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Politica

Giorgetti: era mio interesse approvare Mes ma non era aria

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Il 15 gennaio, al primo Eurogruppo del 2024, gli occhi saranno tutti su di lui. Giancarlo Giorgetti si presenterà in rappresentanza dell’unico dei venti Paesi ad aver bocciato la modifica del Meccanismo europeo di stabilità, in una posizione decisamente più scomoda di quella che avrebbe sperato. “Il ministro dell’economia e delle finanze – dice, riferendosi al proprio ruolo di governo, all’indomani del voto che ha diviso la maggioranza – aveva interesse che il Mes fosse approvato per motivazioni di tipo economico e finanziario ma, per come si è sviluppato il dibattito negli ultimi giorni, fra Giurì d’onore e cose di questo tipo, mi è sembrato evidente che non c’era aria per l’approvazione. Per motivazioni anche e non solo economiche”.

Quanto basta per dare nuova linfa alle richieste di dimissioni delle opposizioni, ma soprattutto a delineare i contorni dell’accelerazione impressa da Palazzo Chigi. A giorni è attesa la decisione del presidente della Camera Lorenzo Fontana sul Giurì d’onore richiesto da Giuseppe Conte su Giorgia Meloni, proprio per le accuse sul via libera al trattato dato dal leader M5s tre anni fa “con il favore delle tenebre”. Intanto il riferimento di Giorgetti lascia intendere che la mossa dell’ex premier abbia in qualche influito sulla decisione di Meloni di chiudere la partita del Mes all’indomani dell’intesa sul Patto di stabilità.

Insieme, secondo altre ricostruzioni accreditate da fonti parlamentari di centrodestra, alla necessità di contenere le spinte di Matteo Salvini. Per sei mesi almeno, confermano nel governo, non se ne riparla. E a giugno ci sono le elezioni europee. Palazzo Chigi ha fatto sapere che “può essere l’occasione per avviare una riflessione in sede europea su nuove ed eventuali modifiche al trattato”. Il processo comunque non sarebbe breve. “Tutto si può migliorare, anche il Mes”, ha convenuto il ministro dell’Economia, assicurando che la bocciatura “no”, non è uno strappo con l’Europa. Nella giornata del primo via libera alla manovra al Senato, il responsabile del Mef ha dovuto rispondere soprattutto a domande sul voto del giorno prima. “Sul Mes, che ci fossero problemi era noto a tutti. Abbiamo fatto un passo in avanti sul Patto di stabilità, ma le sfide in Europa sono ben altre. Non è che l’Europa ha sempre ragione”, la sua sintesi in cui rientra anche l’esempio della vicenda Ita-Lufthansa e del nuovo stop arrivato da Bruxelles per “altri mesi di approfondimenti”.

Il Salva-banche all’Italia non serviva, è la tesi con cui i meloniani giustificano la bocciatura, che finora non ha avuto ripercussioni sui mercati (lo Spread è sceso ancora) ma rischia di averne sui tavoli europei. Non solo su quello che riguarda la compagnia aerea, ma ad esempio sul bilancio europeo, sull’Unione bancaria, nella competizione per l’Authority antiriciclaggio (Roma è candidata) o nell’interlocuzione sulle concessioni balneari, con il governo chiamato ad adeguarsi nel giro di un mese. “Non mi pare” ci sia un rischio di isolamento dell’Italia a Bruxelles, è convinto Antonio Tajani, che ha dato a FI l’indicazione di astenersi (mentre diversi deputati azzurri volevano votare a favore) per contenere nei limiti il disallineamento nel centrodestra nella prima vera spaccatura in questi 14 mesi di governo.

“Nei giorni scorsi il clima si è infuocato, accelerando un voto che forse la saggezza politica di altre stagioni avrebbe rinviato in attesa di trovare qualche soluzione – osserva il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri -. Ma oggi abbiamo votato la fiducia alla manovra, il provvedimento principale di un governo in un anno. Ciò significa che Giorgetti e il governo godono della piena fiducia del Parlamento”. Ovviamente le opposizioni la vedono in modo opposto. Il ministro “non può fare il Don Abbondio”, dicono dal Pd, “se è stato smentito dalla scelta politica fatta dai leader sovranisti, allora farebbe bene a trarne le conclusioni e a dimettersi”. Sulla stessa linea il leader di Azione, Carlo Calenda: “Siamo veramente vicini al baratro. Chi è Giorgetti? Non lo sa neanche lui. Se fosse il ministro dell’Economia si sarebbe dimesso”.

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Corruzione elettorale, indagato capogruppo FdI in Puglia

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Un’altra inchiesta per presunta corruzione elettorale agita la politica pugliese. Questa volta ad essere coinvolto è un esponente del centrodestra, Francesco Ventola, capogruppo di FdI in Consiglio regionale, candidato alle Europee in ticket con Giorgia Meloni. La vicenda è stata dall’ ex assessore regionale Andrea Silvestri. Sia Ventola che Silvestri sono residenti a Canosa. Il primo sostiene la maggioranza del sindaco, l’ex assessore è all’opposizione. Ventola sarebbe dunque indagato dalla procura di Trani per associazione a delinquere e corruzione elettorale in relazione alle amministrative di Canosa in Puglia del 2022.

“È vero – sottolinea Silvestri nel video, rimosso da Facebook ma diventato virale sulle chat – che c’è una inchiesta a Canosa, e questa inchiesta riguarda il sindaco, il presidente del Consiglio comunale, un consigliere comunale e il consigliere regionale? Non mi hanno detto sì, non mi hanno detto no. Siccome siete restii, siete quasi omertosi, adesso facciamo lo scoop”. Ventola ha spiegato di aver ricevuto a febbraio un avviso di proroga delle indagini.

“Rilevo – ha detto il capogruppo di FdI – che per la seconda volta Andrea Silvestri getta fango, in modo calunnioso, sulla mia persona e sull’amministrazione comunale di Canosa. Infatti già qualche mese parlò dell’inchiesta, innescata dal suo entourage. Abbiamo denunciato Silvestri – ha riferito Ventola – per quelle dichiarazioni calunniose e false e vagliamo ora attentamente anche le più recenti propalazioni”. Il capogruppo di FdI in Consiglio regionale ha poi rammentato una vicenda giudiziaria per la quale il suo rivale politico fu arrestato nel 2004 e poi condannato. Ventola ha ricordato inoltre che lo scorso dicembre, nella discussione sulla legge di bilancio, propose con un emendamento la sospensione del trattamento di vitalizio agli ex consiglieri regionali condannati in via definitiva per reati contro la pubblica amministrazione, con un chiaro riferimento alla condizione dell’ex assessore Silvestri. Quest’ultimo ha replicato: “sono procedimenti di più di vent’anni fa, per i quali ho patteggiato: ora sono un cittadino e un libero professionista e le mie questioni con la giustizia le ho risolte all’epoca. È Ventola, in quanto personaggio pubblico candidato alle Europee, che deve rispondere del suo operato”.

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Politica

Sondaggio, Zaia il governatore più apprezzato: De Luca al quarto posto

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Luca Zaia, con un gradimento del 70%, è il governatore di Regione più apprezzato d’Italia. Lo afferma la classifica Human Index elaborata dall’istituto Emg. Dietro il presidente del Veneto, c’è il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, con il 63,7%, e quello del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga (63,6%). Nei primi cinque posti si trovano quindi il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, 56,6%, e quello della Toscana, Eugenio Giani (52,6%). L’indice è stato elaborato sulla base di 500 interviste realizzate da Emg, e un’analisi semantica effettuata da Hindex sulle conversazioni nei social network. Un gradimento, quello dei governatori nella popolazione italiana, sottolineano i ricercatori “sensibilmente più alto rispetto al gradimento dei ministri”.

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Cronache

Roberto Salis: Ilaria aiutata da campagna mediatica non silenzio

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Sarà pure servito il “lavoro in silenzio” per far tornare dopo 24 anni Chico Forti in Italia, per scontare la sua condanna per omicidio, ma per Ilaria Salis, che si trova da oltre quindici mesi in carcere a Budapest in detenzione preventiva, invece le cose sono migliorate con “la campagna mediatica”.

Roberto Salis è convinto di questo e continua a impegnarsi nella campagna elettorale per le europee dove sua figlia è candidata di Alleanza Verdi Sinistra. Non fa polemiche sul caso di Forti, ricevuto al suo arrivo dalla premier. Si limita a dire di fare “già fatica a seguire il caso” di Ilaria e non aver “seguito assolutamente quello di Chico Forti”. E però dà una indiretta risposta all’osservazione del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ieri su Forti ha sottolineato che “si ottengono questi risultati quando si lavora in silenzio, senza fare polemiche”. “Il governo con noi ha avuto 11 mesi di profilo basso per fare tutto quello che era necessario e non è successo nulla. Io sono portato a pensare che le condizioni di Ilaria siano iniziate a migliorare nel momento in cui c’è stata una campagna mediatica intorno a lei” osserva prima di un incontro pubblico a Milano con Nicola Fratoianni e Carola Rackete, l’ambientalista comandante della Sea Watch che fu arrestata quando senza permesso attraccò per far scendere migranti salvati in mare a Lampedusa nel 2019, ora candidata alle Europee in Germania con Die Linke. “Tutte le richieste avanzate dal governo tramite l’ambasciata prima di questo sono state assolutamente non ascoltate” aggiunge. Ora invece è arrivato il via libera per i domiciliari a Budapest di Ilaria, che è accusata dell’aggressione a due estremisti di destra. La famiglia ha pagato i 16 milioni di fiorini (poco più di 40 mila euro) di cauzione ed ora attende di conoscere la data del suo trasferimento, che dovrebbe essere in settimana, mentre il 24 è fissata la nuova udienza del processo. Una volta ai domiciliari, poi, ci sarà da risolvere il problema “gravissimo” della sua incolumità viste le minacce dell’estrema destra dimostrate dall’immagine di Ilaria impiccata apparse su un muro di Budapest. Domani andrà ad incontrarla Angelo Bonelli, co-portavoce nazionale di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra “per darle appoggio e vicinanza da tutti noi”. Secondo Rackete, che parla di un “processo politico” senza prove, la trentanovenne dovrebbe essere “immediatamente rilasciata”. Con i domiciliari, avvisa il padre, “non cambia niente. Il processo ingiusto è ancora in corso, Ilaria rischia fino a 24 anni di carcere e il passaggio ai domiciliari peggiora la situazione perché un giorno in carcere vale un giorno, un giorno ai domiciliari vale un quinto di un giorno”. Lei dalla cella ha fatto sapere alla Stampa di non volersi sottrarre ma invece di volersi “difendere all’interno di un processo in cui siano garantiti i diritti fondamentali”. “La mia situazione giudiziaria – ha aggiunto – non può e non deve essere pregiudicata o aggravata dalle mie posizioni politiche”. La scelta di candidarsi è arrivata per la volontà di trasformare “la mia vicenda in qualcosa di costruttivo non solo per me – ha spiegato -. Vorrei potermi dedicare a una cosa che mi sta molto a cuore: la tutela dei diritti umani”. E quando uscirà dalla cella per prima cosa abbraccerà “finalmente le persone a cui voglio bene”.

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