La testa china per sfuggire alle telecamere che indugiano, un borsone a tracolla e una borsa per la spesa in mano. E’ così che, intorno alle undici e un quarto del secondo giovedì d’aprile, dopo oltre quattro mesi in cella, l’anima del Qatargate, Pier Antonio Panzeri, ha lasciato le cinte murarie dell’antica prigione di Saint-Gilles per fare rientro alla sua abitazione dove sconterà gli arresti domiciliari con l’obbligo di braccialetto elettronico. Poche ore prima, anche l’ex collega Marc Tarabella era ritornato a casa nel piccolo borgo di Anthisnes sotto sorveglianza. E nelle prossime ore, quando le formalità legate al braccialetto elettronico saranno espletate, la stessa sorte toccherà all’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kaili.
Segnando in pochi giorni la fine del carcere preventivo per tutti i protagonisti della maxi-inchiesta che all’inizio del dicembre scorso aveva fatto trattenere il fiato alle istituzioni Ue e che ora, nello stallo di indagini preliminari che non portano a galla ulteriori novità, sembra lentamente sgonfiarsi. Il volto consumato, visibilmente dimagrito e provato psicologicamente, il pentito Panzeri conosce già quale sarà la sua pena finale: un anno effettivo di reclusione, con quattro mesi già scontati nell’istituto penitenziario e i domiciliari che andranno ad aggiungersi al conteggio.
Uno sconto di pena ottenuto offrendo alla giustizia la sua versione dei fatti sui 600mila euro cash ritrovati nella sua casa belga. E sull’intero giro di soldi sporchi messo a punto con la sua ong Fight Impunity insieme al Qatar e al Marocco per favorirne l’immagine in Europa. Una collaborazione con gli inquirenti che, oltre allo sconto di pena, è valsa la piena libertà per la figlia Silvia e la moglie Maria Dolores Colleoni, e che nelle parole del legale Laurent Kennes, è destinata a continuare anche nei prossimi mesi. Durante i quali a fargli il controcanto saranno però gli ex colleghi Marc Tarabella e Andrea Cozzolino, trascinati loro malgrado dal deus ex machina nello scandalo e da mesi in trincea per dimostrare la propria innocenza.
Una battaglia che anche Eva Kaili, fresca degli arresti domiciliari appena concessele dalla giustizia belga, è pronta a portare avanti per “essere assolta” in via definitiva dalle accuse di aver pilotato risoluzioni parlamentari a favore di Doha e Rabat a suon di mazzette incassate insieme al compagno e braccio destro di Panzeri, Francesco Giorgi – rilasciato sotto sorveglianza elettronica a fine febbraio. Ancora in attesa di un braccialetto elettronico che le guardie del carcere di Haren “stanno cercando”, l’ex vicepresidente del Parlamento europeo continua – per bocca del suo avvocato Michalis Dimitrakopoulos – a dichiararsi “innocente” e attende “con impazienza di riabbracciare la figlia” di due anni che ha già preparato il suo “vestitino migliore” per accoglierla.
Poi “il cammino da fare sarà ancora difficile”. E separato da quello del compagno. Intanto, però, sulle banconote custodite in alcune valigette rinvenute tra le mura della loro casa di Rue Wiertz, gli investigatori non avrebbero trovato tracce di impronte digitali della politica ellenica. Un elemento chiave che ha portato il combattivo giudice Michel Claise a disporre l’uscita dal carcere. Forse in tempo per la Pasqua ortodossa.