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Abbattuto l’orso Elisio: viveva tra l’Italia e la Slovenia ed era controllato con un radio collare. Ha sconfinato ed è stato ucciso

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Elisio è morto, ucciso da un cacciatore: il bell’esemplare di orso bruno che viveva lungo il confine è stato trovato in Slovenia.  Aveva quasi 6 anni e pesava attorno ai 130 chilogrammi. Era nato proprio in Slovenia ma  da qualche anno “sconfinava” spesso in Italia, soprattutto nel Veneto. Nel 2017 era stato catturato e da quel momento aveva addosso un radio collare dell’università di Udine che consentiva di monitorare i suoi spostamenti, fornendo molti dati utili. Un caso analogo a quello di Elisio, come lo hanno chiamato i contadini della zona, si era verificato nel 2007 quando venne ucciso Bepi, un orso di 4 anni.

Elisio è stato ucciso più di una settimana fa ma la notizia si è appresa solo in queste ore nei boschi di Senozece, vicino alle grotte di San Canziano. L’orso era monitorato costantemente  dai ricercatori che per salvaguardarlo informavano la Slovenia degli spostamenti di Elisio, per farlo sapere ai cacciatori poiché nella regione è previsto l’ abbattimento controllato ma evidentemente stavolta non sé servito .

 

 

 

La comunicazione della morte dell’orso è arrivata il 27 novembre e a ucciderlo è stato un cacciatore sloveno; l’episodio ha suscitato non poche polemiche, in particolare per la diversità di regole tra Italia e Slovenia.

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Rischio innalzamento mari, un metro in più nel 2100

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Se le emissioni di gas serra continueranno al ritmo attuale, nel 2100 il livello del mare sulla Terra potrebbe aumentare anche fino a un metro, con danni sempre maggiori per mareggiate e fenomeni estremi. Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Earth System Science Data a cui hanno partecipato i docenti Matteo Vacchi dell’Università di Pisa e Alessio Rovere dell’Università Ca’ Foscari di Venezia come primo autore. “La ricerca – spiega l’Ateneo pisano – ha messo insieme tutti i dati esistenti relativi al livello del mare durante l’ultimo periodo interglaciale, 125mila anni fa, in cui la Terra è stata lievemente più calda rispetto ad oggi, circa 1-1,5 gradi su scala globale e 3-5 ai poli. Secondo l’atlante on line creato dai ricercatori, il livello dei mari all’epoca era tra i 3 e i 9 metri più alto di adesso”.

Secondo Matteo Vacchi, “il riscaldamento climatico odierno deriva invece, in larga parte, dall’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera dovuto all’effetto antropico e a livello globale le zone più vulnerabili all’innalzamento del livello del mare sono gli atolli nel Pacifico e le gradi piane costiere del sud-est asiatico, mentre nel Mediterraneo sono particolarmente vulnerabili la laguna di Venezia, l’alto Adriatico, e in generale le grandi piane costiere, per esempio il Volturno di Napoli, ma anche la piana pisana in Toscana, e per il nord Africa le zone costiere pianeggianti della Tunisia, del Marocco e il Delta del Nilo”. I dati messi assieme dallo studio, sottolinea l’Ateneo, “sono fondamentali per delineare dei modelli climatici futuri e se infatti si dovesse fondere tutta la calotta glaciale che copre attualmente la Groenlandia, il livello globale del mare salirebbe di circa 7 metri, mentre se si dovesse fondere tutta la calotta antartica l’aumento sarebbe di ulteriori 58 metri”. Ciò che preoccupa oggi, conclude Vacchi, “sono i tassi di risalita, ovvero l’accelerazione avvenuta negli ultimi 150 anni, in concomitanza con l’inizio della rivoluzione industriale che ha aumentato enormemente le emissioni di gas serra nell’atmosfera”.

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La Terra del futuro come Dune, un supercontinente arido

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Un nuovo unico supercontinente chiamato Pangea Ultima arido e desertico, con una CO2 doppia rispetto ad oggi e con temperature impossibili per la sopravvivenza di gran parte dei mammiferi, compresi noi umani. È come sarà la Terra tra 250 milioni di anni secondo la simulazione pubblicata sulla rivista Nature Geoscience e fatta dal geografo Alexander Farnsworth, dell’Università britannica di Bristol.

A trasformare la Terra in una sorta di Arrakis, il pianeta della fantascienza di Dune, non saranno le attività umane ma le dinamiche geologiche. Anche se in modo lento e quasi impercettibile, la superficie della Terra è in continua trasformazione: spostamenti generati dalle enormi forze attive all’interno del pianeta fanno sì che i continenti siano in movimento. È la cosiddetta deriva dei continenti, movimenti che portano i continenti a ‘vagare’ fino a incontrarsi a formare un unico supercontinente per poi separarsi di nuovo e poi riunirsi ancora in modo ciclico, come indica lo studio del 2021 guidato da Ross Mitchell, dell’Accademia delle Scienze Cinese e pubblicato sulla rivista Nature Review.

Oggi viviamo nel mezzo di uno di questi grandi cicli: l’ultimo supercontinente chiamato Pangea si frantumò circa 200 milioni di anni fa, e usando tutti i dati al momento disponibili, i ricercatori britannici hanno realizzato una simulazione di come potrebbe essere il suo clima fra 250 milioni di anni. È emerso uno scenario radicalmente diverso da quello di oggi: “sembrerebbe che per la vita ci sarà in futuro un periodo ancora più difficile”, ha commentato sul sito di Nature la geologa del Centro di ricerca tedesco per le geoscienze a Potsdam, Hannah Davies.

“È un po’ deprimente”, ha aggiunto. Secondo la simulazione, il prossimo supercontinente Pangea Ultima si posizionerà all’equatore e di fatto sarà una sorta di enorme deserto, caratterizzato da temperature altissime: “mediamente più calde di 25-30 gradi centigradi rispetto a quelle attuali”, ha dichiarato Farnsworth alla rivista Newsweek. A determinare temperature così alte sarà una combinazione di fattori, non solo la dimensione del supercontinente, che non permetterebbe l’arrivo della pioggia nelle zone centrali, ma anche la maggiore attività vulcanica, che porterebbe al possibile raddoppio della CO2 nell’atmosfera, e un’attività solare più intensa (dovuta all’invecchiamento della nostra stella) che renderà ancor più secca l’aria. E il tutto, sottolinea la ricerca, senza tenere in considerazione l’impatto umano sul clima perché giudicate ininfluenti su previsioni di così lungo periodo.

Un ambiente simile renderebbe impossibile la vita per molte specie di mammiferi, che vedrebbero ridursi le potenziale aree abitabili ad appena l’8% della superficie terrestre rispetto all’attuale 66%. Uno scenario che trasformerebbe radicalmente l’albero della vita, obbligando i mammiferi a nuove soluzioni evolutive e che probabilmente porterebbe alla comparsa di nuove specie dominanti. Se l’uomo dovesse ancora esistere, aggiungono i ricercatori, vivrebbe forse nelle caverne e diventerebbe notturno, in modo simile alla vita descritta sul pianeta Arrakis di Dune, ma “immagino che, se potessimo – ha detto Farnsworth – sarebbe meglio lasciare il pianeta per trovarne uno più vivibile”.

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Clima, in Italia rischio rincaro per 23% dei cibi preferiti

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Il 23% dei prodotti alimentari preferiti dagli italiani, dal caffè al tonno, dalle banane al cioccolato, potrebbe subire un significativo aumento di prezzo a causa del cambiamento climatico. Lo afferma un nuovo rapporto di Christian Aid, organizzazione religiosa di soccorso e sviluppo di 41 chiese cristiane di Regno Unito e Irlanda spiegando che i Paesi in via di sviluppo da cui provengono molti prodotti della lista della spesa delle famiglie italiane “stanno subendo gli effetti della siccità, del caldo e delle inondazioni”. Sette dei 25 principali partner commerciali dell’Italia per le importazioni, spiega l’associazione, “sono Paesi con un’elevata vulnerabilità climatica e un basso grado di capacità di adattamento e sono Brasile, Vietnam, Ecuador, India, Argentina, Uganda e Colombia”.

La situazione, avverte Christian Aid nel rapporto in cui esamina la minaccia climatica sulle filiere alimentari in Regno Unito, Germania e Italia, “non può che peggiorare se i Paesi ricchi non manterranno la loro promessa di investire 100 miliardi di dollari per il clima e di raddoppiare i finanziamenti per le strategie di adattamento entro il 2050, come promesso alla Cop di Glasgow. Il prezzo del caffè importato dal Brasile, spiega il rapporto, “è aumentato a causa di una combinazione di siccità e gelate, attribuite al cambiamento climatico, che hanno contribuito a far scendere le riserve globali di caffè al livello più basso degli ultimi vent’anni. La produzione di tonno in scatola proveniente dalla Costa d’Avorio sarà seriamente influenzata dai cambiamenti climatici e la pesca intensiva, con ribassi fino al 36% entro il 2050”.

Luca Bergamaschi, co-direttore di Ecco, il Think tank italiano per il clima rileva che “lo stile di vita degli italiani potrebbe essere radicalmente stravolto dagli impatti climatici. Per preservare la cultura tradizionale italiana è necessario intensificare gli sforzi a livello globale per raggiungere le emissioni zero e adattarsi a un nuovo clima”.

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