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Politica

Intesa Meloni-Trump sui dazi, l’accordo Usa-Ue si farà al 100%

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Un invito a Roma accettato. E un’apertura a considerare di incontrare, in quell’occasione, anche i vertici dell’Unione europea. Per provare davvero a chiudere quell’accordo sui dazi che entrambi sono convinti si farà “al 100%”. Pure se Donald Trump sul punto non ha “cambiato idea”. Giorgia Meloni porta a casa, tra fuori programma, battute che stemperano una evidente tensione e molti complimenti, quell’apertura che contava di ottenere dal presidente americano nei confronti dell’Europa. Per mitigare gli effetti di nuove tariffe commerciali annunciate e per ora congelate, che sarebbero pesantissime per il vecchio continente, e per l’Italia in primis.

“Non posso siglare accordi per l’Ue ma sono qui per cercare di trovare il giusto punto di equilibrio a metà strada”, spiega la premier in premessa, quando le due delegazioni si siedono al tavolo della Cabinet Room per il pranzo di lavoro alla Casa Bianca. Bisogna “parlarsi francamente”, come possono fare due leader che parlano di fatto la stessa lingua. “L’Italia è il miglior alleato degli Usa” ma finché c’è Giorgia premier” dice il tycoon, che non risparmia qualche punzecchiatura a quella che comunque definisce una “donna fantastica” e che sta facendo “un ottimo lavoro”.

Quando la premier assicura che l’Italia sta mantenendo i suoi impegni sui finanziamenti per la difesa, con l’annuncio del raggiungimento dell’obiettivo del 2% del Pil al prossimo vertice Nato, Trump puntualizza, che “non è mai abbastanza” pur sorridendo in direzione del suo vicepresidente. J.D Vance, che peraltro rivedrà la presidente del Consiglio italiana nel giro di poche ore, ricevuto a Palazzo Chigi per un bilaterale seguito da un pranzo esteso anche ai vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini. Un’altra occasione per parlare di dazi e non solo. “Io sono sicura che si possa raggiungere un accordo”, ripete la premier che in questa direzione guarda quando invita il presidente americano in Italia.

“Ha accettato l’invito”, fa sapere poi seduta nello Studio Ovale, dove il tradizionale piccolo intervento di fronte ai cronisti si trasforma in una vera e propria conferenza stampa, che dura più di mezz’ora, con decine di domande quasi tutte per il padrone di casa. In italiano un cronista le chiede però di difesa e Ucraina e lei, sempre in italiano, ribadisce anche di fronte al suo interlocutore la posizione di sempre. “Sapete come la penso, che ci sia stata un’invasione e che l’invasore fosse Putin”, risponde Meloni sempre in italiano, una parte del discorso che però non viene tradotta dall’interprete presente.

A spiegare al presidente Usa invece il resto del suo ragionamento sulle spese per la difesa è lei stessa. Non si è parlato di percentuali precise per andare oltre, ma l’impegno c’è, “tutti devono fare di più” e la Ue ora sta vedendo come, attrezzando nuovi strumenti, ha ricordato Meloni. Che di fatto assiste alla conferenza stampa dell’inquilino della Casa Bianca, che dilaga e risponde pure quando le domande sono per la sua ospite italiana. E davanti a chi lo incalza su quel “europei parassiti” che tanto ha bruciato sull’altra sponda dell’Atlantico, il presidente Usa glissa con un “non so proprio di che state parlando”.

Trump non dice mai nemmeno che è pronto a venire a Roma, ma la premier assicura che lo farà “in un futuro prossimo”, per una visita ufficiale in Italia, e che è pronto a “considerare in quella occasione se incontrare anche l’Europa”. Partendo dal presupposto però, precisa il presidente Usa, che “i dazi ci stanno arricchendo” mentre prima con Joe Biden “stavamo perdendo miliardi di dollari sul commercio”. Nessuna marcia indietro, insomma, e altrettanto difficile, stando almeno alle dichiarazioni, che possa passare quella proposta di creare una grande area di libero mercato tra Ue e Usa. Ma l’incontro, ci tengono a sottolineare entrambi, è stato occasione per parlare di molti altre questioni che interessano i due paesi. Che hanno rapporti “ottimi” e risalgono a Cristoforo Colombo, citato dalla premier nello studio ovale. Si è parlato di “energia” ma anche di economia dello spazio.

Non di “Starlink” di Elon Musk – peraltro assente – assicura Meloni, ma di “difesa, di spazio e di missioni su Marte su cui lavoreremo insieme”. Nel frattempo ci saranno “10 miliardi di investimenti” negli States da parte delle imprese italiane, che Meloni elogia così come si fa di fatto “promoter”, e se ne scusa ridendo con Trump, dei risultati che ha raggiunto l’Italia in questi due anni e mezzo di governo. Ha anche una punta di orgoglio quando interrompe il ragionamento di Trump sull’inefficacia della Ue in materia di immigrazione (“ora la situazione è cambiata anche grazie all’Italia, sono ottimista”). La sua mission è quella di rendere “l’Occidente great again”, dice la premier mutuando il motto trumpiano. “Qualcuno mi chiama nazionalista occidentale”, rivendica la premier, spiegando che tra alleati se ci sono problemi bisogna fermarsi e parlare. E questo “è il momento di sederci e trovare delle soluzioni”.

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Andrea Vianello lascia la Rai dopo 35 anni: “Una magnifica cavalcata, grazie a tutti”

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Dopo 35 anni di giornalismo, programmi, dirette e incarichi di vertice, Andrea Vianello (foto Imagoeconomica in evidenza) ha annunciato il suo addio alla Rai. L’annuncio è arrivato con un messaggio pubblicato su X, nel quale il giornalista ha comunicato di aver lasciato l’azienda con un «accordo consensuale».

Una lunga carriera tra radio, tv e direzioni

Nato a Roma il 25 aprile 1961, Vianello entra in Rai nel 1990 tramite concorso, dopo anni di collaborazione con quotidiani e riviste. Inizia al Gr1 con Livio Zanetti, poi al Giornale Radio Unificato, raccontando da inviato alcuni dei momenti più drammatici della cronaca italiana: dalle stragi di Capaci e via D’Amelio al caso del piccolo Faruk Kassam.

Nel 1998 approda a Radio anch’io, e successivamente a Tele anch’io su Rai2. Tra il 2001 e il 2003 è autore e conduttore di Enigma su Rai3, per poi guidare Mi manda Rai3 fino al 2010. Dopo l’esperienza ad Agorà, nel 2012 diventa direttore di Rai3.

Nel 2020 pubblica “Ogni parola che sapevo”, un racconto toccante della sua battaglia contro un’ischemia cerebrale che gli aveva tolto temporaneamente la parola, poi recuperata con grande determinazione.

Negli ultimi anni ha diretto Rai News 24, Rai Radio 1, Radio1 Sport, il Giornale Radio Rai e Rai Gr Parlamento. Nel 2023 viene nominato direttore generale di San Marino RTV, ma si dimette dopo dieci mesi. Di recente si parlava di un suo possibile approdo alla guida di Radio Tre.

Le parole d’addio: “Sempre con me il senso del servizio pubblico”

«Dopo 35 anni di vita, notizie, dirette, programmi, emozioni e esperienze incredibili, ho deciso di lasciare la ‘mia Rai’», scrive Vianello. «Ringrazio amici e colleghi, è stato un onore e una magnifica cavalcata. Porterò sempre con me ovunque vada il senso del servizio pubblico».

Il Cdr del Tg3: “Un altro addio che pesa”

Dura la reazione del Comitato di redazione del Tg3: «Anche Andrea Vianello è stato messo nelle condizioni di dover lasciare la Rai», scrivono i rappresentanti sindacali, parlando apertamente di “motivi politici”. «È l’ennesimo collega di grande livello messo ai margini in un progressivo svuotamento di identità e professionalità». E concludono con un appello: «Auspichiamo che questa emorragia si arresti, e che la Rai possa recuperare la sua centralità informativa e culturale».

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Politica

L’ex ministro De Lorenzo torna a percepire il vitalizio: sono stato un perseguitato politico

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Francesco De Lorenzo (foto Imagoeconomica in evidenza), 87 anni, ex ministro della Sanità della Prima Repubblica, torna a percepire il vitalizio parlamentare grazie alla riabilitazione concessa dal Tribunale di Sorveglianza di Roma. Una cifra importante tra arretrati e pensione, che giunge 31 anni dopo l’arresto per Tangentopoli e una condanna definitiva a 5 anni per associazione a delinquere e corruzione.

«Ho pagato più di tutti, ho subito una persecuzione»

«Sono stato il capro espiatorio perfetto» ha dichiarato De Lorenzo al Corriere del Mezzogiorno, rivendicando la correttezza del proprio operato. Secondo l’ex ministro, i magistrati dell’epoca avrebbero voluto colpire un simbolo e lui si prestava bene al ruolo, specie dopo la riforma della sanità che vietava il doppio lavoro ai medici. «Non ho mai preso una lira per me – ha aggiunto – la Cassazione ha riconosciuto che i soldi finivano interamente al Partito Liberale».

«Vitalizio? È un diritto, come stabilito dalla Boldrini»

De Lorenzo ha ribadito che la richiesta del vitalizio è legittima: «La delibera del 2015 firmata da Laura Boldrini prevede la restituzione in caso di riabilitazione. Io l’ho ottenuta, come altri prima di me». A pesare sulla sua memoria, anche la condanna della Corte dei Conti per danno d’immagine: «Ho dovuto vendere la mia casa di Napoli per affrontare le conseguenze economiche di quella sentenza, pur non avendo causato alcun danno erariale».

Tangentopoli e il crollo della Prima Repubblica

Arrestato a Napoli nel 1994, De Lorenzo fu al centro di uno dei più noti scandali di Tangentopoli. «Durante la stagione giudiziaria serviva un terzo nome dopo Craxi e Andreotti, e io ero perfetto», ha detto. Ricorda con amarezza il clima di quegli anni: «Mi ritrovai contro i medici per la riforma e contro i malati per i tagli alla sanità. Il bersaglio ideale».

«Non ho mai tradito per salvarmi»

«Mi venne chiesto di accusare altri ministri, anche Berlusconi – racconta – ma non l’ho mai fatto». Critico nei confronti della magistratura, De Lorenzo ha sottolineato le irregolarità nel suo arresto e nella gestione del processo. «I miei coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere. Il mio processo è stato un coro di muti».

Rapporti con il passato: «Non sento più nessuno»

Con i vecchi compagni di partito come Paolo Cirino Pomicino e Giulio Di Donato i contatti si sono interrotti: «Ho chiuso ogni rapporto con loro», ha ammesso De Lorenzo. Nonostante l’età, conserva ancora una voce lucida e battagliera: «Sono malato di giustizia, non dimentico quello che ho subito».

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Politica

Addio a Giancarlo Gentilini, lo “Sceriffo” di Treviso simbolo della Lega Nord

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È morto a 95 anni Giancarlo Gentilini (foto Imagoeconomica in evidenza), storico sindaco e vicesindaco di Treviso, conosciuto come “lo Sceriffo” per la sua spilla simbolo di ordine, disciplina e rispetto delle leggi. Figura centrale della Lega Nord, è stato per vent’anni un riferimento assoluto per la città e per il movimento federalista e nordista. Gentilini si è spento ieri all’ospedale di Treviso, dopo un improvviso malore. Aveva appena trascorso le festività pasquali con familiari e amici.

Dal 1994 un’era politica fuori dagli schemi

Eletto per la prima volta nel 1994, in piena frattura con la Prima Repubblica, Gentilini ha rappresentato il primo grande esperimento amministrativo della Lega Nord in Veneto. La sua leadership ha ispirato generazioni di sindaci padani. Rimasto in carica fino al 2013, ha saputo imprimere un’impronta personale, carismatica e controversa al governo della città, definendosi “al servizio del mio popolo”.

Una vita di provocazioni e polemiche

Uomo fuori dagli schemi, Gentilini è stato amato e odiato. Amatissimo dal suo elettorato, detestato dalle opposizioni per uscite spesso offensive: frasi contro immigrati, rom, comunità omosessuale, disegni di teschi agli incroci pericolosi e panchine rimosse per evitare che vi si sedessero stranieri. La sua comunicazione era brutale, talvolta al limite del razzismo, ma efficace. Una figura che ha spesso messo in difficoltà anche la sua stessa Lega, incapace di contenerne la dirompenza.

L’ultimo capitolo di una vita sorprendente

Nel 2017 ha perso la moglie, e l’anno successivo, a 89 anni, si è risposato. Un uomo che non ha mai smesso di sorprendere, nel bene e nel male. Sempre fedele alla sua immagine, sempre diretto, spesso divisivo, ma instancabile e coerente con il proprio sentire.

Il cordoglio delle istituzioni

Tra i primi a ricordarlo, Luca Zaia, presidente del Veneto: «È stato un grande amministratore, ha saputo intercettare i sentimenti del popolo. Ha fatto la storia di Treviso e del Veneto». Lorenzo Fontana, presidente della Camera, ha parlato di «dedizione totale alla città». Il sindaco di Treviso, Mario Conte, ha espresso il dolore dell’intera comunità: «Il nostro Leone è andato avanti. Ha scritto la storia».

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