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Fenomeno deepfake, Napoli in prima linea per formare un database video utile a combattere falsi

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Dopo le fake news è il fenomeno deepfake la nuova frontiera della disinformazione: video manipolati in cui si fanno dire o fare a personaggi famosi cose fasulle, con effetti a volte divertenti, a volte imbarazzanti, a volte pericolosi. Sono stati vittime Donald Trump, Nancy Pelosi e Mark Zuckerberg, solo per citarne alcuni. In Italia pochi giorni fa si e’ vista la prima applicazione: Striscia la notizia ha utilizzato la tecnologia per un video di Matteo Renzi. Per combattere il fenomeno sono scesi in campo diversi big dell’hitech, da Facebook a Microsoft, l’ultima iniziativa in ordine di tempo e’ quella di Google: ha messo insieme un database di video falsi per aiutare i ricercatori a sviluppare metodi per contrastarli.

Al progetto hanno collaborato l’Universita’ Tecnica di Monaco, l’Universita’ Federico II di Napoli e Jigsaw, l’incubatore all’interno di Alphabet, la multinazionale di Google. “Questa tecnologia apparsa per la prima volta nel 2017 si sta evolvendo molto velocemente e stiamo considerando molto seriamente questo problema”, afferma Google.

ùPer costruire il database, spiega, “abbiamo lavorato con attori pagati che hanno registrato centinaia di video, da cui abbiamo creato migliaia di deepfake”. Questo insieme di dati e’ ora disponibile, in maniera gratuita, per la comunita’ dei ricercatori, attraverso lo strumento FaceForensics. In pratica, l’intelligenza artificiale e gli algoritmi, la stessa tecnologia alla base dei deepfake, aiuteranno ad alimentare metodi di comparazione e rilevamento dei video falsi.

I primi esperimenti di deepfake sono iniziati nel 2017, negli Stati Uniti, con finti filmati porno di persone famose. Uno di questi ritraeva Michelle Obama alle prese con uno striptease. Poi un video falso, più recente, ha fatto dire a Zuckerberg di avere “il controllo di miliardi di dati personali rubati”.

Filmati un po’ grezzi, ma facili da realizzare anche grazie ad app accessibili a tutti come FakeApp messa a punto da un programmatore anonimo e basata sulla tecnologia di ‘machine learning’, quella di apprendimento automatico. I deepfake si stanno evolvendo rapidamente e stanno diventando pericolosi, non solo per la reputazione delle vittime. Poche settimane fa – come ha riportato il Wall Street Journal – un finto video dell’amministratore delegato di un’azienda tedesca e’ stata usata da cyber-criminali per rubare 250mila dollari ad una societa’ inglese. E diversi esperti stanno lanciando negli Stati Uniti un allarme deepfake e disinformazione in vista delle elezioni presidenziali del 2020. Oltre a Google, anche Facebook e Microsoft sono coinvolte in iniziative per creare una serie di strumenti open source per aiutare media, aziende e governi a scovare video falsi. Come parte di una partnership che coinvolge, tra gli altri, Microsoft, il Mit e l’Universita’ di Oxford, Facebook prevede di investire oltre 10 milioni di dollari nell’iniziativa Deepfake Detection Challenge.

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Dita e viso, il futuro della sicurezza senza password

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Intel ha istituto il World Password Day nel 2013. Ogni primo giovedì di maggio, da quell’anno, si ricorda l’importanza delle chiavi alfanumeriche, numeri e parole, per proteggere le nostre vite digitali. Una giornata che potrebbe presto essere un ricordo, con la dismissione delle password tradizionali a favore di metodi più sicuri. Non a caso, l’azienda di sicurezza Sophos vorrebbe ribattezzare l’iniziativa come “Giornata mondiale della password e dell’autenticazione a più fattori”. Per gli esperti del Clusit, l’Associazione Italiana per la Sicurezza Informatica, alle password resta poco da dire: la biometria, ossia la scansione di polpastrelli e del viso, su smartphone, tablet ma anche computer, è l’unica via percorribile per difendere i dati dai criminali informatici.

“Le tecnologie attualmente disponibili consentono di implementare sistemi di protezione decisamente più efficaci rispetto alle sequenze di numeri, lettere e caratteri speciali che, moltiplicate per le decine di servizi digitali che ognuno di noi utilizza, sono oggettivamente impossibili da memorizzare, oltre che facilmente rintracciabili dai cyber criminali” afferma Alessio Pennasilico del Comitato Scientifico del Clusit. La sicurezza digitale può essere oggi garantita, per il Clusit, soltanto da tecnologie moderne di protezione degli account. Tra queste, l’autenticazione multi-fattore, che richiede una doppia validazione, oltre alla password, per verificare l’identità e ottenere il via libera per l’uso di un account, una rete o un’applicazione. Un esempio è la ricezione di un codice temporaneo che arriva sul proprio numero di cellulare.

Oppure i sistemi biometrici, che includono la mappatura delle impronte digitali, il riconoscimento facciale e la scansione della retina, e da altre tecnologie cosiddette “passwordless”, più sicure e meno attaccabili. Dello stesso parere è l’azienda di cybersecurity Kaspersky, che ha ricordato come, negli ultimi mesi a livello globale, quasi otto piccole e medie imprese su dieci (76% delle intervistate) siano cadute sotto i colpi degli hacker spesso a causa di password deboli e ripetute. Il 34% delle Pmi ha riportato fughe di dati riservati, il 23% danni alla reputazione e il 20% perdita di fiducia dei clienti. Circa il 9% ha dovuto sospendere le proprie attività. Per chi usa ancora la combinazione di lettere e numeri, i consigli sembrano ovvi ma ancora necessari: “Non scrivere le password su quaderni o foglietti adesivi” spiegano dalla società di sicurezza Trend Micro “ed evitare nomi e date di nascita. Per noi sono facili da ricordare ma semplificano la vita ai ladri di informazioni digitali”.

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Media, ‘Apple intensifica le trattative con OpenAI’

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Le trattative fra Apple e OpenAI si intensificano dopo mesi di contatti ai minimi. Pur restando in trattative con Google per un possibile uso della sua chatbot Gemini, Cupertino ha iniziato a discutere con OpenAI i termini per un possibile accordo per integrare le sue funzionalità di intelligenza artificiale in iOS18, il prossimo sistema operativo dell’iPhone. Lo riporta l’agenzia Bloomberg citando alcune fonti, secondo le quali Apple non ha ancora deciso con chi collaborerà.

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Apple potrebbe lanciare in autunno l’IA su iPhone

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È ancora una volta Mark Gurman a fornire nuovi dettagli sui progetti di intelligenza artificiale di Apple. Secondo l’informatore di Bloomberg, ed esperto della Mela, il colosso americano starebbe lavorando ad un’IA per iPhone, da lanciare in autunno insieme all’aggiornamento del sistema operativo iOs 18, che mette al centro la privacy degli utenti. Il riferimento è ad un software che non userebbe la connessione internet per rispondere alle domande degli utilizzatori. Il grosso del lavoro sarebbe dunque svolto direttamente sul dispositivo, grazie al database su cui poggerebbe il cosiddetto Llm, large language model.

Anche i concorrenti, da ChatGpt a Copilot e Gemini di Google possono contare sull’archivio di informazioni a disposizione, con la differenza di incrociare dati da internet per fornire risposte più precise e aggiornate. Secondo Gurman, la scelta di Apple porterebbe ad un chatbot con un potenziale minore rispetto a quelli che si connettono al web, e per questo, la compagnia potrebbe colmare il gap inserendo in alcuni contesti del sistema operativo Gemini. Proprio un mese fa, era balzata in rete la notizia di un accordo tra Apple e Google per l’integrazione dell’IA di quest’ultima sugli iPhone. “I principali vantaggi dell’elaborazione sul dispositivo saranno tempi di risposta più rapidi e una privacy superiore rispetto alle soluzioni basate su cloud” scrive Bloomberg. La novità è prevista per l’autunno, con la disponibilità di iOs 18 ma già il 10 giugno, giorno di apertura della conferenza degli sviluppatori Apple Wwdc 2024, sono attese anticipazioni, in modo particolare durante il keynote di apertura di Tim Cook, amministratore delegato dell’azienda.

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