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Baghdadi ucciso in un raid Usa, Trump: è morto come un cane, da codardo

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Abu Bakr al Baghdadi è morto “come un cane, come un codardo” (parole di Donald Trump), inseguito dagli uomini delle forze speciali americane in un tunnel segreto del suo nascondiglio, nel nord-ovest della Siria. Lo hanno sentito piangere e urlare prima di farsi saltare in aria, uccidendo nell’esplosione tre dei suoi figli che erano con lui. “Un successo incredibile, una grande notte per gli Usa e per il mondo intero”, ha esultato il presidente americano. Dalla Situation Room ha seguito passo passo il raid affidato ai Rambo della Delta Force, a cui avrebbe dato il via libera una settimana fa. Un blitz durato circa due ore, col tycoon costantemente informato sull’andamento dell’operazione fino alla comunicazione finale, quella più attesa, quando tutto attorno al compound vicino a Idlib era tornata la calma: “Signor presidente, è lui!”. La maschera della tensione, immortalata in uno scatto, allora si è sciolta sul viso di Trump, attorniato dai fedelissimi: il vicepresidente Mike Pence, il consigliere per la Sicurezza nazionale Robert O’Brien, i capi del Pentagono e del Dipartimento di Stato Mark Esper e Mike Pompeo. E poi i vertici dell’intelligence, determinanti nel localizzare l’obiettivo.

“E’ stato come guardare un film”, ha spiegato il presidente davanti alle telecamere. Raggiante, nonostante i segni della stanchezza. E non potrebbe essere diversamente: piazza il grande colpo nel momento piu’ difficile della sua presidenza, schiacciato tra l’indagine per impeachment e la controversa decisione di ritirare le truppe Usa dalla Siria, abbandonando gli alleati curdi di fronte all’offensiva turca. Proprio quegli alleati che lo hanno aiutato a sbaragliare lo Stato islamico. E invece all’improvviso per lui arriva il momento della rivincita, quello in cui a testa alta puo’ parlare da vero Commander in Chief, rivendicando il ruolo che finora era riuscito a interpretare con maggiore difficolta’. Ora anche lui, come Barack Obama, ha il suo scalpo. E il tycoon non riesce a trattenersi dal fare un confronto: al Baghdadi, per lui, “e’ piu’ importante” di Osama bin Laden. Che ci fossero novita’ di rilievo nell’aria lo si era capito gia’ sabato sera, quando su Twitter lo stesso Trump aveva annunciato a sorpresa che avrebbe parlato al Paese: “Qualcosa di grande e’ appena accaduto”, si era limitato a scrivere. Pochi minuti, e sui principali media e’ stato chiaro che l’annuncio avrebbe riguardato l’inafferrabile al Baghdadi, il leader quasi invisibile del Califfato, piu’ volte dato per spacciato ma sempre risorto, e che fino all’ultimo ha tentato di far sparire ogni traccia, innescando il detonatore del giubbotto suicida che indossava.

Quasi un ultimo dispetto, per non regalare ai nemici la soddisfazione di avere il suo corpo. Di lui restano dei brandelli sui cui sono gia’ stati compiuti accurati esami sul posto, test che confermano l’identita’ del cadavere. “Abbiamo il suo Dna”, ha detto il presidente americano, cercando di fugare ogni dubbio. Anche perche’ il lavoro di recupero dei resti e’ stato reso particolarmente complicato dalla presenza delle macerie del cunicolo crollato nell’esplosione. Un vicolo cieco che non ha lasciato scampo al leader jihadista. Tempi duri insomma per chi fino ad oggi ha avuto vita facile nell’attaccare la gestione della politica estera del tycoon, accusandolo di tradimenti e voltafaccia nei confronti degli alleati e di rinunciare addirittura alla lotta all’Isis e al terrorismo islamico. Altro che disimpegno. “I terroristi non potranno mai dormire tranquilli perche’ devono sapere che noi saremo sempre qui pronti a catturarli ed ucciderli”, ha assicurato Trump, che ha avvertito: “Conosciamo gia’ il successore di al Baghdadi, e’ nel mirino!”. Ora in cima alla lista dei most wanted c’e’ Ayman Abdel Rahman al Zawahiri, leader di al Qaida su cui pende una taglia da 25 milioni di dollari. Ha ringraziato tutti Trump, la Russia, la Turchia, la Siria, l’Iraq e i curdi siriani: “Tutto e’ stato possibile anche grazie a loro”. Peccato che gli unici a non sapere nulla erano i vertici del Congresso americano. Neanche la speaker della Camera Nancy Pelosi, terza carica dello Stato e nemica numero uno del tycoon, e’ stata informata: “Come sapete Washington e’ regina nella fuga di notizie e noi non ci siamo fidati. Le nostre truppe potevano finire nei guai”.

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Guida ubriaco, si scontra con 3 moto e muore centauro, arrestato

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E’ risultato positivo all’alcol test il conducente della Fiat Punto che oggi si è scontrato con tre moto lungo la statale 108 bis “Silana di Cariati” che porta a Lorica. Nell’urto un centauro 37enne di Settingiano (Catanzaro) è morto, e altri due sono rimasti gravemente feriti. Dopo i risultati, i carabinieri della Compagnia di Cosenza hanno arrestato l’uomo, un 41enne, con l’accusa di omicidio stradale e lo hanno posto ai domiciliari.

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Scossa di terremoto di magnitudo 3.1 fa tremare il Vesuvio, molta paura ma nessun danno

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Un terremoto di magnitudo 3.1 della Scala Richter ha colpito alle 5,55 alle pendici del Vesuvio. L’evento sismico, che ha avuto luogo a una profondità di circa 400 metri, è stato distintamente avvertito dagli abitanti delle zone circostanti, in particolare nei piani alti degli edifici.

Gi esperti hanno definito la scossa come un evento “inusuale” e hanno confermato che non ci sono stati segnali di un incremento dell’attività vulcanica. L’epicentro del terremoto è stato localizzato vicino al Monte Somma, una zona storicamente monitorata per la sua vicinanza con il vulcano.

La comunità locale ha reagito con una comprensibile apprensione, ma, fortunatamente, non sono stati segnalati danni a persone o strutture. Le autorità locali nelle prossime ore decideranno se mantenere aperte le scuole. Intanto c’è da rassicurare  la popolazione sulla gestione dell’evento.

Ieri, alle 5,45, dall’altra parte di Napoli, in un’altra area vulcanica, nei Campi Flegrei, c’è stata una scossa di magnitudo 3.9. Anche in quel caso paura tanta ma nessun danno.

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“Due uomini dei servizi segreti vicino l’auto di Giambruno”, le rivelazioni del Domani

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Due uomini fuori dalla villetta di Giorgia Meloni, la notte tra il 30 novembre e l’1 dicembre. Armeggiavano attorno all’auto dell’ex compagno, Andrea Giambruno, mentre la premier era in missione a Dubai. Nell’episodio, però, non sono stati coinvolti “appartenenti ai Servizi” e la sicurezza della premier “non è mai stata posta a rischio”. Così il sottosegretario Alfredo Mantovano interviene dopo che un articolo apparso oggi sul Domani ha riferito sull’allarme scattato in quella occasione. Nella ricostruzione del quotidiano, un’auto si avvicina alla villetta nel quartiere Torrino.

Scendono due uomini, accendono una torcia o un telefonino e si mettono a trafficare attorno alla macchina di Giambruno. A sorvegliare la scena c’è però una volante della Polizia appostata in servizio di vigilanza. Un agente scende e chiede conto ai due dei loro movimenti. Gli uomini si identificano come “colleghi” senza però mostrare documenti di riconoscimento e si allontanano. Sull’accaduto viene stilato un rapporto che finisce alla Digos; vengono avvertiti – sempre secondo l’articolo del Domani – il capo del Polizia, Vittorio Pisani, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, l’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, Mantovano e la stessa premier.

Sarebbe stata informata anche la procura della Capitale. Inizialmente i sospetti ricadono su due uomini dell’Aisi, l’Agenzia d’intelligence per la sicurezza interna, che fanno parte della scorta di Meloni. I due vengono quindi trasferiti all’Aise, l’agenzia che invece si occupa dell’estero. In seguito però le indagini dell’Aisi scagionano gli 007 che quella notte – e lo testimonierebbero le celle telefoniche – si trovavano altrove.

I due potrebbero essere stati banalmente ladri alla ricerca di qualcosa nell’auto di Giambruno. Il fatto, secondo il quotidiano, avrebbe influito anche sulla nomina del nuovo direttore dell’Aisi, sbarrando la strada ad uno dei papabili, Giuseppe Del Deo, alla guida del gruppo dell’Agenzia che ha investigato sul caso. Mantovano non entra nei dettagli della vicenda, ma si limita a rivelare di averne dato notizia il 4 aprile nella sua audizione al Copasir, dove ha chiarito che “gli accertamenti svolti per la parte di competenza dell’intelligence hanno consentito con certezza di escludere il coinvolgimento di appartenenti ai Servizi, e che la sicurezza del presidente Meloni non è mai stata posta a rischio”.

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