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Nuove acquisizioni sul caso Ferragni, faro anche su Oreo

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Adesso è ufficiale. Con le acquisizioni di oggi anche il caso Oreo entra a pieno titolo tra quelli su cui la Procura di Milano sta cercando di far luce con un’indagine per truffa aggravata nei confronti di Chiara Ferragni, del suo stretto collaboratore Fabio D’Amato, di Alessandra Balocco e di Franco Cannillo della Dolci Preziosi. Indagini che, quindi, oltre al pandoro “Pink Christmas”, alle uova di Pasqua e alla bambola Trudi, si allargano ad una nuova iniziativa di vendita pubblicizzata sui social come solidale. Oggi, infatti, i militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Gdf, su delega del pm Cristian Barilli e del procuratore aggiunto di Milano Eugenio Fusco, si sono recati con una richiesta di consegna documenti nella sede milanese di Mondelez Italia, titolare del brand del noto biscotto, in quella in provincia di Bari di Cerealitalia, che detiene il marchio Dolci Preziosi, e a Tarcento, in provincia di Udine, dove si trova l’azienda Trudi che ha prodotto la mascotte con le sembianze della influencer.

Le Fiamme Gialle, inoltre, sono ritornate negli uffici di Fenice e Tbs-Crew, società di Ferragni. Non è stato necessario, invece, fare visita alla casa dolciaria piemontese in quanto, nelle scorse settimane, sono già state prese le carte necessarie che ora si stanno analizzando assieme al fascicolo dell’Antitrust, che aveva inflitto alla influencer e alla Balocco una multa complessiva di oltre un milione e quattrocento mila euro. Decisione questa impugnata davanti al Tar la scorsa settimana.

Le acquisizioni di oggi sono una sorta di passaggio tecnico per raccogliere, tra l’altro, i contratti e le email che gli “architetti” delle varie iniziative si sono scambiati, in vista di eventuali audizioni di testimoni e degli interrogatori degli indagati. E questo per chiarire l’intera vicenda che, tra l’altro, potrebbe estendersi ancora: pare ci siano da sciogliere soprattutto i nodi giuridici, più che gli aspetti fattuali. Come aveva già fatto sapere Mondelez Italia (estranea all’inchiesta), “l’accordo di collaborazione tra Oreo e Chiara Ferragni” comportava che l’influencer “disegnasse un packaging in limited edition di Oreo Double,” venduto alla grande distribuzione allo stesso prezzo del prodotto standard. In contemporanea veniva realizzata una “capsule collection” di abbigliamento a marchio Oreo by Chiara Ferragni, una parte della quale era legata al concorso “Libera il tuo stile Oreo”, quindi non in vendita. Una seconda parte, invece, veniva venduta “direttamente” dall’influencer milanese sui propri canali. In tutto questo “la beneficenza non è mai stata prevista”. Dunque, secondo la società, è stata una sua decisione autonoma, al di fuori dell’accordo commerciale, quella promessa di devolvere in beneficenza, per iniziative contro il Covid, l’intero ricavato delle vendite di questi abiti. Anche l’azienda Trudi, con una nota simile, si era smarcata dal caso della mascotte di pezza.

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‘Motivi di salute’, Verdini al centro clinico di Pisa

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L’ex parlamentare Denis Verdini è stato trasferito da alcune settimane dal carcere fiorentino di Sollicciano al centro clinico del carcere di Pisa a causa delle sue condizioni di salute che sarebbero state giudicate incompatibili -secondo l’avvocato Marco Rocchi- con la detenzione carceraria. Il giudice di sorveglianza ha nominato un perito e il 30 maggio è fissata l’udienza per la decisione. L’ex parlamentare, 73 anni da poco compiuti, sta scontando una condanna definitiva a sei anni e sei mesi per la bancarotta fraudolenta del credito cooperativo fiorentino. Dopo la pronuncia della Cassazione si era costituito il 3 novembre 2020, nel carcere di Rebibbia a Roma. Nel gennaio 2021 aveva ottenuto la detenzione domiciliare per motivi di salute, a causa della diffusione del Covid in carcere.

Decisione confermata poi dal tribunale di sorveglianza di Firenze nel luglio 2021 per motivi di età. Lo scorso febbraio però la detenzione domiciliare gli era stata revocata per aver violato le prescrizioni imposte dallo stesso tribunale di sorveglianza: l’ex senatore di Ala, già parlamentare di Forza Italia, infatti, era stato accertato, aveva partecipato a tre cene in ristoranti di Roma, dove era stato autorizzato ad andare per visite dal dentista di fiducia, e aveva pernottato anche a casa del figlio Tommaso. Il Tribunale di Sorveglianza, lo stesso che gli aveva concesso i domiciliari, così lo rimandò in cella. L’ex parlamentare aveva ottenuto permessi per le cure dentarie: poteva uscire a Roma dalle 10 alle 14 ma poi doveva ritorna a casa del figlio, dove non poteva incontrare persone diverse dai familiari più stretti.

Per i giudici del Tribunale di sorveglianza Verdini avrebbe chiesto permessi per quelle terapie al fine di eludere più facilmente il vincolo delle prescrizioni disposte per la detenzione domiciliare. L’appuntamento dal medico sarebbe stata l’occasione -secondo i giudici di Sorveglianza- per incontrare politici, imprenditori e dirigenti pubblici. Incontri che non sono sfuggiti agli investigatori della guardia di finanza che stavano indagando, coordinati dalla procura di Roma, sulle commesse bandite dall’Anas e in cui sono coinvolti anche Denis Verdini e il figlio. Dalle indagini romane risultò anche che l’ex senatore avrebbe tenuto anche relazioni telefoniche senza autorizzazione. Il Tribunale di sorveglianza di Firenze aveva già avviato e chiuso un procedimento per violazione delle prescrizioni, confermando nel febbraio 2022 la detenzione domiciliare. Allora tutto era nato a seguito della pubblicazione su un quotidiano di una lettera di Verdini indirizzata a Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri.

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Roberto Salis: Ilaria aiutata da campagna mediatica non silenzio

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Sarà pure servito il “lavoro in silenzio” per far tornare dopo 24 anni Chico Forti in Italia, per scontare la sua condanna per omicidio, ma per Ilaria Salis, che si trova da oltre quindici mesi in carcere a Budapest in detenzione preventiva, invece le cose sono migliorate con “la campagna mediatica”.

Roberto Salis è convinto di questo e continua a impegnarsi nella campagna elettorale per le europee dove sua figlia è candidata di Alleanza Verdi Sinistra. Non fa polemiche sul caso di Forti, ricevuto al suo arrivo dalla premier. Si limita a dire di fare “già fatica a seguire il caso” di Ilaria e non aver “seguito assolutamente quello di Chico Forti”. E però dà una indiretta risposta all’osservazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri su Forti ha sottolineato che “si ottengono questi risultati quando si lavora in silenzio, senza fare polemiche”. “Il governo con noi ha avuto 11 mesi di profilo basso per fare tutto quello che era necessario e non è successo nulla. Io sono portato a pensare che le condizioni di Ilaria siano iniziate a migliorare nel momento in cui c’è stata una campagna mediatica intorno a lei” osserva prima di un incontro pubblico a Milano con Nicola Fratoianni e Carola Rackete, l’ambientalista comandante della Sea Watch che fu arrestata quando senza permesso attraccò per far scendere migranti salvati in mare a Lampedusa nel 2019, ora candidata alle Europee in Germania con Die Linke. “Tutte le richieste avanzate dal governo tramite l’ambasciata prima di questo sono state assolutamente non ascoltate” aggiunge. Ora invece è arrivato il via libera per i domiciliari a Budapest di Ilaria, che è accusata dell’aggressione a due estremisti di destra. La famiglia ha pagato i 16 milioni di fiorini (poco più di 40 mila euro) di cauzione ed ora attende di conoscere la data del suo trasferimento, che dovrebbe essere in settimana, mentre il 24 è fissata la nuova udienza del processo. Una volta ai domiciliari, poi, ci sarà da risolvere il problema “gravissimo” della sua incolumità viste le minacce dell’estrema destra dimostrate dall’immagine di Ilaria impiccata apparse su un muro di Budapest. Domani andrà ad incontrarla Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra “per darle appoggio e vicinanza da tutti noi”. Secondo Rackete, che parla di un “processo politico” senza prove, la trentanovenne dovrebbe essere “immediatamente rilasciata”. Con i domiciliari, avvisa il padre, “non cambia niente. Il processo ingiusto è ancora in corso, Ilaria rischia fino a 24 anni di carcere e il passaggio ai domiciliari peggiora la situazione perché un giorno in carcere vale un giorno, un giorno ai domiciliari vale un quinto di un giorno”. Lei dalla cella ha fatto sapere alla Stampa di non volersi sottrarre ma invece di volersi “difendere all’interno di un processo in cui siano garantiti i diritti fondamentali”. “La mia situazione giudiziaria – ha aggiunto – non può e non deve essere pregiudicata o aggravata dalle mie posizioni politiche”. La scelta di candidarsi è arrivata per la volontà di trasformare “la mia vicenda in qualcosa di costruttivo non solo per me – ha spiegato -. Vorrei potermi dedicare a una cosa che mi sta molto a cuore: la tutela dei diritti umani”. E quando uscirà dalla cella per prima cosa abbraccerà “finalmente le persone a cui voglio bene”.

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Lavoratore 21enne morto a Scafati in un incidente

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Lavorava in nero il 21enne Alessandro Panariello, che ieri è morto in un incidente avvenuto a Scafati, in provincia di Salerno, mentre lavorava in un palazzo in pieno centro. A denunciarlo sono gli avvocati Gennaro Caracciolo e Agostino Russo dello Studio Forensis, che assistono la famiglia del giovane lavoratore. Secondo le prime ricostruzioni Panariello è rimasto ucciso da una lastra d’acciaio caduta dalla carrucola che stava sollevando. “L’unica cosa della dinamica che abbiamo saputo – spiegano i legali – è che Panariello era giù e un altro lavoratore era su quando gli è caduta addosso la lastra, e che era ancora vivo mentre lo portavano in ospedale”.

“Siamo morti insieme al nostro Alessandro – fanno sapere tramite gli avvocati la madre Flora, il compagno di quest’ultima (il papà di Alessandro è morto da anni) e la fidanzata del 21enne, Annachiara – ma faremo di tutto affinché giustizia venga fatta; sporgeremo querela contro il datore di lavoro, anche perché il povero Alessandro non era regolare, nonostante avesse sempre chiesto di avere un contratto di lavoro. Ora la nostra vita è cambiata per sempre. Saremo destinati ad andare avanti con la morte nel cuore perché niente e nessuno potrà restuirci il nostro Alessandro”. Il 21enne aiutava economicamente, nonostante la sua giovane età, l’intera famiglia.

“Queste morti – dice l’avvocato Caracciolo – accadono perché non c’è la giusta cultura sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, non c’è la giusta cultura nelle aziende e non si provvede all’adozione dei giusti modelli di gestione e controllo delle procedure aziendali e quindi del modo di lavorare. Dunque non si fa nulla per prevenire tali situazioni; si tratta di un problema soprattutto culturale che nel sud Italia è ancora più pesante”.

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