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Terrore al London Bridge, islamista jihadista uccide due persone

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Terrore e morto nel cuore di Londra in piena campagna elettorale a due settimane dalle elezioni britanniche. E l’incubo ha ancora una volta le sembianze di un lupo solitario, ma noto per i suoi legami con gruppi jihadisti, entrato in azione con un coltellaccio in mano e indosso un finto giubbotto esplosivo a seminare paura e morte tra la folla di London Bridge, prima di essere freddato dalla polizia. Il bilancio e’ di due persone uccise e 3 feriti seriamente, come ha confermato Scotland Yard, indicando l’episodio come un “grave atto di terrorismo”. Indicazione confermata in tarda sera con l’emergere del profilo dell’assassino: un ex galeotto legato al terrorismo islamico-radicale, a quanto riferito da fonti della sicurezza ai media, ben noto alla polizia britannica, rilasciato un anno fa dal carcere a patto d’indossare un braccialetto di sorveglianza e reduce subito prima del raid da una conferenza sulla riabilitazione dei detenuti organizzata dalla Universita’ di Cambridge in una sala londinese, la Fishmongers’ Hall, che egli pare avesse minacciato di far saltare in aria. Lo spettro e’ tornato materializzarsi in un venerdi’ non qualsiasi, nel pieno dello shopping del Black Friday, fra residenti, turisti e impiegati di una delle aree piu’ vibranti della capitale del Regno: gia’ colpita nel 2017, l’anno recente piu’ cruento sull’isola sul fronte dell’allerta terrorismo, dal micidiale accoltellamento collettivo orchestrato un sabato sera da un terzetto di giovani musulmani radicalizzatisi nei ghetti dell’est londinese. Questa volta, stando alle prime indagini, a innescare la furia dell’odio e’ stato invece un singolo individuo, scagliatosi lama alla mano su chi gli e’ capitato a tiro su quel ponte. L’allarme e’ stato dato verso le 14 locali, le 15 in Italia, con l’intervento nel giro di 5 minuti delle prime pattuglie di agenti, mentre dei coraggiosi passanti si erano gia’ lanciati sull’aggressore per fermarlo. Le immagini degli immancabili video amatoriali sono poi rimbalzate a raccontare l’orrore in presa diretta: i fendenti, la lotta di alcune persone con l’uomo, l’arrivo dei poliziotti, gli spari, l’assalitore a terra, i proiettili finali quasi come colpi di grazia. Un’esecuzione, all’apparenza, giustificata pero’ dal minaccioso giubbotto indossato dal killer: qualcosa che aveva tutta l’aria d’un gilet esplosivo e solo dopo i primi test gli investigatori hanno individuato come fasullo.

“Posso confermare – ha detto Neil Basu, numero 2 di Scotland Yard e responsabile dell’antiterrorismo – che il sospetto e’ stato centrato da colpi d’arma da fuoco ed e’ morto sul posto. E che aveva addosso un falso ordigno esplosivo”. “Data la natura dell’incidente siamo in condizione di dichiarare che e’ stato un incidente terroristico”, ha proseguito Basu, precisando peraltro che l’inchiesta e’ agli inizi e i detective restano al momento “aperti a tutte le piste” sul movente. L’alto funzionario ha quindi raggiunto Downing Street per aggiornare personalmente, assieme alla comandante di Scotland Yard, Cressida Dick, il primo ministro Boris Johnson: rientrato di corsa nella capitale dopo aver interrotto gli impegni della campagna elettorale in vista del voto del 12 dicembre. Per Johnson – favoritissimo nei sondaggi, ma alle prese nelle ore precedenti con una giornata politica non facile, segnata da una impennata dello scontro con i media, dal rifiuto di partecipare ad alcuni dibattiti in tv e da vari polemiche – si e’ trattato dell’occasione per fare sfoggio di leadership: con la condanna decisa dell’accaduto, la convocazione in serata del comitato d’emergenza Cobra, l’impegno a punire chiunque sia “coinvolto”, a “rafforzare la presenza della polizia” nelle le strade del Regno e a far “prevalere i nostri valori, i valori britannici”, sul terrorismo. Immediata pure la reazione di denuncia dell’accaduto e di gratitudine verso i servizi di emergenza del laburista Jeremy Corbyn e dei leader dei partiti minori intervenuti in serata a una sfida elettorale a 7 sulla Bbc fagocita dai fatti di London Bridge. Fatti esecrati dalla Casa Bianca come dalle capitali di mezzo mondo e che il sindaco musulmano di LONDRA, Sadiq Khan, bersaglio in passato degli strali di Donald Trump, ha bollato come “un attacco orrendo” che non riuscira’ “a fermare la nostra determinazione contro il terrore ne’, mai, potra’ dividerci”. Impegni destinati del resto a fare i conti con l’angoscia alimentata inevitabilmente oggi dalle immagini del panico, del fuggi fuggi di coloro che hanno vissuto da vicino l’ennesimo attacco random. In una metropoli che nell’area di London Bridge si ritrova stanotte blindata dietro transenne e cordoni, con la stazione della metro riaperta dopo molte ore e grandi edifici evacuati e sbarrati attorno allo svettante profilo dello Shard.

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Esteri

‘Chora è una moschea’, scintille Erdogan-Mitsotakis

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La moschea di Kariye a Istanbul, un tempo chiesa ortodossa di San Salvatore in Chora e tesoro del patrimonio bizantino, diventa tempio della discordia tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il premier greco Kyriakos Mitsotakis, nel giorno della visita del leader ellenico ad Ankara proprio per confermare la stagione di buon vicinato tra i due Paesi dopo decenni di tensioni. Le divergenze sulla moschea si sono riaccese nei giorni scorsi, dopo che il 6 maggio scorso San Salvatore in Chora, chiesa risalente al V secolo e tra i più importanti esempi dell’architettura bizantina di Istanbul, è stata riaperta dopo lavori di restauro durati quattro anni.

Convertita in moschea mezzo secolo dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi ottomani del 1453, Chora è stata trasformata in un museo dopo la Seconda guerra mondiale, quando la Turchia cercò di creare una repubblica laica dalle ceneri dell’Impero Ottomano. Ma nel 2020 è nuovamente diventata una moschea su impulso di Erdogan, poco dopo la decisione del presidente di riconvertire in moschea anche Santa Sofia, che come Chora era stata trasformata in un museo. La riapertura aveva suscitato malcontento ad Atene, con Mitsotakis che aveva definito la conversione della chiesa come “un messaggio negativo” e promesso alla vigilia del suo viaggio ad Ankara di chiedere a Erdogan di tornare sui suoi passi in merito. Una richiesta respinta al mittente: “La moschea Kariye nella sua nuova identità resta aperta a tutti”, ha confermato Erdogan in conferenza stampa accanto a Mitsotakis.

“Come ho detto al premier greco, abbiamo aperto al culto e alle visite la nostra moschea dopo un attento lavoro di restauro in conformità con la decisione che abbiamo preso nel 2020”, ha sottolineato. “Ho discusso con Erdogan della conversione della chiesa di San Salvatore in Chora e gli ho espresso la mia insoddisfazione”, ha indicato in risposta il leader greco, aggiungendo che questo “tesoro culturale” deve “rimanere accessibile a tutti i visitatori”. Nulla di fatto dunque sul tentativo di Atene di riscrivere il destino del luogo di culto. Ma nonostante le divergenze in merito, la visita di Mitsotakis ad Ankara segna un nuovo passo nel cammino di normalizzazione intrapreso dai due Paesi, contrapposti sulla questione cipriota e rivali nel Mediterraneo orientale. A dicembre i due leader hanno firmato una dichiarazione di “buon vicinato” per sancire una fase di calma nei rapporti iniziata dopo il terremoto che ha ucciso più di 50.000 persone nel sud-est della Turchia, all’inizio del 2023. “Oggi abbiamo dimostrato che accanto ai nostri disaccordi possiamo scrivere una pagina parallela su ciò che ci trova d’accordo”, ha sottolineato Mitsotakis accanto a Erdogan, confermando la volontà di “intensificare i contatti bilaterali”. Perché “l’oggi non deve rimanere prigioniero del passato”.

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Un video per raccontare la lotta al tumore ovarico

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Le donne colpite dal tumore ovarico raccontano, condividono le loro paure, le loro speranza e allo stesso tempo chiedono maggiore attenzione verso questa grave patologia. L’iniziativa è realizzata dalle donne dell’associazione ALTo attraverso un video che da oggi, in occasione della Giornata mondiale contro il tumore ovarico, è disponibile su You Tube.

Il tumore ovarico è il settimo tumore più comune tra le donne a livello mondiale e costituisce l’ottava causa di morte per cancro femminile. Solo in Italia sono circa 6mila le donne che ogni anno ricevono una diagnosi di tumore ovarico. “Ogni donna che combatte contro il cancro ovarico ha una storia unica da raccontare e attraverso questo video vogliamo dare loro voce – spiega Maria Teresa Cafasso, presidente dell’Associazione ALTo – vogliamo mostrare al mondo intero la loro forza e determinazione e allo stesso tempo sensibilizzare sull’importanza della conoscenza precoce, dell’accesso ai trattamenti e della necessità di approvare nuovi farmaci per la cura delle frequenti recidive che spesso colpiscono le donne affette da questa malattia”.

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Nell’inchiesta su Toti l’ombra di una talpa

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Nell’inchiesta sul presunto comitato d’affari e corruzione che ha portato all’arresto (ai domiciliari) del presidente della Regione Liguria Giovanni Toti spunta l’ombra di una talpa. E’ un aspetto su cui lavorano gli investigatori della guardia di finanza, coordinati dai pm Federico Manotti e Luca Monteverde, alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni ambientali.

E’ il 30 settembre 2020. I fratelli Arturo Angelo Testa e Italo Maurizio Testa, iscritti a Forza Italia in Lombardia e da ieri sospesi dal partito, vengono a Genova per incontrarsi con alcune persone della comunità riesina. A quell’incontro si avvicina un uomo con la felpa e il cappellino.

“Viene riconosciuto in Umberto Lo Grasso (consigliere comunale totiano). Che dice a Italo Testa: “Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono …. Stanno indagando”. In tutta risposta Italo Maurizio Testa afferma: “si lo so, non ti preoccupare …. L’ho stutato (“spento” in dialetto siciliano, ndr)”. Questa condotta, scrive il giudice per le indagini preliminari Paola Faggioni, “appare in tal modo integrare il delitto di favoreggiamento personale, avendo il predetto – avvisando i fratelli Testa a non parlare al telefono essendo in corso indagini (“stanno indagando”) – fornito un aiuto in favore dei predetti ad eludere le investigazioni a loro carico”.

Ma chi ha avvisato Lo Grasso? Una ipotesi è che vi sia appunto una talpa visto che Stefano Anzalone, totiano anche lui e indagato nell’inchiesta, è un ex poliziotto che ha dunque agganci tra le forze dell’ordine. L’altra ipotesi è che si possa trattare di una sorta di millanteria dello stesso Anzalone che dopo le elezioni voleva togliersi di torno i fratelli Testa e non onorare le promesse fatte in cambio dei voti.

Tutti gli indagati citati in questo articolo sono da considerare presunti innocenti.

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