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Cronache

Incidente mortale a Roma: la “scatola nera” della Lamborghini Urus rivela la velocità e le responsabilità

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Roma è stata teatro di un tragico incidente stradale che ha scosso l’opinione pubblica. Un ventenne, Matteo Di Pietro, è stato inchiodato dalla “scatola nera” della sua Lamborghini Urus dopo aver travolto e ucciso il piccolo Manuel, un bambino di soli 5 anni che si trovava a bordo di una Smart insieme alla madre. Tuttavia, i dati registrati dal sistema di posizionamento GPS del veicolo rivelano ulteriori dettagli sconcertanti.

I dati del GPS indicano che pochi secondi prima dell’incidente, i quattro youtuber che si trovavano nella Lamborghini raggiungevano la velocità di ben 145 chilometri orari lungo via dei Pescatori, una strada stretta che si incrocia con via di Macchia Soprana. Allo stop successivo, Di Pietro si è fermato, ma poi ha ripreso velocemente la marcia, dirigendosi verso l’utilitaria guidata da Elena Uccello, che viaggiava in direzione opposta con i suoi due bambini.

L’incidente è avvenuto il 14 giugno alle 15:38. Proprio all’altezza di via Archelao di Mileto, la donna ha inserito l’indicatore di direzione per svoltare a sinistra, tagliando la strada al gruppo di ragazzi a bordo del potente bolide. Il conducente del bus che seguiva la Smart ha testimoniato che l’auto aveva effettivamente la freccia inserita. “Ha svoltato rapidamente, senza esitazione, come se non avesse visto l’SUV che veniva in senso contrario”, ha ribadito il testimone al pubblico ministero. Apparentemente, Di Pietro stava procedendo così velocemente che la donna non se ne è accorta.

Secondo i dati registrati, il ventenne è riuscito a decelerare, ma non a frenare completamente, colpendo in pieno la Smart e trascinandola per decine di metri. L’impatto si è verificato a una velocità di 124 chilometri orari, non a 80 come sostenuto da Di Pietro. Tuttavia, la Lamborghini Urus stava viaggiando ancora più veloce. Il giudice per le indagini preliminari, Angela Gerardi, ha ribadito che “i dati provenienti dal GPS segnalano l’accelerazione improvvisa del veicolo che, una volta entrato in via di Macchia Saponara, raggiunge i 124 chilometri orari in poco più di dieci secondi, poco prima dell’impatto. La mancanza di frenata indica probabilmente che la decelerazione improvvisa e rapida è stata causata dall’avvistamento dell’auto nelle vicinanze del punto in cui si è verificato l’incidente”. Di Pietro rimane agli arresti domiciliari in attesa dell’interrogatorio di garanzia.

Il giudice Gerardi ha sottolineato il pericolo di inquinamento delle prove, dato che sono scomparse due telecamere e un video cancellato. Inoltre, ha evidenziato la pericolosità del soggetto e il rischio che possa commettere ulteriori reati simili, considerando la sua condotta gravemente imprudente alla guida di un’auto ad alta velocità in pieno giorno, nonostante la presenza di attraversamenti pedonali. La positività ai cannabinoidi rilevata in seguito ai test tossicologici ha anche evidenziato una tendenza trasgressiva nell’atteggiamento dell’indagato.

Il dibattito sulla responsabilità della morte del piccolo Manuel è acceso. Gli amici di Di Pietro avrebbero chiesto al conducente di ridurre la velocità, ma invano. La sfida delle 50 ore senza mai scendere dall’SUV, filmata e montata con l’obiettivo di impressionare e attirare l’attenzione del web per aumentare i guadagni pubblicitari, è stata una scelta imprudente che ha avuto conseguenze tragiche. La questione divide l’opinione pubblica, poiché si discute se Di Pietro debba essere ritenuto unico responsabile della morte del bambino o se ci siano altre circostanze da considerare.

L’incidente mortale a Roma serve come monito sulla pericolosità delle sfide irresponsabili e sulla necessità di rispettare le regole stradali. La vita dei nostri concittadini, soprattutto dei più vulnerabili, deve essere al di sopra di qualsiasi considerazione di sensazionalismo o ricerca di notorietà sul web. È fondamentale riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni e guidare in modo responsabile, evitando comportamenti che mettano a rischio la sicurezza nostra e degli altri.

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Marigliano, donna perde controllo della moto e si schianta contro un palo perdendo la vita

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Un tragico incidente si è verificato questo pomeriggio in via Ponte dei Cani, nel comune di  Marigliano, dove una donna di 46 anni, residente a Scisciano, ha perso la vita.

Secondo le prime ricostruzioni fornite dai Carabinieri della sezione radiomobile di Castello di Cisterna e della stazione di Marigliano, intervenuti prontamente sul luogo dell’incidente, la vittima avrebbe perso il controllo della sua motocicletta per cause ancora da accertare. La moto è finita la sua corsa contro un palo della luce, provocando il decesso immediato della conducente.

Il tratto di strada su cui si è verificato l’incidente è stato temporaneamente chiuso al traffico per permettere i rilievi del caso. La salma della donna è stata trasferita all’istituto di medicina legale per l’esame autoptico, mentre la motocicletta è stata sequestrata per gli ulteriori accertamenti tecnici che saranno fondamentali per chiarire la dinamica e le cause esatte del sinistro.

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Gip su ultrà Milan arrestati: gruppo aggressivo e violento

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Si tratta di persone che “frequentano abitualmente lo stadio” e “che sfruttano proprio la peculiare carica intimidatoria derivante dall’appartenenza ad un gruppo organizzato” per agire con una condotta “aggressiva, che rappresenta la cifra distintiva del loro modo di seguire il calcio e la squadra di cui sono supporter”. Così la gip di Milano Teresa De Pascale descrive i tre ultrà, che fanno parte della curva sud milanista, arrestati due giorni fa per aver aggredito, a colpi di sedie e tavolini ma anche a coltellate, un 25enne romeno dopo la partita Milan-Cagliari di sabato sera.

La giudice ha convalidato gli arresti e disposto come misura cautelare i domiciliari per tutti e tre, tra cui Alessandro Sticco, 42 anni, che è nel direttivo della curva milanista così come Luca Lucci, noto capo ultrà, e Christian Rosiello, il cosiddetto “bodyguard” di Fedez, coinvolto come il rapper nel caso del pestaggio al personal trainer Cristiano Iovino dello scorso aprile. Ai domiciliari anche Islam Hagag, 35 anni, e Luigi Magrini, 43 anni, che avrebbe sferrato le coltellato (la Procura chiedeva per lui il carcere). Tutti e tre difesi dal legale Jacopo Cappetta. I tre, spiega la gip nell’ordinanza, hanno fatto “leva sulla peculiare forza intimidatoria derivante dall’appartenenza ad un gruppo numeroso di tifosi” e “non hanno esitato ad aggredire congiuntamente un ragazzo da solo, anche con l’uso di bottiglie e di un coltello, sino a lasciarlo sanguinante riverso in terra, proprio dopo una partita di calcio, quale luogo ed occasione in cui manifestare e sprigionare la propria indole aggressiva e violenta”.

Il 25enne ha messo a verbale che dopo aver visto la partita, “mentre si stava recando al bar” vicino “al punto di ritrovo degli ultras per consumare delle bevande, veniva aggredito senza motivo, inizialmente da due tifosi, che lo spogliavano della maglietta che indossava”, una maglia della curva sud rossonera. E ha aggiunto: “non so dare spiegazioni dell’aggressione. Senza nessun motivo mi hanno tolto la maglietta e mi hanno colpito”. Gli ultrà interrogati oggi dalla gip, invece, hanno raccontato di aver reagito, ammettendo in sostanza i fatti, perché un loro amico della curva era stato colpito in precedenza dal 25enne ed “era a terra sanguinante”.

Per il gip ad aggredire il romeno è stato un “gruppo di 8-9” ultrà, alcuni già identificati e indagati, oltre ai tre arrestati. Il “dettaglio della maglietta del Milan strappata – scrive la giudice – ovvero mai indossata e tolta autonomamente dalla vittima (come riferito dagli indagati), allo stato, non è riscontrato dalla visione delle telecamere, in quanto esse riprendono il soggetto già a torso nudo all’esterno del locale”. Allo stesso modo, “la asserita precedente aggressione posta in essere” dal 25enne, chiarisce la giudice, “allo stato, non risulta riscontrata, non emergendo neppure alcun certificato medico”. Fatti questi che andranno verificati ancora nelle indagini.

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Inchiesta clinica Messina, ai 9 indagati sequestrati 11 milioni

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Nell’inchiesta sulla clinica NeMo Sud e il Policlinico di Messina sono indagati, a vario titolo per peculato e corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, Alberto Fontana, 52 anni, ex presidente della fondazione Aurora onlus (che gestiva il centro clinico Nemo Sud a Messina), Giuseppe Laganga Senzio, 47 anni, ex direttore amministrativo del Policlinico messinese, Mario Giovanni Melazzini, 65 anni, anche lui ex presidente della fondazione Aurora onlus, Giuseppe Pecoraro, 75 anni, commissario straordinario del Policlinico, Paolina Reitano, 64 anni, ex direttrice sanitaria del Policlinico, Marco Restuccia, 60 anni, direttore generale del Policlinico, Giuseppe Vita, 72 anni, medico dirigente dell’unità operativa di Neurologia del Policlinico, l’attuale assessore regionale alla Sanità Giovanna Volo, 68 anni, ex direttore sanitario dell’ospedale universitario, Michele Vullo, 68 anni, ex direttore amministrativo del Policlinico. Giuseppe Vita, Mario Giovanni Melazzini, Alberto Fontana, Giuseppe Laganga Senzio hanno la misura cautelare del divieto temporaneo di contrattare con la pubblica amministrazione e di esercitare impresa in ambito sanitario.

Per tutti e nove gli indagati ciascuno pro quota, è stato disposto il sequestro preventivo di denaro, beni mobili e immobili, per l’importo complessivo di 11 milioni di euro, pari ai fondi pubblici distratti. L’ordinanza delle misure cautelari è stata firmata dal gip Claudia Misale.

Tutti gli indagati sono da considerare innocenti fino al terzo grado di giudizio.

 

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