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Salvini difende Giorgetti, Il Pd insiste nel chiedere le dimissioni

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C’è un punto che, oggi, sembra rasserenare il clima – quello interno alla maggioranza – in tema di Mes. E’ la difesa che il leader della Lega, Matteo Salvini, dedica senza tentennamenti al “suo” ministro, Giancarlo Giorgetti. Con lui “non ho mai” litigato, premette rispondendo ad una domanda. “Abbiamo condiviso, scelto e fatto tutto per il bene degli italiani, ne sono e ne siamo orgogliosi, ero con lui ieri”. Parole che vogliono spazzare via le nubi che si erano addensate attorno al titolare dell’Economia che sembrava non solo aver disconosciuto la linea leghista contro il Mes (“io l’avrei approvato”) ma addirittura fatto balenare possibili dimissioni. Nessuna contraddizione, nessuna frattura, viene infatti letta da Salvini nel distinguo di Giorgetti. C’era un’interesse nell’approvare il Mes? “Come merce di scambio su altro (come il Patto di Stabilità, ndr), probabilmente è vero, però è stata una scelta coerente” scandisce, ricordando che “la Lega ha sempre avuto la stessa idea da 10 anni a questa parte. Abbiamo sempre votato nella stessa maniera e il Governo ha avuto una maggioranza compatta”.

E il risultato finale, al di là dell’astensione di Forza Italia (“ampiamente comunicata e senza che abbia rappresentato un problema”), non comporta “assolutamente” alcun indebolimento del titolare del Mef, puntualizza. Di tutt’altro avviso le opposizioni, che ritrovano compattezza e unità su un terreno di battaglia comune. Al coro delle richieste di dimissioni che da ieri sono piovute su Giorgetti, la voce di tutte le forze di minoranza si è uniformata per chiedere al ministro di presentarsi in commissione Bilancio per una “necessaria e urgente informativa” su quanto accaduto con il voto sul Meccanismo europeo di stabilità. Il rammarico europeo, per non dire di più, sulla mancata ratifica del Mes da parte dell’Italia resta di sentinella sulle mosse del Governo Meloni. E a ricordarlo ci pensa il commissario Ue per gli Affari economici e monetari ed ex premier Paolo Gentiloni in un’intervista al Corriere della Sera.

L’irritazione delle istituzioni dell’area euro è “condivisibile”, spiega. “Certo il Parlamento è sovrano, ma è consuetudine che gli accordi sui trattati internazionali contratti dai governi vengano rispettati” e “tutti gli altri Paesi l’hanno fatto”, osserva. Intanto, alla richiesta delle opposizioni ad essere al più presto in Commissione, Giorgetti risponde “presente”. Ma a metà: il 27, alla ripresa dei lavori parlamentari che devono chiudere la partita della manovra, il ministro si presenterà “come richiesto”, ma non per parlare di Mes o Patto di Stabilità: prima si chiude la legge di bilancio, poi un’occasione per discutere di altro ci sarà sicuramente, viene fatto presente da fonti di governo.

Una mezza disponibilità che indispettisce le opposizioni. A partire dal Pd che torna a chiedere le dimissioni di un ministro “ostaggio del populismo e degli anti europeisti, inadeguato a ricoprire quel ruolo”, come fa il presidente dei senatori dem Francesco Boccia. O come la sua vice Beatrice Lorenzin che si chiede “cosa ci stia a fare ancora lì Giorgetti: un ministro sfiduciato dalla maggioranza, dal suo stesso partito e dalla sua premier”, prevedendo “un’Italia balbettante e indebolita” quando tornerà a sedersi ai tavoli europei. “Il governo è incapace di stare in Ue con dignità”, sentenzia il leader di Azione Carlo Calenda denunciando che “è stato fatto il contrario di ciò che serviva. La pagheremo”.

Secondo Matteo Renzi, invece, non è Giorgetti che dovrebbe dimettersi ma Tajani a dover “riflettere se continuare a fare il ministro, visto che fa campagna elettorale tutti i giorni” non facendo “toccar palla a livello internazionale” al Paese. Pungente l’intervento di un politico di lungo corso come Pier Ferdinando Casini che – senza dare riferimenti nè sul governo nè sul Mes – sibillino affida il suo commento ad un ricordo anni ’80: allora c’era “un leader importante della DC che, a proposito di un esponente di governo dell’epoca, mi diceva: ‘è un uomo intelligente, ma non è un ministro di polso, al massimo di polsino…'”.

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Intenzioni di voto degli italiani: Meloni stabile, M5s in risalita

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Il mese appena trascorso è stato caratterizzato da numerosi eventi di rilievo, sia a livello internazionale che nazionale, che hanno avuto un impatto sulle intenzioni di voto degli italiani. Tra gli eventi più significativi, il fallito attentato a Donald Trump negli Stati Uniti e la sostituzione della candidatura di Joe Biden con quella di Kamala Harris. Inoltre, l’elezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione UE ha evidenziato una divisione nel centrodestra italiano, con Forza Italia a favore e Fratelli d’Italia e Lega contro.

La premier Giorgia Meloni ha assicurato che il ruolo dell’Italia in Europa non subirà contraccolpi, ma la divisione tra gli alleati è evidente. Il segretario di Forza Italia, Antonio Tajani, ha dichiarato che “l’Autonomia non è un dogma” e ha espresso preoccupazioni per le regioni del Sud. Ha inoltre sottolineato che il commercio estero deve rimanere una competenza nazionale, contrastando ulteriormente la posizione della Lega.

La questione dell’Autonomia differenziata, le riforme della giustizia e l’aggressione di militanti di CasaPound a un giornalista hanno suscitato ampie polemiche. Il presidente del Senato, La Russa, è stato criticato per le sue posizioni che sembravano giustificare l’aggressione.

Nonostante questi eventi, le ricadute sugli orientamenti di voto sono state limitate.

Di seguito, le intenzioni di voto per le Politiche:

  • Fratelli d’Italia (FdI): 27,9%
  • Partito Democratico (PD): 22,6%
  • Movimento 5 Stelle (M5S): 13,0%
  • Forza Italia (FI): 8,8%
  • Lega: 8,0%
  • Alleanza Verdi e Sinistra (Avs): 6,4%
  • +Europa: 1,6%
  • Italia Viva (Iv): 2,3%
  • Azione: 3,0%

La valutazione dell’esecutivo e della premier Meloni ha subito lievi cali. Il governo ha un indice di approvazione del 43%, un punto in meno rispetto al mese scorso, mentre Meloni ha un indice di 44, anch’esso in calo di un punto. L’indice di approvazione dei leader politici è rimasto sostanzialmente stabile, con l’eccezione di Antonio Tajani, il cui indice è sceso di due punti a causa delle recenti polemiche con Matteo Salvini.

La politica internazionale sembra influire poco sulle opinioni degli elettori italiani, con i cambiamenti nelle intenzioni di voto che rimangono minimi. Tuttavia, le dinamiche interne ai partiti e le divisioni nel centrodestra potrebbero avere implicazioni future sulla stabilità del governo e sulle alleanze politiche. ​

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Antonio Tajani: l’autonomia non è un dogma

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Negli ultimi tempi, si sono moltiplicati i segnali di un’offensiva all’interno di Forza Italia. Oggi, il segretario del partito, Antonio Tajani, ha chiarito la sua posizione affermando che “l’Autonomia non è un dogma”. Questa dichiarazione, resa durante un confronto in Consiglio dei ministri con Roberto Calderoli, padre della riforma, sembra rappresentare quella scossa che Pier Silvio Berlusconi aveva chiesto a Forza Italia, passando da un “partito di resistenza a uno più di sfida”.

Dopo numerose critiche mosse da alcuni membri di Forza Italia, in particolare dal governatore calabrese Roberto Occhiuto, al provvedimento bandiera della Lega, Tajani ha assunto una posizione più decisa rispetto al passato. Serrando i ranghi anche rispetto a una fronda interna, di cui la battaglia in nome del Sud condotta da Occhiuto è un esempio, Tajani ha affermato: “L’Autonomia differenziata non è un dogma di fede, è una riforma voluta dalla sinistra nel 2001 e spinta dalla Regione Emilia-Romagna: ora vigiliamo sull’applicazione. Vigilare non vuol dire mettersi di traverso ma fare le cose fatte bene”.

Tajani ha aperto alla posizione di Occhiuto, riconoscendo le preoccupazioni delle regioni del Sud: “La riforma deve essere a vantaggio di ogni cittadino italiano”. Ha chiarito che non mette in discussione “l’impegno preso da FI” con gli alleati, ma ha sottolineato che “serve un’ulteriore riflessione”. Tajani ha anche espresso preoccupazioni in quanto ministro degli Esteri, affermando che “il commercio estero deve restare competenza nazionale, le Regioni non possono sostituire lo Stato”.

Queste dichiarazioni segnano un cambio di ritmo per Forza Italia, il cui ruolo all’interno del governo appare ora più dialettico e di pungolo. Prima di Tajani, altri dirigenti del partito avevano preso le distanze dall’Autonomia. Licia Ronzulli, ad esempio, ha criticato il decreto sulle liste d’attesa appena convertito, definendolo “una misura tampone, ma insufficiente”.

Un altro fronte aperto è quello del decreto Carceri: il compromesso raggiunto dalla maggioranza ha sacrificato ben sette emendamenti forzisti su nove. La linea securitaria di Fratelli d’Italia e Lega, che nega anche la semilibertà per chi ha ancora quattro anni da scontare, ha prevalso. In commissione, i dirigenti forzisti hanno abbozzato: “Non si può ottenere tutto subito”, ha detto Maurizio Gasparri. Tuttavia, lunedì sarà illustrata l’iniziativa comune di FI con i Radicali per affrontare “la questione penitenziaria”.

Recentemente, fonti forziste hanno sbarrato la strada alla proposta della Lega di aumentare la raccolta pubblicitaria Rai per abbassare il canone, affermando che “non è nel programma”.

Le parole di Tajani arrivano mentre il consiglio dei ministri affronta il nodo dell’Autonomia con una informativa del ministro Roberto Calderoli. “Ad oggi sono state trasmesse al governo le richieste delle Regioni Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria”, ha riferito Calderoli. Tajani ha chiesto di visionare la relazione e Calderoli, in tono gelido, ha assicurato: “La invio a tutti”.

In conclusione, le dichiarazioni di Tajani rappresentano un tentativo di Forza Italia di ritagliarsi un ruolo più critico e costruttivo all’interno del governo, affrontando temi delicati come l’Autonomia differenziata e la questione penitenziaria, cercando al contempo di mantenere un equilibrio con gli alleati.

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Svolta sulle Autostrade, allo Stato parte dei pedaggi

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Una parte dei pedaggi autostradali andrà nelle casse dello Stato anziché in quelle delle società concessionarie. E’ con questa novità che si sblocca la partita delle concessioni, che aveva tenuto il stallo per qualche giorno il disegno di legge annuale sulla concorrenza. Il provvedimento, che spazia dalla proroga dei dehors alle sanzioni per taxi e Ncc abusivi, incassa così il via libera del consiglio dei ministri.

Che suggella anche un nuovo tassello della delega fiscale. Ottiene infatti il via libera definitivo l’undicesimo decreto attuativo, che contiene nuove scadenze per le dichiarazioni e qualche nuovo aggiustamento al concordato preventivo, il meccanismo con cui il governo conta di incassare risorse da usare per la manovra. In particolare, slitta dal 30 settembre al 31 ottobre la scadenza per l’invio delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’Irap. Viene inoltre ampliato da 30 a 60 giorni il termine per il pagamento degli avvisi bonari ricevuti a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni.

Per favorire l’adesione al concordato, invece, arriva la flat tax incrementale sul maggior reddito concordato, con aliquote variabili dal 10 al 15% in base al punteggio Isa (che indica l’affidabilità fiscale). Vengono anche rivisti gli acconti, con una minore maggiorazione. Approvato anche il “superamento definitivo del redditometro”, annuncia il vicepremier Matteo Salvini, intestando alla Lega questa “grande vittoria”, che dà lo “stop al Grande Fratello fiscale”. Un risultato su cui cui rivendica il proprio merito anche Fi.

“Viene introdotta una nuova misura, che stanerà i grandi evasori”, spiega da FdI il capogruppo alla Camera Tommaso Foti ricordando l’impegno del partito di Giorgia Meloni per un “fisco amico”. Il viceministro dell’Economia, esponente di FdI e ‘regista’ della delega, Maurizio Leo, che un paio di mesi fa aveva firmato un decreto che lo reintroduceva, poi sospeso, non ne fa menzione nel suo commento: illustra le altre misure e parla di “passo significativo verso una maggiore efficienza e semplificazione del sistema fiscale”.

Nel ddl concorrenza, che è uno dei 69 obiettivi per ottenere la settima rata del Pnrr, la principale novità è la riforma delle concessioni autostradali: arriva – per quelle in scadenza dal 2025 – un nuovo modello tariffario, già sperimentato in 4 concessioni (Ativa, Satap A21, Salt e A10 Fiori), che distingue la tariffa in 3 componenti, di cui due di competenza del concessionario e una, il cosiddetto extragettito, destinata al concedente e i cui proventi saranno utilizzati per realizzare gli investimenti, senza incrementare i pedaggi.

Il nuovo modello prevede anche che le future concessioni non supereranno i 15 anni. “L’obiettivo è realizzare opere pubbliche e tenere sotto controllo i pedaggi”, spiega Salvini, che in cdm porta anche una delibera che dà mandato all’avvocatura per depositare il ricorso contro i divieti unilaterali di Vienna al Brennero. Tante le altre misure del ddl concorrenza, dalla portabilità delle scatole nere alle start up innovative, dalle sanzioni per fronteggiare l’abusivismo nel settore dei taxi e Ncc alle misure per contrastare la cosiddetta ‘shrinkflation’, la pratica che consiste nel ridurre la quantità di prodotto, mantenendo inalterato il confezionamento. Ci sono anche la portabilità delle scatole nere e la proroga (per un anno, in attesa delle norme di riordino del settore) dei dehors, che incassa il plauso delle sigle di categoria ma su cui i consumatori minacciano ricorsi. “Con il ddl – commenta il ministro delle Imprese Adolfo Urso – compiamo un altro significativo passo nella giusta direzione, a supporto delle imprese e a tutela dei consumatori”.

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