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Esteri

A Irpin, un anno dopo le ferite ancora aperte

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“La mia casa si trovava lì, al nono piano”. Oksana indica la finestra di un palazzo annerito dalle fiamme e devastato dalle bombe. In quell’appartamento tanto desiderato, era riuscita a realizzare il sogno di sua figlia di 11 anni di avere una camera color viola, tappezzata di poster di Elsa ed Anna, protagoniste del cartone animato Frozen. “Per un anno abbiamo avuto questa casa, e mia figlia si è sentita come una principessa”, ricorda. Poi, prende il telefono, e mostra il video di come l’hanno ridotta le bombe dei russi. “Ma se andate dentro, scoprirete che quella di mia figlia è l’unica stanza sopravvissuta alla devastazione. Perché loro possono distruggere un palazzo, ma non possono distruggere un sogno”. Così, Oksana riesce a sintetizzare lo spirito di Irpin, luogo simbolo della distruzione dell’invasione russa in Ucraina, che dopo un anno dalla liberazione è divisa tra nuovi edifici e palazzi ancora sventrati.

Rispecchiando i sentimenti della sua gente, che prova a rialzarsi mentre resta il dolore per una ferita che è impossibile da rimarginare. Oksana, 37 anni, lavora come capo del laboratorio che si occupa del controllo qualità dell’acqua ed è volontaria nella ‘difesa territoriale’ di Irpin, il gruppo che si occupa di fornire aiuto alla popolazione. La sua vecchia casa si trova a Smu, il quartiere che più di tutti ha subito la distruzione russa a Irpin. Qui c’è stata la battaglia più sanguinosa: a testimoniarlo, le case ancora scoperchiate, i segni delle esplosioni sull’asfalto, le auto distrutte, il parco giochi divelto, i vetri delle finestre infranti. “Qui abbiamo fermato i russi”, sottolinea. “Mia figlia ha visto cosa hanno fatto alla nostra casa. Non piangeva, chiedeva solamente quando sarebbe potuta tornare qui”, racconta. Il suo è un palazzo diventato famoso, perché scelto da Banksy per realizzare una delle sue opere in Ucraina, la ginnasta con il nastro. Ma se l’opera dello street artist sarà salvata, il resto dell’edificio sarà abbattuto, perché è irrecuperabile. Ma non importa: loro hanno già una nuova casa, dove c’è una stanza viola ad accogliere sua figlia.

“Se questa casa è il prezzo della mia vita e quella di mia figlia allora va bene. Quando ho visto che nella difficoltà potevo trovare una porta aperta, una persona generosa, ho capito che il mio futuro era già qui”. Facendo poche centinaia di metri, si raggiunge la vecchia scuola della figlia, anche questa bombardata dai russi e ora in ricostruzione, con un viavai di camion e ruspe. Guardando quell’edificio un tempo parte della sua quotidianità, Oksana ricorda i primi giorni della guerra. Di quando il 24 febbraio dello scorso anno, ha portato via da Irpin la figlia, senza però seguirla. “Quando ho saputo che avevano fatto saltare il ponte di Irpin, mi sono spaventata, e ho pensato di raggiungere mia figlia. Ma strada facendo ho capito che non potevo farlo, abbandonare la città, e sono rimasta”. Si commuove, ripensando al dolore di doversi separare dalla sua bambina per tre lunghi mesi. “Ma appena la città è stata liberata, siamo tornate insieme”. La scuola è una delle strutture che saranno ricostruite in città, dove secondo le autorità oltre 7 mila gli edifici sono stati danneggiati o distrutti dall’invasione. “La città è stata distrutta all’80%”, spiega Irina Mighidko, dirigente amministrativa del comune di Irpin. “Praticamente ogni scuola e asilo nido, e le case private quasi tutte. Oggi, l’amministrazione ha ricostruito quasi 5 scuole. E possiamo dire che tra i palazzi che hanno solo subito danni, al 50% la gente da sola o con aiuto di fondi e sponsor è riuscita a ristrutturare le case”.

Come quasi tutti qui, anche Irina conosce sulla sua pelle il dolore della guerra, dopo che il 6 marzo la sua auto è stata colpita in un attacco e un volontario è morto, mentre lei è rimasta ferita. “Quel giorno sono nata di nuovo”, dice. Di quel periodo ricorda l’ansia e la paura, ma anche la generosità dei negozianti di Irpin, pronti a offrire la loro merce per aiutare la popolazione. Attraversando le sue strade, Irpin si presenta come una città divisa tra due anime: quella della ricostruzione, che procede all’Università del servizio fiscale statale dell’Ucraina, e quella della distruzione, che avvolge ancora il Palazzo della Cultura, perché la priorità va alle infrastrutture critiche e alle abitazioni. Ma è soprattutto il ponte di Irpin, l’immagine che più di tutte sa raccontare lo spirito che si respira oggi nella città. Accanto alle macerie della costruzione che ha accolto sotto di sé migliaia di civili in fuga offrendo quella che sarebbe diventata una fotografia simbolo della guerra, sorge un cantiere dove gru e ruspe lavorano senza sosta alla realizzazione di nuovo attraversamento. Ricostruire, senza dimenticare: allo stesso modo, dopo un anno dalla liberazione, Irpin convive con un passato di dolore e un futuro di speranza.

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Pakistan, uccisi almeno 15 militanti talebani nel nord-ovest

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Le forze della sicurezza pachistane hanno ucciso 15 combattenti appartenenti al Tehrik-e-Taliban Pakistan (Ttp) in tre distinte operazioni nella provincia nord-occidentale del Khyber Pakhtunkhwa (Kp). Lo rendono noto i militari, precisando che le operazioni sono state condotte nel distretto di Karak, nel Waziristan settentrionale ed in quello meridionale. Armi e munizioni sono state recuperate dai combattenti uccisi, che, secondo le stesse fonti, erano coinvolti in numerose attività terroristiche.

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Iran, mistero sull’esplosione a Bandar Abbas: otto morti e oltre 700 feriti

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Il ministero dell’Interno iraniano ha confermato che il bilancio dell’esplosione avvenuta al porto di Bandar Abbas, città strategica sullo Stretto di Hormuz, è salito a otto morti e 740 feriti. Un evento gravissimo che scuote una delle aree più delicate per gli equilibri geopolitici globali.

Le cause restano misteriose

Le autorità iraniane parlano ufficialmente di un generico incidente, senza però fornire dettagli precisi. Questa vaghezza ha acceso numerosi interrogativi a livello internazionale: fonti estere suggeriscono che potrebbe trattarsi non di un incidente, ma di un attacco deliberato attribuibile a un Paese nemico, con il sospetto principale che ricade su Israele.

L’ipotesi dell’attacco mirato: la pista del combustibile per missili

Secondo analisi parallele, le esplosioni di Bandar Rajaei — uno dei principali terminali del porto di Bandar Abbas — non sarebbero casuali. La natura delle detonazioni, l’intensità dell’onda d’urto e l’estensione dei danni lascerebbero supporre la presenza di materiale altamente infiammabile e volatile, come il combustibile solido per razzi.

Fonti non ufficiali rivelano che Bandar Rajaei fosse recentemente diventato il deposito strategico del combustibile solido per missili balistici della Repubblica Islamica, importato dalla Cina tramite navi cargo. Non un semplice magazzino, dunque, ma un elemento chiave nelle strategie militari regionali di Teheran.

Israele nel mirino dei sospetti

Non sarebbe la prima volta che Israele compie operazioni mirate per neutralizzare le capacità missilistiche iraniane: già in passato, con massicce incursioni aeree, ha distrutto impianti critici, ritardando di anni la produzione bellica del regime. Secondo questa ricostruzione, l’Iran, nel tentativo disperato di ricostituire le sue scorte, avrebbe nascosto i materiali in infrastrutture civili, trasformando i cittadini in scudi umani.

L’attacco — se confermato — avrebbe incenerito gran parte del deposito e colpito anche la catena logistica dei rifornimenti missilistici destinati agli Houthi nello Yemen, infliggendo un danno catastrofico alla rete militare iraniana nella regione.

Un’accusa morale pesante contro il regime iraniano

L’episodio di Bandar Rajaei non sarebbe soltanto un durissimo colpo militare, ma rappresenterebbe anche un’accusa morale contro un regime accusato di sacrificare la propria popolazione pur di mantenere le proprie ambizioni imperiali. Come già avvenuto nell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, il prezzo più alto lo pagano i civili.

La tragedia di Bandar Abbas, secondo questa lettura, segna un passo ulteriore verso la resa dei conti finale con un regime ormai gravemente indebolito, sia sul piano militare sia su quello della legittimità internazionale.

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L’Estonia dissequestra una petroliera della flotta ombra russa

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Le autorità portuali estoni hanno rilasciato oggi la petroliera Kiwala appartenente alla cosiddetta flotta ombra russa sequestrata due settimane fa nel golfo di Finlandia dopo aver constatato la presenza di oltre 40 infrazioni alla normativa sulla navigazione dell’Estonia. Lo comunica il ministero dei Trasporti estone. Secondo quanto comunicato dalle autorità estoni, la nave è stata dissequestrata in seguito alla risoluzione di tutte le infrazioni rilevate. La petroliera era già stata sottoposta a sanzioni da parte dell’Unione europea, del Canada, della Svizzera e del Regno unito.

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