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Corona Virus

A 6 mesi crolla protezione fragili, cruciale la terza dose

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La terza dose della vaccinazione anti-Covid si conferma fondamentale per i soggetti immunodepressi come i malati oncologici, per i quali e’ gia’ partita. A dimostrarlo sono i dati di un nuovo studio italiano, il piu’ grande al mondo sulla risposta immunologica e sulla sicurezza del vaccino a mRNA nelle persone colpite da cancro, che evidenzia come in questi pazienti il tasso di risposta anticorpale aumenta fino al 94,2% dopo la seconda dose, ma trascorsi 6 mesi il livello anticorpale si abbassa molto e dopo 9 si azzera. Da qui la necessita’ del richiamo che, come prevede la recente circolare del ministero della Salute, verra’ ora esteso anche agli over-80, agli anziani nelle Rsa e al personale sanitario. Intanto, il quadro epidemiologico in Italia rimane pressoche’ stabile, pur con fisiologiche variazioni quotidiane. Sono 2.985 i positivi individuati nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute (ieri 1.772), mentre sono 65 le vittime (ieri 45). E sono scesi sotto quota centomila gli attualmente positivi al Covid in Italia: sono 98.872. Il tasso di positivita’ e’ dello 0,88%, in calo, cosi’ come i ricoveri: sono 459 i ricoverati in terapia intensiva (-29 rispetto a ieri). I ricoverati con sintomi nei reparti ordinari sono invece 3.418 (69 meno di ieri). A fare luce sul legame tra vaccino e pazienti oncologici e’ dunque lo studio condotto dall’Istituto Regina Elena-Sapienza Universita’ di Roma e pubblicato su Clinical Cancer Research, che ha arruolato 816 pazienti con diversi tipi di neoplasie solide in trattamento attivo o sottoposti a cure nei 6 mesi precedenti la vaccinazione anti-Covid. Il tasso di risposta, spiega Francesco Cognetti, direttore Oncologia Medica Regina Elena, “e’ aumentato in maniera significativa dal 59,8% a tre settimane dalla prima inoculazione fino al 94,2% dopo la seconda. Il vaccino e’ quindi efficace nei pazienti oncologici, che sono ad alto rischio di conseguenze gravi fino alla morte se contagiate dal virus”. Dati preliminari in corso di pubblicazione, tuttavia, rileva Cognetti, “mostrano una notevole diminuzione del tasso anticorpale negli oncologici in trattamento attivo a 6 mesi dalla prima dose, diminuzione molto piu’ significativa rispetto ai sani, ed una previsione di azzeramento degli anticorpi in questi pazienti a circa 9 mesi rispetto ai 16 mesi nei sani”. Intanto, mentre e’ appunto in atto il richiamo con la terza dose per gli immunodepressi, ci si prepara all’avvio della rivaccinazione degli anziani nelle Residenze assistite Rsa. Le asl nelle varie Regioni, spiega il presidente dell’Associazione nazionale strutture territoriali (Anaste) Sebastiano Capurso, “ci stanno contattando per un aggiornamento dei dati rispetto agli anziani presenti nelle Rsa sul territorio al fine di avviare le terze dosi gia’ nei prossimi giorni. Siamo soddisfatti ed e’ importante procedere in tal senso”. Da oggi sono gia’ partite le terze dosi per gli ospiti delle Rsa nella Asl di Rieti. Da mercoledi’ 29 settembre alle ore 24.00, poi, sara’ attivo per tutta la regione Lazio il servizio di prenotazione online per gli over 80 che hanno ricevuto la seconda dose entro il 31 marzo 2021, scegliendo il centro vaccinale o la farmacia vicino casa. Chi vuole puo’ invece fare la terza dose dal proprio medico contattandolo direttamente. A chiarire quale sara’ la tabella di marcia e’ stato oggi Gianni Rezza, direttore della prevenzione del Ministero della Salute: “Stiamo partendo, come gli altri Paesi, coprendo le persone a maggior rischio. Quando sara’ dato l’ok agli iperfragili? Probabilmente a ottobre, ma rispettando la tabella: avevamo cominciato con gli immunocompromessi. Sara’ una campagna di vaccinazione graduale”. Successivamente, la terza dose sara’ estesa ulteriormente, conferma il sottosegretario alla Salute Andrea Costa. “E’ ragionevole pensare che col passare del tempo si passi alla terza dose per tutti, ma – conclude – occorre sempre stabilire le priorita’”.

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Covid-19 e genetica: uno studio italiano spiega perché il virus ha colpito più il Nord che il Sud

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Un team di scienziati italiani ha scoperto un legame tra genetica e diffusione del Covid-19, individuando alcuni geni che avrebbero reso alcune popolazioni più vulnerabili alla malattia e altre più resistenti.

Come stabilire chi ha maggiore probabilità di sviluppare il Covid-19 in forma grave? E perché la pandemia ha colpito in modo più violento alcune zone d’Italia rispetto ad altre? A queste domande ha risposto uno studio multidisciplinareguidato dal professor Antonio Giordano, direttore dell’Istituto Sbarro di Philadelphia per la Ricerca sul Cancro e la Medicina Molecolare, in collaborazione con epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi.

Dallo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Journal of Translational Medicine, emerge che la predisposizione genetica potrebbe aver giocato un ruolo determinante nella diffusione e nella gravità del Covid-19.

Il ruolo delle molecole Hla nella risposta immunitaria

Il metodo sviluppato dai ricercatori ha permesso di individuare le molecole Hla, ovvero quei geni responsabili del rigetto nei trapianti, come indicatori della capacità di un individuo di resistere o soccombere alla malattia.

“È dalla qualità di queste molecole che dipende la capacità del nostro sistema immunitario di fornire una risposta efficace, o al contrario di soccombere alla malattia”, ha spiegato Pierpaolo Correale, capo dell’Unità di Oncologia Medica dell’ospedale Bianchi Melacrino Morelli di Reggio Calabria.

Lo studio ha dimostrato che chi possiede molecole Hla di maggiore qualità ha più possibilità di combattere il virus e sviluppare una forma più lieve della malattia. Questo metodo, inoltre, potrebbe essere applicato anche ad altre malattie infettive, oncologiche e autoimmunitarie.

Perché il Covid ha colpito più il Nord Italia? Questione di genetica

Uno dei dati più interessanti dello studio riguarda la distribuzione geografica delle molecole Hla in Italia. I ricercatori hanno scoperto che alcuni alleli (varianti genetiche) sono più diffusi in certe zone del Paese, influenzando così l’impatto della pandemia.

Secondo lo studio, la minore incidenza del Covid-19 nelle regioni del Sud rispetto a quelle del Nord potrebbe essere dovuta a una specifica eredità genetica.

Tra le ipotesi vi è quella di un virus antesignano del Covid-19 che si sarebbe diffuso migliaia di anni fa nell’area che oggi corrisponde alla Calabria, “immunizzando” in qualche modo i discendenti di quelle terre.”

Lo studio: 525 pazienti analizzati tra Calabria e Campania

La ricerca ha preso in esame tutti i casi di Covid registrati in Italia nella banca dati dell’Istituto Superiore di Sanità, oltre a 75 malati ricoverati negli ospedali di Reggio Calabria e Napoli (Cotugno), e 450 pazienti donatori sani.

I risultati hanno evidenziato che:

  • Gli Hla-C01 e Hla-B44 sono stati individuati come geni associati a maggiore rischio di infezione e malattia grave.
  • Dopo la prima ondata pandemica, questa associazione è scomparsa.
  • L’allele Hla-B*49, invece, si è rivelato un fattore protettivo.

Uno studio rivoluzionario con implicazioni future

Questa scoperta non solo aiuta a comprendere la diffusione del Covid-19, ma potrebbe anche essere utilizzata in futuro per prevenire altre pandemie, individuando le popolazioni più a rischio e quelle più protette.

Un lavoro che apre nuove strade nel campo della medicina personalizzata, dimostrando che genetica e ambiente possono influenzare l’evoluzione di una malattia a livello globale.

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Covid-19, cinque anni dopo: cosa è cambiato e quali lezioni abbiamo imparato

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Cinque anni fa, l’Italia si fermava. L’8 marzo 2020, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava il primo lockdown totale della storia repubblicana. Un provvedimento drastico, nato dall’esplosione dei contagi da Covid-19, che costrinse il Paese a chiudere in casa 60 milioni di persone, con l’unica concessione delle uscite per necessità primarie.

L’Italia è stato uno dei primi paesi occidentali ad affrontare un impatto devastante del virus. Il primo caso ufficiale venne individuato nel paziente zero di Codogno, Mattia Maestri, mentre il primo decesso fu registrato il 21 febbraio 2020 con la morte di Adriano Trevisan a Vo’ Euganeo.

Nei giorni successivi, il Paese assistette a scene che rimarranno impresse nella memoria collettiva: ospedali al collasso, città deserte, striscioni con “andrà tutto bene” esposti sui balconi, mentre nelle province più colpite, come Bergamo, i camion dell’esercito trasportavano le bare delle vittime.

Con il Vaccine Day del 27 dicembre 2020, l’arrivo dei vaccini segnò l’inizio della campagna di immunizzazione di massa, accompagnata dall’introduzione del Green Pass, che portò a feroci polemiche e alla nascita di movimenti No-Vax. Il 31 marzo 2022 venne dichiarata la fine dello stato di emergenza in Italia, mentre il 5 maggio 2023 l’OMS decretò la conclusione della pandemia a livello globale.

Il nuovo approccio alla gestione delle pandemie

Cinque anni dopo il lockdown, il governo Meloni ha rivisto il piano pandemico nazionale, con l’introduzione di nuove regole che limitano l’uso di misure restrittive. I DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), usati ampiamente durante il governo Conte per imporre limitazioni agli spostamenti e alle attività economiche, non saranno più utilizzati, sostituiti da una gestione più parlamentare dell’emergenza.

Inoltre, il 25 gennaio 2024 è entrato in vigore il decreto che ha abolito le multe per chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale, un provvedimento che ha riacceso il dibattito su come è stata affrontata la pandemia e sui diritti individuali.

La commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza

Uno dei segnali più evidenti della volontà di rivalutare le scelte fatte è l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione della pandemia, approvata il 14 febbraio 2024. La commissione ha già tenuto 24 audizioni, ascoltando esperti, rappresentanti istituzionali e figure chiave della crisi sanitaria, come l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, assolto di recente per l’inchiesta sulle mascherine importate dalla Cina.

A cinque anni di distanza: quali lezioni?

La pandemia ha lasciato un segno profondo sulla società italiana e ha messo in discussione il modello di gestione delle emergenze. Se da un lato c’è chi sostiene che le restrizioni fossero necessarie per salvare vite umane, dall’altro si solleva il dibattito su quanto fossero proporzionate e su eventuali errori di valutazione nelle misure adottate.

Oggi, il nuovo piano pandemico riconosce la necessità di una maggiore trasparenza e coinvolgimento del Parlamento, evitando misure straordinarie come quelle imposte con i DPCM. Ma l’eredità di quei mesi resta incisa nella memoria collettiva: l’Italia che si fermava, i bollettini quotidiani, i medici in prima linea e il ritorno, lento e faticoso, alla normalità.

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Covid: tra Natale e Capodanno scendono casi, stabili le morti (31)

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In Italia scendono i contagi mentre i decessi restano sostanzialmente stabili nella settimana tra Natale e Capodanno: dal 26 dicembre all’1 gennaio sono stati registrati 1.559 nuovi positivi, in calo rispetto ai 1.707 del periodo 19-25 dicembre, mentre le morti sono state 31 rispetto ai 29 casi nei 7 giorni precedenti. E’ quanto si legge nel bollettino settimanale sul sito del ministero della Salute. Lombardia e Lazio, seguite dalla Toscana, sono le regioni che hanno riportato più casi. Le Marche registrano il tasso di positività più alto (11,4%). Ancora una riduzione del numero di coloro che si sottopongono a tamponi: scendono da 44.125 a 34.532 e il tasso di positività cresce dal 3,9% al 4,5%.

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