Le tensioni nel nord del Kosovo stanno raggiungendo livelli preoccupanti, minacciando di far precipitare la situazione nel cuore dei Balcani. Oggi si è registrata un’escalation di contrapposizioni etniche, sfociata in violenti scontri tra militari della Forza Nato e manifestanti serbi che si oppongono all’insediamento dei nuovi sindaci di etnia albanese nei quattro maggiori comuni a maggioranza serba della regione settentrionale.
Gli incidenti odierni, che fanno seguito a quelli verificatisi venerdì scorso, sono avvenuti a Zvecan, dove i militari della Kfor, dopo ripetuti avvertimenti e richieste di rimuovere i blocchi che impedivano anche il movimento della polizia locale, si sono scontrati con i dimostranti serbi che avevano assediato per ore la sede municipale locale. L’obiettivo dei manifestanti era impedire al nuovo sindaco albanese di prendere possesso del suo ufficio. Durante gli scontri violenti, i militari hanno fatto largo uso di sfollagente, gas lacrimogeni e bombe assordanti, mentre i serbi hanno risposto con lanci massicci di sassi, bottiglie, molotov e altri oggetti.
Il bilancio degli scontri è pesante, con decine di soldati della Nato feriti, tra cui 11 italiani. Inizialmente si era parlato di 41 militari coinvolti, ma in serata il comando della Kfor ha riportato che circa 25 soldati sono rimasti feriti. Tre italiani hanno riportato ferite abbastanza serie, principalmente ustioni provocate dalle molotov e fratture, ma non sono in pericolo di vita. Il generale italiano Angelo Michele Ristuccia, comandante della missione Kfor, ha espresso la sua solidarietà ai militari feriti, assicurando che il contingente Nato rimarrà “imparziale” nella situazione.
La premier Giorgia Meloni ha immediatamente espresso solidarietà e condannato l’attacco come “inaccettabile e irresponsabile”, affermando che non saranno tollerate altre azioni violente. Anche i ministri degli Esteri e della Difesa, Antonio Tajani e Guido Crosetto, hanno espresso vicinanza ai soldati feriti e augurato loro una pronta guarigione. Meloni ha sottolineato l’importanza di evitare ulteriori azioni unilaterali da parte delle autorità kosovare e ha invitato tutte le parti coinvolte a fare un passo indietro per contribuire a ridurre le tensioni.
Oltre ai militari feriti, decine di serbi sono rimasti feriti negli scontri a Zvecan e in altri comuni a maggioranza serba come Zubin Potok, Leposavic e Mitrovica Nord. La popolazione serba contesta l’elezione dei nuovi sindaci di etnia albanese avvenuta il 23 aprile scorso, sostenendo che i sindaci albanesi non dovrebbero governare città in cui la stragrande maggioranza degli abitanti è di etnia serba.
La situazione nel nord del Kosovo è estremamente delicata, con una contrapposizione tra Pristina e Belgrado che sembra non avere una soluzione immediata. Le autorità di Pristina sostengono la regolarità del voto del 23 aprile e accusano Belgrado di mantenere strutture illegali nel nord del Kosovo, trasformate in bande criminali che attaccano le forze di polizia kosovare, i militari della Kfor e i giornalisti. Dall’altra parte, le autorità serbe accusano Pristina di voler occupare il nord del Kosovo con l’intento di espellere la popolazione serba locale.
Nonostante gli incontri e i contatti tra Belgrado, Pristina e rappresentanti della comunità internazionale, tra cui Ue, Usa, Quint, Nato e Osce, finora non è emersa una via d’uscita per ridurre le tensioni e prevenire ulteriori escalation. Le proposte, come quella dell’ambasciatore americano a Pristina Jeff Hovernier di far lavorare i nuovi sindaci in altri edifici anziché nelle loro sedi municipali, sono state respinte come “inaccettabili” da parte delle autorità kosovare.
La situazione nel nord del Kosovo richiede un impegno urgente da parte della comunità internazionale per cercare una soluzione pacifica e duratura. L’Italia si è dichiarata impegnata per la pace e la stabilità dei Balcani occidentali e continuerà a lavorare con i suoi alleati per raggiungere questi obiettivi. Tuttavia, è evidente che la situazione richiede un approccio complesso e una cooperazione internazionale ancora più stretta per evitare che la violenza si intensifichi e che la regione precipiti in una crisi di dimensioni imprevedibili.