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Maresca fa il punto sulla rivolta nelle carceri: “Nessuno sconto e nessun incontro con i violenti, lo Stato sia autorevole e credibile”

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Sembra si stia parlando di amnistia o indulto per i carcerati, dopo i tumulti del weekend scorso.
Tante volte mi sono chiesto come si potesse arrivare ad un accordo con i delinquenti. Anzi, ancor prima come si possa solo ipotizzare di intavolare una qualsiasi forma di trattativa con mafiosi, spacciatori, assassini e rapinatori. O peggio ancora come si possa dare ascolto a chi, anche macchiatosi di reati considerati più veniali, abbia preso parte alle devastazioni delle carceri dell’altro giorno.
Non si è trattato, infatti, di mere proteste, ma di veri e propri attentati all’ordine democratico dello Stato. Sembravano scene da narcos colombiani. Il drammatico bilancio di morti, feriti e di devastazioni ne è testimonianza fin troppo evidente.

Non è questione di colpe, né tantomeno di autonome assunzioni di responsabilità. Ma di rispetto delle Istituzioni, di quelle Istituzioni fatte da donne ed uomini che si rompono la schiena tutti i giorni nel tentativo di assicurare sicurezza e giustizia. Lo stesso rispetto che meritano tutti gli uomini della polizia penitenziaria che stavano semplicemente facendo il loro dovere, quando si sono visti offesi ed aggrediti. Quaranta di loro sono rimasti feriti.
Per anni abbiamo discusso e continueremo a farlo, appena passata la bufera del coronavirus, di patto Stato-Mafia.
I giudici di Palermo e, presumibilmente poi della Suprema Corte di Cassazione, ci diranno se e come ci fu reato.
Un fatto però sembra acclarato, ci sono momenti in cui per situazioni o contingenze particolari, pezzi dello Stato si trovano a trattare coi delinquenti. O almeno danno la sensazione di farlo.
Per ragion di Stato o per presunte ragioni umanitarie, per me è e resta una scelta sbagliata.
È addirittura scontato che nulla può costringere a tale resa, ma non si deve neanche rischiare che passi questo messaggio. Che la gente o addirittura i mafiosi possano pensare di farla franca e di fregare lo Stato.
In questi casi non c’è spazio per il permissivismo, per quell’atteggiamento di deplorevole tolleranza che nasconde una pesante e grave debolezza.

L’unica cosa che lo Stato non deve fare è mostrare debolezze e tentennamenti.
Non solo niente patti, niente accordi, ma neanche nessun passo indietro.
Chi devasta edifici e strutture pubbliche non merita nessun rispetto e nessuna pietà ingiustificata.
Anzi va punito in maniera decisa e pesante per dare l’esempio a chi possa immaginare il contrario.
Discorso diverso vale, invece, per i detenuti più deboli, più cagionevoli. Ce ne sono e meritano tutela in una situazione di emergenza.

Carcere di Poggioreale. Le rivolte nelle carceri italiane sono un segnale allo Stato da parte dei detenuti che colgono il momento di debolezza

Lo Stato supremo può emettere -alle condizioni fissate dalla legge – atti di clemenza. Amnistia, indulto e grazia sono i tre istituti giuridici con cui si estinguono i reati e le pene per tutti o per singoli detenuti in presenza di situazioni eccezionali. Per i primi due a carattere generale provvede il Parlamento con maggioranze qualificate. Ed è assolutamente legittimo che, se ritiene, lo faccia.
La cosa preoccupante è che se ne parli proprio subito dopo che sono state domate le rivolte dei detenuti.
Sarebbe un grave errore dare anche vagamente la sensazione di agire per effetto della pressione o peggio del ricatto di delinquenti facinorosi, molto probabilmente organizzati per questo fine.

Il dato censurabile in questi casi è anche un altro, altrettanto allarmante. Se ci sono, e c’erano evidentemente anche prima che scoppiasse l’epidemia, singoli casi più gravi, da tutelare, perché non lo si è fatto prima?
Chi doveva intervenire e non è intervenuto?
Se c’erano singoli detenuti da proteggere con misure alternative e non lo si è fatto si è commesso un errore.
Ma se per coprire questi errori si concederanno provvedimenti di clemenza generalizzati, se ne commetterà uno ancora più grave.
Simili errori, fatti da singole persone, espongono lo Stato al più pesante danno possibile, la perdita di credibilità.
E lo Stato non può perdere autorevolezza per colpa di singoli comportamenti sbagliati.
Purtroppo, siamo uomini e come tali fallibili.
Ma quando scegliamo liberamente di diventare uomini delle Istituzioni, assumiamo su di noi un onere aggiuntivo, che ci impone di fare un passo indietro.

L’errore personale non può travolgere l’istituzione che si rappresenta.
Non è questione di lana caprina, ma ne va della credibilità dello Stato.
Quella credibilità e quella autorevolezza che poi serve allo Stato quando di devono adottare provvedimenti difficili e talvolta impopolari.
Lo sapete perché?
Perché le Istituzioni sono sacre e vanno rispettate sempre e comunque. Mentre gli uomini che le rappresentano possono sbagliare, ma fortunatamente passano.
Riacquistiamo questo valore basilare e fondamentale di democrazia, per superare le piccole e le grandi difficoltà.
Per uno Stato credibile ed autorevole.

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Operaio muore a Brindisi, il padre fu vittima sul lavoro

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Aveva 46 anni e nove anni fa aveva perso il padre in un altro drammatico incidente sul lavoro Vincenzo Valente, l’operaio morto nella notte in uno zuccherificio a Brindisi mentre era impegnato in alcune attività di manutenzione sul nastro trasportatore che collega lo stabilimento al porto industriale di Costa Morena Est. “Erano due persone speciali unite da un drammatico destino”. E’ il pensiero che unisce la piccola comunità di Latiano, a circa 20 chilometri da Brindisi, dove vive la famiglia Valente. L’11 febbraio del 2015 a 65 anni Cosimo Valente era morto dopo una caduta da un albero mentre effettuava dei lavori di potatura. Nella notte, il figlio, invece è morto a causa di una grave emorragia dopo che il suo braccio, per cause ancora da chiarire, è stato tranciato dall’impianto in movimento. Vincenzo malgrado i tentativi dei medici di rianimarlo è morto.

Il corpo del 46enne, dipendente di una ditta esterna allo stabilimento, è stato recuperato dai vigili del fuoco, in quanto si trovava ad un’altezza di oltre 10 metri. In attesa di quelle che saranno le indagini, le organizzazioni territoriali di Fai Cisl, Flai Cgil e Uila, dopo la morte dell’operaio, hanno già annunciato una giornata di sciopero “sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro che costituisce un imperativo”. La procura di Brindisi, intanto, ha aperto un’inchiesta sull’accaduto ed è stato disposto il sequestro preventivo del nastro 6 per proseguire negli accertamenti.

Le indagini sono condotte dalla polizia e dai tecnici dello Spesal dell’Asl di Brindisi che hanno acquisito una serie di rilievi e le testimonianze degli altri operai che erano in turno con Valente. Il 46enne è la terza vittima dall’inizio del 2024 a Brindisi: il primo marzo morì il 40enne Giuseppe Petraglia caduto da un’altezza di dieci metri in un capannone della zona industriale. Meno di due settimane dopo l’incidente all’interno dello stabilimento Jindal con il decesso del 37enne Gianfranco Conte travolto da un macchinario. Solo pochi giorni fa, alla vigilia del primo maggio, un altro operaio di 59 anni, Corrado Buttiglione era morto in Puglia, travolto dal muletto che stava manovrando in un’azienda a Gioia del Colle.

Il sindaco di Latiano Mino Maiorano ha annunciato che nel giorno dei funerali del 46enne “sarà proclamato il lutto cittadino”. Il primo cittadino si accoda alle richieste dei sindacati sulla sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro. “Ora è il momento della riflessione e del silenzio ma – dice Maiorano – non posso esimermi dal denunciare l’urgenza di porre un argine al dramma dei morti sul lavoro che fa registrare oltre mille vittime ed oltre 500 mila incidenti ogni anno”. Valente, non è l’unico operaio deceduto nelle ultime ore in uno stabilimento in Italia. A Lanciano al reparto montaggio dello stabilimento Stellantis Europe di Atessa, ex Sevel, a causa di un infarto è morto il 56enne Massimo Di Florio che si è improvvisamente accasciato su un carrello. Dopo l’accaduto il restante turno di lavoro è stato annullato in comune accordo tra l’azienda e la Rsa di Fim, Uilm e Fismic nei reparti Montaggi e Logistica.

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Maria prima nata a Lampedusa dopo 51 anni si battezza

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E’ nata il 31 luglio 2021 a Lampedusa dove i suoi genitori, della Costa d’Avorio, sono giunti con un barcone partito dall’Africa. Ora Maria è tornata, dopo due anni e mezzo sull’isola dove domani verrà battezzata durante la messa serale, nella parrocchia di San Gerlando. La bambina e i suoi genitori sono arrivati ieri a Lampedusa da Cassaro, comune di poco più di 700 abitanti in provincia di Siracusa, dove sono ospiti della rete Sai (sistema accoglienza integrazione) gestita dalla cooperativa Passwork. La famiglia è stata accolta dal sindaco delle Pelagie Filippo Mannino che ha voluto la cittadinanza onoraria, deliberata dal Consiglio comunale, per la piccola. Il riconoscimento è stato conferito oggi pomeriggio, quando in via Roma è stato intitolato a Maria il parco giochi realizzato con i fondi Fami del ministero dell’Interno.

Mannino, accogliendo ieri la bimba e i genitori, ha chiesto se fossero cattolici e se era possibile un incontro con la comunità dei fedeli di Lampedusa. I genitori di Maria si sono detti disponibili all’incontro e hanno anche manifestato l’intenzione di battezzare la piccola proprio nella sua isola. Stamani è stato contattato il parroco che ha dato il via libera e che ha già trovato la tutina bianca da far indossare a Maria. La bimba è stata la prima a nascere, dopo 51 anni, a Lampedusa, dove le donne non partoriscono per mancanza di una struttura sanitarie adeguata. Maria è nata nell’ambulatorio del punto territoriale d’emergenza (Pte).

Rita, ivoriana di 38 anni, già madre di due figli rimasti in Costa d’Avorio, faceva parte di un gruppo di migranti salvato e sbarcato nell’isola. La donna, giunta alla fine della gestazione, è stata portata in via precauzionale al poliambulatorio. Al Pte la ha iniziato il travaglio e non essendo stato possibile trasferirla in elisoccorso i sanitari hanno deciso di farla partorire lì. Ad assisterla e supportarla oltre ai medici in servizio è stata Maria Raimondo, infermiera di Corleone in servizio all’ambulatorio di Lampedusa: i genitori hanno deciso di dare il nome della donna alla figlia.

La cittadinanza onoraria e l’intitolazione del parco – partecipa anche per il dipartimento Libertà civili e immigrazione il vice prefetto Carmen Cosentino – sono state decise in quanto Maria è un simbolo di speranza. Nelle motivazioni è scritto: “Maria è il simbolo di chi c’è l’ha fatta ma soprattutto di chi non ce l’ha fatta, di chi nutre la speranza di raggiungere un posto migliore dove mettere radici, dove vivere nella piena libertà e legalità, dove il diritto all’infanzia è una priorità. Ed è per questo che la nostra comunità è in dovere e in diritto di riconoscerle la cittadinanza onoraria, un riconoscimento alla vita, alla solidarietà, al rispetto e tutela dei diritti umani e di tutti i bambini che come Maria sono nati a Lampedusa”.

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OpenAI sfida Google, pronta a lanciare motore di ricerca

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Un’alternativa a Google, il motore di ricerca per antonomasia, basato su ChatGpt. Potrebbe essere questa la prossima mossa di OpenAI, l’azienda madre del software che ha dato una spinta all’intelligenza artificiale, rimescolato le carte nel settore tecnologico e che ora punta a togliere il monopolio al colosso di Mountain View. Un battage sui social media parla dell’esistenza di un nuovo dominio sul sito della società che contiene la parola ‘search’, appunto ‘ricerca’. Le voci ufficiose indicano il 9 maggio come data di lancio. Il dominio https://search.chatgpt.com, così si chiamerebbe, è stato avvistato da un utente della piattaforma Reddit. Al momento visitando il sito appare la scritta “not found”. Il possibile motore di ricerca si presume si baserà sul porre domande e sull’interazione con un modello di intelligenza artificiale che utilizza un linguaggio naturale, sulla falsa riga della Search Generative Experience di Google.

“Nessuno ancora è riuscito a combinare i large language models e la ricerca, mi piacerebbe farlo – ha detto il mese scorso in una intervista Sam Altman, il Ceo di OpenAI – Google ti mostra 13 annunci e dieci link blu, forse esiste un modo migliore per aiutare le persone a trovare le informazioni”. Le frasi sembrano una dichiarazione di guerra. Google domina la scena da quasi 30 anni, ha una quota di mercato del 90% e sborsa ogni anno miliardi di dollari a Apple per rimanere la scelta di ricerca predefinita anche sugli iPhone. E nel puzzle tecnologico che si sta componendo alla luce dell’exploit dell’intelligenza artificiale, proprio Apple – secondo indiscrezioni di Bloomberg – sta intensificando le trattative con OpenAI per una possibile integrazione di ChatGpt sui melafonini. Sullo sfondo c’è Microsoft che ha finanziato pesantemete la società guidata da Sam Altman e ha iniziato le prove tecniche di integrazione dell’IA nel suo motore di ricerca Bing.

Dal canto suo Google sta inserendo gradualmente il chatbot Gemini sia nella ricerca sia in alcune sue app popolari e, secondo il Financial Times, starebbe valutando la possibilità di far pagare per alcune funzionalità potenziate dall’IA. È probabile che un aggiornamento sull’intelligenza artificiale e una risposta ad OpenAI arrivi a stretto giro nella conferenza degli sviluppatori della società prevista il 14 maggio. L’ipotesi di un motore di ricerca con ChatGpt rimescolerebbe le carte di un settore in ebollizione, aprendo ad un nuovo attore che unisce l’intelligenza artificiale all’ampiezza dei dati trovati online. Quello dei dati usati per l’addestramento di questi grandi modelli linguistici, sempre più onnivori, non è però un tema secondario. Di recente negli Stati Uniti, dopo il New York Times, otto quotidiani hanno fatto causa a OpenAI per violazione dei diritti di autore: sostengono che i loro articoli sono stati usati per alimentare il chatbot. Mentre un’associazione europea, noyb.eu, ha depositato un reclamo al Garante per la privacy austriaca sostendendo che ChatGpt viola il Gdpr, la legge europea sulla protezione dei dati personali.

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