si parlerà di nuovo tanto di lavoro. Si profila una mossa simile a quella dell’anno scorso, quando il Consiglio dei ministri nel giorno della Festa dei lavoratori decretò l’aumento della detribuzione nel cuneo fiscale. Questa volta il Cdm si riunirà il 30 aprile, e il giorno prima Meloni illustrerà ai sindacati le misure “importanti” sul lavoro contenute nel decreto legge, ora nelle mani del ministro Raffaele Fitto per la messa a punto, che riformerà le politiche di coesione.

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