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Maresca torna su Nove con “Attacco al clan – caccia ai Casalesi”: non è Gomorra, qui i mafiosi non parlano

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Il documentario “Attacco al clan – caccia ai Casalesi” andrà in onda, diviso in due puntate, in prima tv assoluta il 20 e il 27 febbraio alle 21:25 sul canale NOVE. Il magistrato Catello Maresca racconterà in prima persona la passione e il sacrificio degli uomini dello Stato che hanno sconfitto il clan dei Casalesi. Nella prima puntata, il focus è sulla cattura del sanguinario boss Giuseppe Setola. Nella seconda, Maresca ricostruisce le fasi salienti del processo Spartacus a carico del clan, una maxi operazione che ha poi portato alla condanna all’ergastolo per Francesco Schiavone e i principali capi dell’organizzazione mafiosa casertana. Dopo il successo de “Il giorno del giudizio”, avvincente racconto della cattura del superlatitante Michele Zagaria, Maresca (di recente nominato sostituto procuratore generale di Napoli, ndr) ritorna come testimonial dello Stato in tv con questo inedito documentario.  L’obiettivo è quello di mostrare l’altra faccia di Gomorra: la prospettiva dei buoni, donne e uomini dello Stato che con passione combattono ogni giorno il malaffare e la criminalità organizzata.

Dottor Maresca, molti reputano importanti questi documentari. Può spiegarci perché dal suo punto di vista?

Credo sia importante almeno per due aspetti fondamentali. Il primo è legato alla memoria, all’importanza di raccontare ai più giovani e di ricordare a chi ha sofferto, i risultati straordinari conseguiti dallo Stato nella lotta alla criminalità organizzata. Poi c’è il senso profondo che abbiamo dato a questo racconto: il sacrificio e la dedizione di donne e uomini dello Stato che lottano ogni giorno contro il crimine organizzato. Un taglio inedito: non scegliamo il punto di vista dei criminali, ma quello di chi li combatte animato da forti passioni. Il punto di vista dei buoni.

Crede sia un prodotto che completa – rappresentando le vittorie dello Stato sulla criminalità organizzata – la narrazione forse un po’ troppo unilaterale di Gomorra, che prende invece in considerazione solo i cattivi? 

È esattamente  la prospettiva opposta. Nel primo documentario, “Il giorno del giudizio”, i delinquenti non hanno nemmeno facoltà di parola. Lo stesso Zagaria non lo si sente mai parlare. Anche in questo racconto, che si concentra su altri due fronti caldi, il gruppo di Setola e quello degli Schiavone, abbiamo scelto di lasciare sullo sfondo i criminali dando spazio e voce alla parte sana, gli uomini delle istituzioni che combattono la camorra.

Posso chiederle che effetto le ha fatto rivivere, raccontando davanti ad una telecamera, certe catture (come quella di Setola) che hanno fatto la storia delle investigazioni di questi anni?

Ho rivissuto tante emozioni provate durante quelle attività. Ho rimesso piede nell’aula di tribunale in cui si celebrò uno dei processi al gruppo di Setola; ho ricordato le tante riunioni, i confronti con i colleghi magistrati. Ho ricordato con piacere i momenti di coordinamento e quelli di difficoltà. Consideri che nel caso di Setola, io ero praticamente appena arrivato alla Direzione distrettuale antimafia; seguivo quindi le indicazioni che provenivano da colleghi più anziani ed esperti di me: Cesare Sirignano, Giovanni Conzo, Sandro Milita, sotto la direzione di Franco Roberti, che ha coordinato buona parte di quelle attività. Ero all’inizio e non ho potuto che ricordare con gioia e un po’ di nostalgia quei momenti. 

In che cosa si assomigliano il primo documentario sulla cattura di Zagaria e questo su Setola?

Le puntate sono legate dallo stesso filo conduttore. Quando abbiamo proposto a Discovery questo progetto, eravamo partiti con la volontà di raccontare tutta la storia dell’aggressione al clan dei Casalesi, che ha avuto luogo a partire dal 2000 e fino al 2011, anno della cattura di Zagaria. Il filo conduttore è la grande passione che anima queste imprese: dietro una grande operazione si celano il sacrificio e l’abnegazione di tante donne e uomini. Il senso ultimo è allora la vittoria dello Stato e quello che c’è dietro.

Quali sono state le reazioni della troupe quando s’è trovata nei posti in cui sono stati consumati feroci omicidi o nei bunker sotterranei dove si nascondevano questi boss sanguinari?

Nella troupe ho visto sorpresa e stupore; certe cose puoi sentirle o leggerle sui giornali, ma quando le vivi in prima persona è un’altra cosa. Mentre li accompagnavo in questi posti notavo la loro grande sorpresa; spesso la realtà supera l’immaginazione. Talvolta c’era anche timore a ritornare in certi posti in cui l’accoglienza ricevuta non era stata delle migliori. E’ stato interessante per me cercare di trasmettere certe sensazioni ad una troupe fatta perlopiù di persone non napoletane, che non vivono la quotidianità della lotta alla criminalità organizzata. Credo di esserci riuscito perché il risultato finale è un racconto realistico, vero, diretto, che arriva immediatamente a chi guarda. 

Dopo “Il giorno del giudizio…” arriva su Nove “Attacco al clan – caccia ai Casalesi”

Setola è noto alle cronache per l’efferata violenza, la mentalità stragista, le fughe rocambolesche prima della cattura. Che ruolo ricoprì all’interno del clan?

Dalle sentenze che hanno ricostruito quel periodo, emerge che Setola aveva ricevuto il mandato da parte del gruppo Bidognetti di ricostituire il gruppo e di riportarlo ai fasti di un tempo, quelli raggiunti alla fine degli anni ottanta. Setola scelse di farlo probabilmente nel modo peggiore possibile, perpetrando un attacco violentissimo allo Stato, una stagione che si definì stragista e che culminò – sebbene gli episodi omicidiari non finirono quel giorno – nella strage di Castelvolturno del settembre 2008. 

Quale fu la portata del processo Spartacus ai danni dei casalesi? Quali aspetti di questa lunga vicenda processuale emergono dal racconto del documentario?

Nella seconda puntata ho cercato di chiudere il cerchio. Avevamo parlato di Zagaria, di Setola e dei Bidognetti, di Iovine in modo incidentale; mancava all’appello il gruppo Schiavone, protagonista indiscusso della storia criminale del clan. Non è stato semplice perché è una storia lunga e complessa. Il clan viene fondato da Francesco Schiavone, detto “Sandokan”, colui che raccoglie l’eredità criminale di Bardellino. Abbiamo scelto di focalizzare la nostra attenzione sui passaggi essenziali. A partire dal processo Spartacus, la cattura di Schiavone, per arrivare alla storia dell’aggressione patrimoniale al clan, momento fondamentale della nostra strategia di attacco. Una parte questa, a cui sono particolarmente legato e che sento mia. Abbiamo ricostruito la storia dell’aggressione patrimoniale a partire da Giovanni Falcone, che la istituì, fino ai giorni nostri. 

Possiamo affermare che lo Stato ha vinto? Ha sconfitto il clan dei Casalesi?

Io con fermezza e tanta soddisfazione posso dire che lo Stato, che noi abbiamo rappresentato in quel periodo storico, la battaglia contro quel clan dei Casalesi l’ha vinta; quel clan composto dai gruppi Schiavone, Bidognetti, Zagaria e Iovine non esiste più. Questo è certificato anche dalle sentenze successive. Se e quando saranno in grado di ricostituirsi lo dovremo vedere; ma quel clan è stato definitivamente sconfitto. Speriamo ovviamente che grazie all’impegno anche di altre parti dello Stato questi fenomeni si possano definitivamente estirpare e se ne possa parlare finalmente al passato e non più al presente. 

“Attacco al clan – Caccia ai casalesi” è un documentario di Discovery in esclusiva per “Nove Racconta”

 

  • Le foto di scena e i video per l’anteprima del documentario che abbiamo utilizzato in questo servizio sono stati concessi da Discovery Italia propietaria di Canale Nove e dalla Produzione NonPanic Banijay.

 

  • Un grazie sentito a Beatrice Mariani Pr senior esecutive di Discovery Italia per la gentile, puntuale e corretta collaborazione fornita.

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Guida ubriaco, si scontra con 3 moto e muore centauro, arrestato

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E’ risultato positivo all’alcol test il conducente della Fiat Punto che oggi si è scontrato con tre moto lungo la statale 108 bis “Silana di Cariati” che porta a Lorica. Nell’urto un centauro 37enne di Settingiano (Catanzaro) è morto, e altri due sono rimasti gravemente feriti. Dopo i risultati, i carabinieri della Compagnia di Cosenza hanno arrestato l’uomo, un 41enne, con l’accusa di omicidio stradale e lo hanno posto ai domiciliari.

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Scossa di terremoto di magnitudo 3.1 fa tremare il Vesuvio, molta paura ma nessun danno

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Un terremoto di magnitudo 3.1 della Scala Richter ha colpito alle 5,55 alle pendici del Vesuvio. L’evento sismico, che ha avuto luogo a una profondità di circa 400 metri, è stato distintamente avvertito dagli abitanti delle zone circostanti, in particolare nei piani alti degli edifici.

Gi esperti hanno definito la scossa come un evento “inusuale” e hanno confermato che non ci sono stati segnali di un incremento dell’attività vulcanica. L’epicentro del terremoto è stato localizzato vicino al Monte Somma, una zona storicamente monitorata per la sua vicinanza con il vulcano.

La comunità locale ha reagito con una comprensibile apprensione, ma, fortunatamente, non sono stati segnalati danni a persone o strutture. Le autorità locali nelle prossime ore decideranno se mantenere aperte le scuole. Intanto c’è da rassicurare  la popolazione sulla gestione dell’evento.

Ieri, alle 5,45, dall’altra parte di Napoli, in un’altra area vulcanica, nei Campi Flegrei, c’è stata una scossa di magnitudo 3.9. Anche in quel caso paura tanta ma nessun danno.

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“Due uomini dei servizi segreti vicino l’auto di Giambruno”, le rivelazioni del Domani

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Due uomini fuori dalla villetta di Giorgia Meloni, la notte tra il 30 novembre e l’1 dicembre. Armeggiavano attorno all’auto dell’ex compagno, Andrea Giambruno, mentre la premier era in missione a Dubai. Nell’episodio, però, non sono stati coinvolti “appartenenti ai Servizi” e la sicurezza della premier “non è mai stata posta a rischio”. Così il sottosegretario Alfredo Mantovano interviene dopo che un articolo apparso oggi sul Domani ha riferito sull’allarme scattato in quella occasione. Nella ricostruzione del quotidiano, un’auto si avvicina alla villetta nel quartiere Torrino.

Scendono due uomini, accendono una torcia o un telefonino e si mettono a trafficare attorno alla macchina di Giambruno. A sorvegliare la scena c’è però una volante della Polizia appostata in servizio di vigilanza. Un agente scende e chiede conto ai due dei loro movimenti. Gli uomini si identificano come “colleghi” senza però mostrare documenti di riconoscimento e si allontanano. Sull’accaduto viene stilato un rapporto che finisce alla Digos; vengono avvertiti – sempre secondo l’articolo del Domani – il capo del Polizia, Vittorio Pisani, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, l’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, Mantovano e la stessa premier.

Sarebbe stata informata anche la procura della Capitale. Inizialmente i sospetti ricadono su due uomini dell’Aisi, l’Agenzia d’intelligence per la sicurezza interna, che fanno parte della scorta di Meloni. I due vengono quindi trasferiti all’Aise, l’agenzia che invece si occupa dell’estero. In seguito però le indagini dell’Aisi scagionano gli 007 che quella notte – e lo testimonierebbero le celle telefoniche – si trovavano altrove.

I due potrebbero essere stati banalmente ladri alla ricerca di qualcosa nell’auto di Giambruno. Il fatto, secondo il quotidiano, avrebbe influito anche sulla nomina del nuovo direttore dell’Aisi, sbarrando la strada ad uno dei papabili, Giuseppe Del Deo, alla guida del gruppo dell’Agenzia che ha investigato sul caso. Mantovano non entra nei dettagli della vicenda, ma si limita a rivelare di averne dato notizia il 4 aprile nella sua audizione al Copasir, dove ha chiarito che “gli accertamenti svolti per la parte di competenza dell’intelligence hanno consentito con certezza di escludere il coinvolgimento di appartenenti ai Servizi, e che la sicurezza del presidente Meloni non è mai stata posta a rischio”.

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