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Economia

Energia, ora l’utente pagherà penale per il recesso

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Sul mercato dell’elettricità arrivano gli oneri di recesso anticipato per i clienti domestici e le piccole imprese. Dal 1° gennaio 2024 infatti i fornitori hanno la facoltà di applicare, in alcuni casi, un onere a carico del cliente se questo esercita il recesso prima dello scadere del contratto. A delineare il nuovo quadro è una delibera dell’Arera dello scorso 6 giugno, che specifica come eventuali penali possano essere applicate “esclusivamente nei contratti di durata determinata e a prezzo fisso”. Possibili oneri di recesso anche sui contratti a tempo indeterminato se hanno “condizioni economiche a prezzo fisso di durata determinata”, limitatamente al primo periodo di validità delle condizioni economiche. In merito al recesso e alla validità dell’onere, l’autorità ha anche fissato specifici obblighi per i fornitori: nel contratto va indicato “chiaramente”, nel suo importo massimo, l’eventuale onere, che deve essere “specificamente approvato e sottoscritto dal cliente”. Altre indicazioni devono trovarsi nel riquadro “Modalità e oneri per il recesso” della scheda sintetica, che riassume le caratteristiche dell’offerta.

Il venditore, stabilisce la delibera dell’Arera, deve “specificare che la somma di denaro indicata nel contratto costituisce un importo massimo che potrebbe essere ridotto in ragione dell’effettiva perdita economica diretta derivante dal recesso anticipato”. Inoltre, per qualunque tipologia di contratto, la variazione unilaterale delle condizioni da parte del venditore comporta la decadenza dell’eventuale applicazione di oneri di recesso anticipato. L’autorità specifica che “la somma richiesta deve, in ogni caso, essere proporzionata e non può eccedere la perdita economica direttamente subita dal venditore, compresi i costi legati a eventuali pacchetti di investimenti o servizi già forniti al cliente nell’ambito del contratto”. Al venditore anche “l’onere di provare l’esistenza e l’entità di tale perdita economica”. “A partire dal 1° gennaio 2024 i fornitori di energia elettrica hanno la facoltà di applicare un onere a carico del cliente che esercita il recesso prima dello scadere del contratto, nel caso di offerte a prezzo prezzo fisso e se la durata del prezzo o del contratto è per un tempo determinato, solitamente 12 o 24 mesi. Una vergogna”.

Così l’Unione nazionale consumatori in una nota. “Abbiamo chiesto inutilmente e ripetutamente a governo e Parlamento di abrogare l’art. 7, comma 5, del Dl n. 210 dell’8 novembre 2021, che prevede che il fornitore di energia elettrica possa far pagare ai clienti una somma di denaro in caso di recesso anticipato da un contratto di fornitura a tempo determinato o a prezzo fisso”, afferma Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione nazionale consumatori. “Purtroppo il Parlamento, dimostrando di voler stare dalla parte delle compagnie energetiche che stanno facendo extraprofitti milionari e non da quella delle famiglie, in barba alla libera concorrenza, che prevede la perfetta mobilità del consumatore, non ha accolto la nostra richiesta” prosegue Vignola. “Un fatto ancor più grave se si considera che proprio ora sta per essere eliminato il mercato tutelato e che, quindi, le famiglie, non informate su quello che devono correttamente fare per evitare di pagare di più, non essendo mai partita la campagna informativa, dovrebbero almeno essere lasciate libere di cambiare fornitore in caso di fregature. Insomma, dopo il danno la beffa.” conclude Vignola

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Giorgetti da Vestager, Ita-Lufthansa ancora in salita

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Un’altra fumata grigia. Al termine del faccia a faccia tra Giancarlo Giorgetti e Margrethe Vestager, la Commissione europea non usa nemmeno le formule di facciata che di solito descrivono i colloqui politici. Tanto basta a lasciar intravedere una strada ancora in salita per il placet alle nozze tra Ita e Lufthansa. Il governo, si è limitato a dire il titolare del Tesoro all’uscita da Palazzo Berlaymont, ha “ribadito” la sua posizione all’Ue. E adesso aspetta “il verdetto”, in arrivo entro il 4 luglio. Nel mezzo però ci sono ancora quasi due mesi: l’ultimo pacchetto di impegni su slot e rotte presentato la scorsa settimana, nel giudizio che trapela a Bruxelles, “non è ancora sufficiente”.

Tuttavia, è la sollecitazione, le parti hanno ancora tempo per apportare miglioramenti. Lasciato l’Ecofin, il ministro dell’Economia si è presentato a Palazzo Berlaymont per la seconda volta nel giro di quindici giorni. Sul tavolo, i persistenti timori dell’antitrust che da qualche giorno ha avviato il market test. Il caso è “complesso”. E il negoziato, stando alle indicazioni offerte da alcune fonti vicine al dossier, resta incagliato sui tre fronti più problematici. Davanti al rischio di posizione dominante di Ita e Lufthansa a Milano-Linate, nel giudizio della squadra di Vestager manca ancora una soluzione solida che permetta di far subentrare un vettore capace di stabilirsi come presenza “credibile”.

Le proposte di compromesso messe sul piatto dalla compagnia di Carsten Spohr e dal Mef per aprire alle rivali sulle rotte a corto raggio dall’Italia all’Europa centrale restano poi da perfezionare. E, allo stesso modo, non convince del tutto l’idea di congelare soltanto in via temporanea – per due anni – l’alleanza tra la compagnia della gru e la newco sorta dalle ceneri di Alitalia sui lunghi collegamenti da Fiumicino con destinazione Stati Uniti e Canada, dove Lufthansa detiene già un’ampia porzione di mercato con la sua joint venture formata con United Airlines e Air Canada. Per capire se sia possibile raggiungere un punto di caduta prima del 4 luglio servirà altro tempo. “E’ sempre complicato, bisogna sempre avere tanta pazienza”, ha osservato Giorgetti. A Bruxelles però l’avvertimento che circola è chiaro: c’è ancora tempo per lavorare. A patto che ci sia “la volontà delle parti”, Lufthansa in testa.

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Economia

Guerra spinge la Difesa, boom in Borsa e ricavi record

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La guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente hanno fatto aumentare la domanda e la spesa per il settore della Difesa nel 2023 ha toccato il massimo storico di 2.443 miliardi di dollari (+6,8%), quanto il 2,3% del Pil mondiale. L’impatto sui bilanci dei big del comparto e sulle loro quotazioni in Borsa è la diretta conseguenza. Per il 2024 gli analisti dell’Area Studi Mediobanca, hanno previsto un ulteriore incremento dei ricavi (+6%). Nel quadriennio 2019-2023 il rendimento azionario dei big della Difesa è cresciuto del 68,7%, il doppio del +34,8% segnato dall’indice azionario mondiale ed è proseguito nel primo trimestre di quest’anno (+22,8%), un rendimento tre volte superiore al +7,1% dell’indice azionario mondiale, con i gruppi europei (+42,3%) di gran lunga davanti a quelli statunitensi (+8,6%).

Il panorama resta però dominato dai big statunitensi con una quota del 74% del totale, seguiti dai gruppi europei con il 22% e da quelli asiatici con il 4%. Gli Stati Uniti, con 15 player, si aggiudicano il primato anche a livello numerico davanti alla Francia, distanziata con tre società; due gruppi ciascuno per Germania, Gran Bretagna, India e Italia che conta per il 19% del giro d’affari europeo e per il 4,2% di quello mondiale. Lockheed Martin (55 miliardi di ricavi) è la regina del settore ma nella Top 10 entra anche Leonardo (in ottava posizione con 11,5 miliardi) e in 25esima Fincantieri (2 miliardi). L’Italia nel 2023 ha speso nel 2023 “35,5 miliardi di euro per la Difesa, pari a 97 milioni al giorno, con incremento del +5,5% atteso per il 2024”. Nella classifica globale è 12esima (con l’1,5% della spesa mondiale) mentre il 37,5% fa capo agli Stati Uniti (916 miliardi), seguiti da Cina con il 12,1% (296 miliardi), Russia (4,5%), India (3,4%) e Arabia Saudita (3,1%).

La classifica cambia se si considera l’incidenza sul Pil della spesa: di gran lunga al primo posto si colloca l’Ucraina con il 36,7%, la Russia è in settima posizione (5,9%), gli Stati Uniti in 22esima (3,4%), la Cina in 69esima (1,7%) e l’Italia in 75esima (1,6%, era 1,4% nel 2013 e 2,8% nel 1963). “Come richiesto dalla Nato nel 2014, l’Italia sta progressivamente innalzando la propria spesa nella difesa con l’obiettivo di raggiungere la soglia del 2% del Pil entro il 2028” ricorda la ricerca. La conclusione è che l’industria europea è sostanzialmente subalterna a quella americana per inferiori spese degli Stati membri, frammentazione istituzionale delle politiche di Difesa nazionali e scarsa propensione a cooperare. “Rendere più competitive le imprese comporta un consolidamento industriale e un incremento dei progetti congiunti, i cui vantaggi si misurano in termini di maggiore efficienza ed economia di scala e migliore interoperabilità – concludono gli analisti dell’Area Studi Mediobanca – Investire nella Difesa ha un ritorno non solo in termini di sicurezza, ma anche in termini di resilienza, competitività industriale e di presidio delle verticali tecnologiche.”

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Usa, Boeing viola accordo per evitare accuse incidenti 737 Max

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Boeing ha violato il patteggiamento che le aveva consentito di evitare un procedimento penale dopo i due incidenti del 737 Max che hanno causato oltre 300 morti: il Dipartimento di Giustizia americano ha detto a una corte federale del Texas che l’azienda aeronautica statunitense non ha effettuato le modifiche necessarie per evitare la violazione delle leggi antifrode, uno dei requisiti del patteggiamento del 2021. Il Dipartimento di Giustizia dovrà ora decidere se presentare accuse o meno. “Il governo ha stabilito che Boeing ha infranto gli obblighi non attuando un programma di compliance per prevenire e individuare violazioni alle leggi anti frode americane”, ha detto il dicastero Usa.

 

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