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Mafia connection, asse tra clan siciliani e i Gambino di New York

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La Direzione Investigativa Antimafia ha eseguito una misura cautelare nei confronti di 10 persone: una in carcere, 5 agli arresti domiciliari e 4 divieti di esercizio della professione e dell’attività imprenditoriale. L’operazione, coordinata dalla Dda di Palermo e denominata “Breaking Bet”, ha fatto luce sugli interessi delle famiglie mafiose di Licata Campobello di Licata, in provincia di Agrigento, e Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, nel business delle scommesse. Agli indagati vengono contestati i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, esercizio abusivo di attività d’intermediazione nella raccolta di gioco, tramite l’installazione di apparecchiature in assenza di concessione dell’Agenzia dei Monopoli, estorsione aggravata dall’agevolazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori.

Le operazioni fra Palermo e New York

Le indagini hanno accertato una capillare distribuzione e installazione di postazioni per il gioco d’azzardo, realizzata attraverso la costituzione di società intestate a prestanomi che ne schermavano la reale titolarità: tramite gli apparecchi collegati in rete a siti internet esteri, ai giocatori era consentito partecipare a scommesse su eventi sportivi e scegliere, oltre ai giochi di abilità a distanza anche opzioni di gioco (tipo videopoker, roulette ecc…). L’attività era destinata a contribuire al sostentamento economico delle famiglie mafiose di Licata e Campobello di Licata ma anche, in parte, ai vertici della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara. Cosa Nostra, oltre all’arricchimento economico, puntava a intensificare il controllo delle attività economiche sul territorio. Sono state eseguite inoltre diverse perquisizioni domiciliari.

Le catture della FBI

Blitz della Polizia e del Fbi contro le famiglie mafiose che operano tra Italia e Stati Uniti. Sono in corso una serie di fermi tra Palermo e New York nei confronti di 17 persone ritenute appartenenti o legate ad una storica famiglia palermitana. I reati per cui si procede sono, a vario titolo, associazione mafiosa, estorsione, turbativa d’asta e incendi aggravati dal metodo mafioso. Nell’operazione, coordinata dalla procura di Palermo, sono impegnati uomini del Servizio centrale operativo di Roma e di Palermo, della squadra mobile, oltre ad agenti del Fbi.

La famiglia mafiosa newyorkese dei Gambino, protagonista dell’inchiesta Pizza Connection condotta da Giovanni Falcone negli anni ’80, torna al centro di una indagine congiunta dello Sco e dell’Fbi che oggi ha portato a 17 fermi tra la Sicilia e gli Usa. I “cugini “americani continuano a fare affari con gli affiliati siciliani, in particolare con vecchi boss dei clan palermitani di Torretta, Partinico, Borgetto. I reati contestati ai fermati sono associazione mafiosa, estorsione, incendio doloso, turbativa d’asta, cospirazione. Dall’indagine, coordinata dalla Dda di Palermo e condotta in stretta collaborazione tra le forze di polizia americane e italiane, è emerso lo stretto rapporto che continua a legare le due organizzazioni criminali.

Dai “cugini” siciliani hanno imparato il metodo: chiedere somme ragionevoli per non inimicarsi le vittime. Una strategia che il racket del pizzo mafioso in Italia attua da tempo e che ora, su consiglio di un vecchio capomafia di Partinico, adottano anche oltreoceano. E’ uno dei particolari emersi nell’inchiesta congiunta, condotta dallo Sco e dall’Fbi, che oggi ha portato a fermidi affiliati mafiosi tra Italia e Usa. Sempre seguendo i suggerimenti del boss storico, gli americani avrebbero deciso di abbandonare le azioni violente nei confronti delle vittime optando per una linea più soft. L’inchiesta ha anche accertato che, in vecchie estorsioni commesse a danno di ristoratori di origini siciliane da anni a New York, Cosa nostra siciliana avrebbe aiutato i clan americani a incassare facendo pressioni sui familiari delle vittime che vivono ancora in Sicilia. Decine, infine, i taglieggiamenti a imprese edili della Grande Mela commessi dai Gambino e scoperti Dall’Fbi.

Non sono più i tempi d’oro della Pizza Connection ma il traffico di droga, che negli anni ’70 e ’80 ha reso ricche le famiglie mafiose americane e siciliane, continua a legare le cosche dei due continenti. Lo ha acertato l’inchiesta dello Sco e dell’Fbi, coordinata dalla Dda di PALERMO, che oggi ha portato al fermo di 17 persone tra la Sicilia e gli Stati Uniti. L’inchiesta Pizza Connection accertò l’esistenza di un traffico di stupefacenti tra l’Italia e gli Stati Uniti d’America gestito per Cosa nostra dai boss Leonardo Greco e Gaetano Badalamenti. I clan siciliani, insieme a trafficanti turchi che procuravano e raffinavano lo stupefacente, gestivano anche il riciclaggio dei proventi illeciti tramite colletti bianchi in Svizzera che facevano capo alle famiglie Cuntrera e Caruana.

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Prostituzione: adescavano minorenni, 10 arresti a Bari

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Avrebbero indotto, favorito, sfruttato, gestito ed organizzato la prostituzione di tre ragazze minori d’eta’. Per questo dieci persone – quattro donne e sei uomini, tutti finiti in carcere – sono stati arrestati dagli agenti della squadra mobile di Bari. Per due clienti, di anni 47 e 42 che, consapevoli della minore d’eta’ delle ragazze non hanno esitato a consumare rapporti sessuali con loro, in cambio di danaro, sono scattati gli arresti domiciliari.

Per un terzo cliente 55enne l’obbligo di dimora nel Comune di residenza. Medesima misura cautelare e’ stata disposta nei confronti di un 45enne barese, gestore di una struttura ricettiva nella quale tollerava l’esercizio abituale della prostituzione. Le indagini sono partite nel marzo 2022 a seguito della denuncia presentata dalla mamma di una 16enne, che ha notato comportamenti anomali nella figlia e riscontrato la sua frequentazione con una maggiorenne, descritta dalla voce pubblica come escort operativa nelle Marche.

I pedinamenti, gli appostamenti, le intercettazioni, una pluralita’ di audizioni, comprese quelle delle minori coinvolte nella prostituzione, eseguite con l’ausilio di psicologhe, hanno consentito di acquisire gli elementi investigativi. I fatti si sono consumati in alcune strutture ricettive, anche di lusso, delle province di Bari e BAT, a partire dal mese di ottobre del 2021.

Le minorenni, all’epoca 16enni, sono state adescate ed introdotte nel mondo della prostituzione con la promessa, riscontrata, di facili guadagni, ove si consideri che alcuni clienti hanno pagato anche centinaia di euro per singole prestazioni sessuali. Il danaro guadagnato con la prostituzione veniva utilizzato, dalle ragazze, per acquistare abiti, borse e cenare in ristoranti costosi, adottando le cautele utili a non far scoprire ai propri parenti le cospicue disponibilita’ economiche e gli acquisti eseguiti.

Per la gestione dell’attivita’, venivano utilizzate utenze telefoniche dedicate, inserite in appositi annunci on line; vi era chi provvedeva alla prenotazione delle strutture ricettive, chi accompagnava le ragazze nelle camere e chi riceveva le telefonate dei clienti, fissando gli appuntamenti. Le maggiorenni arrestate e il 29enne barese sfruttatore attendevano in stanze attigue che le minorenni terminassero le loro prestazioni, per ricevere personalmente il danaro dai clienti e corrispondere alla ragazze la quota loro spettante, corrispondente al 50% della somma ricevuta.

Tra gli indagati anche professionisti.

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Ergastolo per Alessia Pifferi, ‘ha ucciso la figlia’

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Ergastolo. Alessia Pifferi (nella foto sotto) è stata condannata al massimo della pena per l’omicidio della figlia Diana di un anno e mezzo, lasciata a casa da sola per sei giorni e morta di stenti. Lo ha stabilito la Corte di Assise di Milano, accogliendo la richiesta del pm Francesco De Tommasi. “È un dolore atroce”, ha commentato la mamma di Pifferi, Maria Assandri, subito dopo la lettura del dispositivo. “Si è dimenticata di essere una madre. Deve pagare per quel che ha fatto. Se si fosse pentita e avesse chiesto scusa… Ma non l’ha fatto”. La piccola Diana era stata trovata morta il 20 luglio del 2022, quando Pifferi era rientrata nella sua abitazione di via Parea a Milano dopo quasi una settimana.

Il tardo pomeriggio del 14 luglio era partita per la provincia di Bergamo, dove abitava il suo fidanzato dell’epoca, lasciando la bimba nel lettino con soltanto un biberon e una bottiglietta d’acqua. Tra le aggravanti che le venivano contestate, la Corte ha escluso quella della premeditazione, riconoscendo invece quelle dei futili motivi e dell’aver commesso il fatto ai danni della figlia minorenne. I giudici, presieduti da Ilio Mannucci Pacini, hanno poi condannato la 38enne a versare provvisionali da 20mila e 50mila euro rispettivamente alla sorella Viviana e alla madre Maria, entrambe parti civili nel processo. L’udienza si è aperta questa mattina con l’intervento dell’avvocato di parte civile Emanuele De Mitri, al quale è seguita l’arringa del difensore Alessia Pontenani. Il legale, che aveva chiesto l’assoluzione perché “è evidente che non volesse uccidere la bambina”, ha ricostruito la storia di Pifferi dall’infanzia al giorno in cui è uscita di casa, lasciandola sola per l’ultima volta. “Non ha mai voluto uccidere la figlia. Esiste il reato di abbandono di minore ed è il nostro caso”.

Pifferi, che già in passato aveva lasciato a casa la bimba per andare dal compagno per il weekend, “lo ha commesso più volte”. Per il difensore, “non è una psicotica, ma una ragazza che è cresciuta in assoluto isolamento morale e culturale”. Da piccola “ha subito abusi, è stata vittima di violenza assistita, non è andata a scuola, ha un deficit cognitivo, è vissuta senza avere un lavoro, era in condizioni di estrema indigenza. Partorisce in un bagno, non sa di essere incinta. Una donna cresciuta in questo modo può non avere problemi?”. La perizia psichiatrica eseguita nel corso del processo dallo specialista Elvezio Pirfo aveva però accertato che la 38enne era capace di intendere e volere al momento dei fatti. Un aspetto, questo, che è stato sottolineato anche dal pm Francesco De Tommasi, replicando che Pifferi “non ha nessun deficit”. Per il pm “c’è una sola vittima e si chiama Diana. E c’è una bugiarda e un’attrice, che è Alessia Pifferi”. Lo stesso pubblico ministero, fuori dall’aula dopo la condanna, ha sottolineato che si tratta di “una sentenza giusta, la prima tappa per l’accertamento della verità. Ci ho sempre creduto – ha detto – e con questo verdetto hanno riportato al centro del processo la vittima”. Della stessa idea è la sorella Viviana Pifferi: “penso che i giudici abbiano fatto quello che è giusto – ha osservato -, perché per me non ha mai avuto attenuanti, non è mai stata matta o con problemi psicologici”. L’avvocato Alessia Pontenani ha già fatto sapere che farà ricorso e che chiederà “la riapertura dell’istruttoria e una nuova perizia”. Pifferi “era molto dispiaciuta per l’atteggiamento della sorella e della mamma” le quali “quando il presidente ha detto ‘ergastolo’ hanno festeggiato”. “Alessia – ha riferito – ha pianto tantissimo”.

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Errore del macchinario, falso alert blocca aeroporto Bologna

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Cancellazioni e ritardi in partenza, voli in arrivo dirottati su altre destinazioni. È il bilancio del pomeriggio di passione dell’Aeroporto Marconi di Bologna, le cui operazioni sono state sospese dalle 15 fino alle 16.15 dopo che è scattato un allarme sicurezza. Tutto è nato da “un errore di lettura”, come ha poi spiegato la Questura di Bologna, di un controllo di un bagaglio, “causato da un nuovo macchinario arrivato di recente” allo scalo bolognese. “Per un errore umano o tecnico”, a quanto ha precisato la polizia, è stato “creato un alert” perché sembrava che nel bagaglio di un passeggero “ci fosse la sagoma di una pistola”. Nella valigia, però, non è stato trovato nulla, anche se poi sono continuati gli accertamenti da parte della polizia di frontiera. Pesanti le conseguenze sull’operatività dello scalo. Sono stati bloccati tutti i voli in partenza dopo le 14.30 e alcuni sono stati cancellati, mentre diversi sono partiti con pesanti ritardi. Alcuni voli in arrivo sono stati dirottati su altri aeroporti. Complessivamente, comunica la Questura di Bologna, sono stati cancellati nove voli. Altri undici sono stati dirottati su altri scali nazionali e diciotto voli hanno subito un paio di ore di ritardo: in totale, quindi, hanno subito disagi di vario genere i passeggeri di almeno 38 aerei. Il pomeriggio di passione del Marconi è arrivato in un periodo in cui l’Aeroporto si trova ad affrontare diversi cantieri, tra cui la riqualificazione dell’area di sicurezza a passaporti: qui si sta portando avanti l’inserimento delle nuove macchine radiogene standard 3, che consentono di non togliere liquidi dai bagagli, e la riqualificazione dell’area partenze Schengen. Disagi che hanno portato il Marconi a chiedere ai passeggeri di presentarsi con tre ore di anticipo: in cambio, dall’1 maggio, l’Aeroporto offre il caffè a chi deve presentarsi tra mezzanotte e le 4.

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