Il caso dell’intervista a Raffaele Cutolo pubblicata da “Il Mattino” finisce in procura a Napoli. Da quanto si apprende, scrive una seria agenzia di stampa qual è l’Adnkronos, il ministero della Giustizia avrebbe trasmesso al capo della procura di Napoli, Giovanni Melillo, una relazione con cui si ricostruiscono i fatti che hanno portato alla pubblicazione dell’intervista. La verifica interna avviata immediatamente dal ministro Alfonso Bonafede avrebbe, infatti, fatto emergere come l’autore dell’articolo abbia ottenuto la possibilità di interloquire col boss della ”Nuova camorra organizzata” in qualità di ”responsabile della Comunità di Sant’Egidio per le carceri nella Regione Campania” al fine di scrivere un libro sulla storia di Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere di Poggioreale, ucciso nel 1981 su mandato proprio di Cutolo. Diversamente dall’autorizzazione ricevuta, invece, l’autore e il direttore de ‘Il Mattino’ in solido avrebbero pubblicato un’intervista contenente dichiarazioni che – secondo il parere dei tecnici di via Arenula – ”appaiono costituire un vero e proprio messaggio veicolato all’esterno, mediante il giornalista, dal boss”. Contemporaneamente, sempre a quanto si apprende, è partita la segnalazione all’Ordine dei giornalisti nei confronti dell’autore e del direttore della testata campana. Questi i fatti così come ricostruiti da via Arenula, a giudicare da alcuni spifferi immessi nel tritacarne mediatico ad arte. Poi c’è il giudizio, il commento di chi vi scrive. È lunare, marziano, senza alcun senso, illogico anche solo pensare che l’autore dell’articolo-intervista, Antonio Mattone, e ancora di più il direttore responsabile de Il Mattino, Federico Monga, possano prestarsi a diventare addirittura messaggeri di un boss della camorra sepolto al 41 bis in una cella da una vita. Antonio Mattone è impegnato da sempre ad assistere e ad ascoltare gli ultimi (compresi i detenuti) nella sua qualità di responsabile della Comunità di Sant’Egidio. Il direttore de Il Mattino sicuramente, aldilà di ogni e qualsivoglia ragionamento astruso, ha valutato interessante l’intervista al boss ergastolano che non aveva bisogno di alcuno per veicolare messaggi o altre rivelazioni più o meno interessate. Da anni, quando vuole, ed è un suo diritto, attraverso i suoi legali riesce a far sentire la sua voce. E dunque Raffaele Cutolo marcisce in carcere per i reati commessi, Antonio Mattone è una persona perbene e il direttore de Il Mattino è un eccellente professionista la cui specchiatezza e onorabilità non è messa in dubbio dagli arzigogolamenti e le astruserie ministeriali di chissà chi al ministero di Grazia e Giustizia. Facciano tutte le indagini che vogliono, ma quelle accuse a Mattone e a Monga sono offensive, calunniose per due persone, due professionisti sulla cui onorabilità chi ha scritto certe cose dovrà ricredersi. L’Ordine dei Giornalisti, che esiste ancora, rispedisca gli insulti al mittente e intenti una azione legale a supporto di Mattone e Monga (e dunque dei giornalisti tutti) per queste notizie propalate ad arte al solo scopo di ledere il prestigio di due persone e di una testata seria che ha fatto e fa quotidianamente un lavoro eccellente per raccontare il Paese reale. Via Arenula e i magistrati, piuttosto, leggano l’intervista e altri servizi in proposito (compresi i commenti di alcuni eccellenti magistrati ancorché non più in servizio) e provino a capire davvero se Cutolo si stava pentendo e perchè poi non si pentì. Porre domande, insinuare anche dubbi rispetto a certezze tetragone di alcuni cacicchi è anche questo dovere dei giornalisti. Se ci fossero più giornalisti votati alla ricerca di verità scomode, non saremmo il Paese delle stragi impunite, dei segreti di Stato e delle trattative tra certo Stato, mafia e camorra. Trattative che, quand’anche non dovessero finire in sentenze della Cassazione per prescrizione, ci sono state.