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Aeronautica Militare e Ospedale pediatrico Santobono di Napoli, missione salvavita per una bimba napoletana ammalatasi in vacanza in Egitto e ricoverata in Polonia

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L’Aeronautica Militare e l’Azienda Ospedaliera Santobono Pausilipon hanno portato a termine una missione salvavita per una bimba napoletana di 6 anni che era in Polonia coi genitori, trasferitisi lì per lavoro.

La bimba, napoletana ma residente in Polonia con i genitori, a luglio era andata in vacanza in Egitto con la famiglia, ma negli ultimi giorni aveva avuto una grave forma di dissenteria, sintomo di una Sindrome Emolitico Uremica (SEU). Tornata in Polonia è stata ricoverata nell’ospedale di Stettino dove è peggiorata gravemente, tanto da essere intubata e subire un arresto cardiaco. La famiglia avrebbe voluta spostarla da subito a Napoli, all’ospedale pediatrico Santobono, ma le condizioni non lo avevano reso possibile. Lo scorso 8 agosto la bimba è stata trasferita grazie alla collaborazione tra Aeronautica Militare, Ospedale Santobono, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Ambasciata in Polonia. Un volo militare del 31° Stormo dell’Aeronautica ha trasferito la bimba, accompagnata da un’equipe di rianimazione tutta al femminile dell’ospedale Santobono di Napoli.

Ora, dopo essere stata in rianimazione per diversi giorni – il reparto diretto da Massimino Cardone è quello che aveva curato la piccola Noemi, vittima dell’agguato di Piazza Nazionale – la bimba è ospite della Nefrologia dell’ospedale napoletano. La dialisi cui è stata sottoposta sin dai primi giorni le ha fatto perdere 5 kg e le particolari terapie praticate hanno riallineato i valori vitali. La bambina non ha più presentato i problemi cardiaci evidenziatisi nella degenza in Polonia e non ha più problemi respiratori. Il reparto di Nefrologia e Dialisi del Santobono – diretto da Carmine Pecoraro – è uno dei centri leader in Italia nel trattamento della SEU pediatrica; in circa 20 anni sono stati trattati con successo centinaia di casi.  Fino a pochi anni fa la SEU, Sindrome Emolitico Uremica, aveva una mortalità in età pediatrica del 50% dei casi.

 

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Rapina in banca con sequestro di dipendenti e clienti: Bonnie & Clyde napoletani arrestati

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Siamo a Napoli, in via Emilio Scaglione, strada trafficata nel quartiere Chiaiano. Una coppia si presenta all’ingresso di una banca. La donna rimane fuori, in strada: è il palo. L’altro sfila una pistola e un coltello dai pantaloni e grida. Il silenzio di clienti e dipendenti è la dimensione del terrore di quei momenti. E’ in corso una rapina. L’uomo fa sul serio, sequestra tutti i presenti e attende con loro 40 minuti.

E’ il tempo necessario a sbloccare la cassaforte temporizzata dell’ATM. Nessuno muove un muscolo, nessuno può chiedere aiuto.
Il rapinatore costringe uno degli impiegati a svuotare il bancomat e racimola poco più di 12mila euro. Col sacco carico di contanti fa cenno alla complice che il loro lavoro è finito e insieme si allontanano. Il sospiro di sollievo è l’unica pausa a cui si dedica il personale dell’istituto perché Il 112 squillerà pochi istanti dopo. Sul posto arrivano i carabinieri del nucleo operativo Vomero e della stazione Marianella. Gli basteranno pochi frame delle immagini di video-sorveglianza per riconoscere Giuseppe Merolla, 38enne di Scampia. E’ ai domiciliari e il suo volto, i militari, lo conoscono bene. Riconoscono anche Giuseppina Aceto, la sua compagna 40enne.

Sanno dove vivono e quando bussano alla loro porta non c’è modo di sfuggire alle manette.
In casa cappellino e passamontagna utilizzati durante la rapina, una revolver a salve con 25 cartucce e 1520 euro in contante ritenuto provento illecito.

Frank Hamer e la sua squadra fermarono Bonnie & Clyde dopo una caccia di 120 giorni.
I carabinieri partenopei, a poco meno di 90 anni da quel 23 maggio 1934, rintracceranno e arresteranno Merolla & Aceto in poco meno di un’ora dalla rapina.

Sono entrambi in carcere, in attesa di giudizio. Dovranno rispondere di concorso in rapina aggravata e sequestro di persona.

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Non era lombalgia, ma un tumore: denunciati tre medici

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È morta a 61 anni per un tumore ai polmoni ormai in metastasi ma che è stato scoperto troppo tardi perché inizialmente scambiato per una lombalgia. Ora i figli di Stella Alaimo Franco, scomparsa a Treviglio (Bergamo) lo scorso 30 marzo, hanno presentato denuncia, assistiti dall’avvocato Massimo Trabattoni, nei confronti di tre medici dell’ospedale di Treviglio e anche dell’intera Asst Bergamo Ovest. Ipotizzano il reato di omicidio colposo, ma ora dovrà essere la Procura a stabilire se avviare delle indagini. Quello che i due figli della donna, Monica e Andrea, contestano ai medici bergamaschi è di non aver fatto luce fin da subito sul reale – e grave – male che aveva colpito la madre, “che era sempre stata bene e non aveva mai avuto neppure un colpo di tosse”, hanno raccontato. Il primo accesso della loro mamma in ospedale a Treviglio risale al 17 dicembre scorso, quando Stella si presenta al pronto soccorso lamentando un forte dolore alla gamba.

La donna viene dimessa con una diagnosi di lombalgia dopo essere stata sottoposta ai raggi nella zona lombosacrale. Ma i dolori alla gamba non passano, anzi aumentano, e il 4 gennaio viene riportata dal figlio allo stesso pronto soccorso. Stando alla denuncia dei familiari, la donna viene rimandata a casa senza ulteriori indagini. In entrambi i casi la prognosi è di zero giorni e nel secondo accesso un infermiere le avrebbe suggerito di prendere in autonomia un antidolorifico. Nei giorni successivi, grazie a un conoscente personale della famiglia, Stella Alaimo viene sottoposta a una risonanza magnetica, che rivela delle metastasi. La situazione precipita rapidamente. Il 23 gennaio una Tac evidenzia un tumore di 5 centimetri per 4 al torace, con dei noduli diffusi. Il 29 gennaio la prima visita oncologica all’Istituto dei Tumori di Milano. La diagnosi stavolta parla di ‘adeno carcinoma polmonare al quarto stadio plurimetastatico con carcinosi peritoneale’.

A febbraio la donna già non riesce più ad alzarsi dal letto. Il 30 marzo muore, cento giorni dopo il primo accesso al pronto soccorso. Una morte di fronte alla quale i due figli non si rassegnano: “Ci era stato detto dall’équipe che l’aveva in cura a Milano che se quel tipo di tumore fosse stato diagnosticato per tempo, avrebbe potuto essere curato, e che il ritardo della diagnosi errata dei medici di Treviglio ha causato gravi conseguenze, dal momento che la malattia era avanzata in modo irreversibile”. L’Asst Bergamo Ovest non ha voluto rilasciare dichiarazioni sull’episodio.

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Impagnatiello in video: questo veleno è per i topi di Milano

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“Quello è veleno per topi, sa perché? Perché quando ci fumiamo le canne post lavoro sui gradoni di piazza Croce Rossa, arrivano ‘panteganoni’ così grossi. A Milano girano ‘panteganoni’ e abbiamo buttato un po’ di…”. Con queste parole, Alessandro Impagnatiello lo scorso 28 maggio spiegava ai carabinieri di Senago perché nel suo zaino ci fosse una bustina di topicida. La giustificazione dell’ex barman è stata immortalata in un video che era stato girato mentre svuotava la borsa davanti ai militari ad appena un giorno di distanza dall’omicidio della fidanzata Giulia Tramontano, di cui aveva denunciato la scomparsa.

Secondo l’accusa, Impagnatiello avrebbe tentato di avvelenare per mesi la donna, incinta del loro bimbo Thiago, somministrandole la sostanza a sua insaputa. Il 27 maggio del 2023 l’ha poi uccisa con 37 coltellate nella loro abitazione a Senago, nel Milanese, dopo che la ragazza aveva scoperto i dettagli della sua relazione parallela con una collega. Il processo a carico dell’uomo per omicidio volontario aggravato anche dalla premeditazione è in corso davanti alla Corte d’Assise di Milano.

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