Collegati con noi

Politica

Da cure occhi a cuore, attese aumentano nelle regioni

Pubblicato

del

Dai ricoveri alle visite mediche, nel 2021 diverse regioni hanno visto peggiorare i tempi di attesa rispetto al 2020. Per gli interventi chirurgici per tumore al seno, il Lazio è passato dal 53% al 35% di prestazioni eseguite secondo i tempi previsti. Mentre per l’elettrocardiogramma la Sardegna è passata da 15 giorni di attesa a 52 giorni. Soprattutto, però, i dati disponibili sono “incompleti, disomogenei e non comparabili” e “urge un ripensamento del sistema di raccolta”. A denunciare il “fallimento del Piano per la Gestione delle liste d’Attesa” è il report Healthcare Insights – Osservatorio sull’Accesso alle Cure, presentato dalla Fondazione The Bridge. Mentre, all’indomani del pacchetto sanità approvato dal Consiglio dei Ministri, a minacciare una ripresa della mobilitazione sono le organizzazioni sindacali della dirigenza medica: “non si salva così la sanità pubblica”, spiegano. L’obiettivo del Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa è “lungi dall’essere raggiunto e siamo lontanissimi dall’informare i cittadini”, spiega il report.

All’interno del Piano è previsto, infatti, un elenco di 69 prestazioni sanitarie ambulatoriali e 17 in ricovero di cui monitorare i tempi di erogazione, ma le uniche a fornire informazioni su tutte sono state Abruzzo, Puglia e Marche. Dal frammentato quadro emerge che per una prima visita ginecologica il Molise e la Basilicata si distinguono in negativo, con il 58% di prestazioni eseguite per tempo e una media di 42 giorni di attesa. Allo stesso modo, per una visita oculistica, l’Umbria passa da 15 giorni medi di attesa nel 2020 a 33 nel 2021, la Sardegna da 23 a 56 giorni. “Nel 2021 – sottolinea Luisa Brogonzoli, coordinatrice Centro Studi The Bridge – abbiamo visto un acuirsi progressivo di difficoltà organizzative iniziate nel 2020 con l’esplosione della pandemia e dovute alle tantissime ospedalizzazioni per Covid che hanno messo sotto stress gli ospedali”. A colpire però, prosegue, è anche “l’assoluta disomogeneità dei dati forniti dalle singole Regioni, conseguenza di una normativa nazionale, che lascia a ciascuna la libertà di stabilire le modalità attraverso cui i dati sono resi accessibili”. Di fatto “il Piano Liste di Attesa, ormai è inadeguato. Urge un ripensamento”. Proprio per realizzare una nuova modalità di analisi dei dati, più rispondenti alla realtà, Fondazione The Bridge e l’Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali (Agenas) hanno dato il via a un gruppo di lavoro. Intanto, nonostante lo stanziamento di circa 1 miliardo di euro dal 2020 ad oggi per il recupero delle liste di attesa, la capacità della sanità pubblica di garantire l’accesso alle cure “è ancora inferiore al pre pandemia e con inaccettabili differenze tra le Regioni. Nel primo semestre 2022”, secondo Salutequità, “sono saltate una prima visita specialistica su 5 in Italia rispetto allo stesso periodo del 2019, con punte di oltre una prima visita su due nella PA di Bolzano (-55,2%), una su 3 in Valle d’Aosta, Sardegna, Calabria e Molise”.

L’allarme non è nuovo e ha diverse cause: l’effetto del boom di ricoveri legati al Sars-cov-2, la carenza di medici dovuta a decenni di tagli alla sanità e la cattiva programmazione rispetto al fabbisogno di specialisti da formare. Il risultato, come emerge dai dati Istat, è che la quota di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni è passata dal 6,3% nel 2019 al 9,6% nel 2020, fino all’11,1% nel 2021 e chi invece può, si rivolge al privato. A fronte di quella che la Fondazione Gimbe ha definito “una Sanità in Codice Rosso”, le novità previste nel Decreto Bollette sono bocciate dall’Intersindacale medica, che annuncia la ripresa della mobilitazione in vista di una manifestazione pubblica a giugno e annuncia anche scioperi. “E’ un decreto monco – spiegano i sindacati – che, per quanto contenga risposte, come la procedibilità d’ufficio per chi aggredisce gli operatori sanitari, fallisce l’obiettivo di sollevare un Servizio Sanitario Nazionale in ginocchio e arrestare la fuga di medici”.

Advertisement
Continua a leggere

Politica

Accolto ricorso, Ilaria Salis va ai domiciliari a Budapest

Pubblicato

del

E’ stato accolto dal tribunale di seconda istanza ungherese il ricorso presentato dai legali di Ilaria Salis che può quindi uscire dal carcere e andare ai domiciliari a Budapest. Il ricorso era stato presentato dai legali di Ilaria Salis contro la decisione del giudice Jozsef Sós che nell’ultima udienza del 28 marzo le aveva negato i domiciliari sia in Italia che in Ungheria. In appello, la richiesta è stata invece accolta e quindi la 39enne attivista milanese, candidata con Avs alle prossime Europee, potrà lasciare il carcere a Budapest dove si trova da oltre 15 mesi con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. Il provvedimento, che prevede il braccialetto elettronico, diventerà esecutivo non appena verrà pagata la cauzione prevista dal tribunale.

“Ilaria è entusiasta di poter finalmente uscire dal carcere e noi siamo felicissimi di poterla finalmente riabbracciare”: così Roberto Salis ha commentato la decisione del tribunale ungherese di concedere i domiciliari a sua figlia Ilaria che, dopo oltre 15 mesi, potrà lasciare il carcere dove è detenuta con l’accusa di aver aggredito dei militanti di estrema destra. “Non è ancora fuori dal pozzo – ha aggiunto ma sarà sicuramente molto bello poterla riabbracciare dopo 15 mesi, anche se finché è in Ungheria io non mi sento del tutto tranquillo”.

Continua a leggere

Politica

Duello in tv Meloni-Schlein, le opposizioni e Fi contro la par condicio

Pubblicato

del

Il M5s ha gettato sul tavolo il carico, alzando un muro davanti al confronto tv fra la presidente del consiglio Giorgia Meloni e la segretaria Pd Elly Schlein. In campo è scesa l’esponente Cinque stelle in prima fila per le questioni Rai, la presidente della commissione di Vigilanza Barbara Floridia, che ha inviato una lettera al presidente di AgCom e ai vertici del tv pubblica: bisogna garantire parità di condizioni e di trattamento a tutti – è il senso del richiamo – ed evitare di avvantaggiare alcune forze politiche rispetto ad altre. “Mi aspetto di fare il confronto – ha confessato Meloni – ma vedo molti movimenti contro questa iniziativa, vedo molta critica, ci sono cose che si stanno muovendo, magari con l’idea che questo confronto non si faccia: penso che sarebbe un errore”.

In chi si oppone, oltre alla preoccupazione per il rispetto delle regole, c’è anche quella per una polarizzazione dello scontro tra la leader di FdI e quella del Pd che, alla vigilia delle europee, finirebbe per mettere in ombra gli altri contendenti. Contro il duello tv si sono schierati non solo altri leader di opposizione – da Verdi-Sinistra ad Azione a più Europa – ma anche il vicepremier e segretario di Fi Antonio Tajani. In attesa della riunione dell’AgCom di domani, sia Meloni sia Schlein hanno fatto capire di non aver intenzione di dare sponde ai critici: “Il confronto mi piace – ha detto la premier – penso sia il sale della democrazia, in particolare in campagna elettorale. Mi fa molto sorridere il dibattito che sta generando l’aver dato disponibilità al confronto: denunce, lamentele… Penso sia normale, particolarmente in una campagna elettorale come quella in cui siamo, in rapporto all’Unione europea, per raccontare agli italiani che ci sono due modelli: la proposta socialista e conservatori. Mettere a confronto ricette e visioni è un modo di aiutare cittadini nella scelta, è la cosa più naturale del mondo”.

In un’intervista al Qn anche Schlein ha difeso il faccia a faccia in programma a Porta a Porta il 23 maggio: “Il confronto con la presidente del Consiglio potrebbe rappresentare un momento di chiarezza per le persone. Si vedranno in modo ancora più evidente due visioni agli antipodi dell’Italia e dell’Europa”. E la deputata Debora Serracchiani, della segreteria Pd, ha rincarato: “il duello è opportuno ed è anche bello perché è la politica che si confronta nel merito”. Tajani ha ribadito cosa si aspetta dalla Rai: al confronto tv da Vespa “bisogna che tutte le forze politiche partecipino – ha spiegato – perché qua non siamo in un sistema maggioritario ma proporzionale. Si faccia un confronto con tutti i leader assieme come si fa negli Stati Uniti. La par condicio deve essere tale: il confronto si fa con chi si vuole, non è che deve essere imposto. È una violazione, non è giusto”. Un’ipotesi in campo è quella di un faccia a faccia con Matteo Renzi: “Ho già risposto di no”, ha tagliato corto Tajani. Offrendo il fianco all’ironia del leader Iv: “Bruno Vespa mi ha chiesto di partecipare a un faccia a faccia con Antonio Tajani. Ho accettato. Tajani no. Chissà perché… Forza Italia scappa dal confronto, peccato”. Le prossime ore portebbero essere decisive. La riunione dell’AgCom – sulla carta convocata per il consueto monitoraggio settimanale sulla par condicio nelle emittenti televisive -potrebbe essere l’occasione per chiarezza sul confronto Meloni-Schlein e il rispetto delle regole.

Continua a leggere

Politica

Risiko Ue, l’Italia punta a un commissario di peso

Pubblicato

del

L’Italia punta a un commissario europeo di peso, e nei piani di Giorgia Meloni potrebbe non essere un ministro del suo governo. La premier ha escluso di pensare a un rimpasto dopo le Europee, “a maggior ragione non per fare il commissario europeo”. Finora si era parlato molto di Raffaele Fitto e Giancarlo Giorgetti, ma dietro la postilla della leader di FdI, secondo ragionamenti che in ambienti di maggioranza vengono accostati alle sue strategie, ci sarebbero non solo l’ambizione di chiudere il quinquennio con la stessa squadra, e l’obiettivo di non toccare gli equilibri interni dopo le elezioni. Ma soprattutto l’intenzione di puntare su una delega importante come quella economica, oggi divisa fra Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, o la concorrenza, mirando su un profilo che a Bruxelles non avrebbe problemi a far pesare la proprio autorevolezza.

Sono ragionamenti preventivi, manca ancora parecchio tempo, il risiko della governance europea è decisamente articolato e imprevedibile, ma già qualche nome circola. Fra questi, viene sussurrato con cautela anche quello di Daniele Franco, a cui la premier aveva pensato anche come ministro dell’Economia e che il governo ha poi sostenuto per la poltrona di presidente della Banca europea per gli investimenti, corsa in cui alla fine l’ha spuntata la spagnola Nadia Calvino. È una partita complessa, gli incastri dipenderanno anche dal destino di Mario Draghi, considerato in più cancellerie un papabile per la guida della Commissione europea ma anche per il Consiglio Ue.

Il risultato di questo gioco di incastri potrebbe arrivare mentre a Roma si entrerà in sessione di bilancio. Una missione che si annuncia delicata più che in altri anni. In primo luogo perché bisogna fare i conti con il nuovo Patto di stabilità, un compromesso da “migliorare”, si legge nel programma di FdI per le Europee, “nell’ottica di una maggiore flessibilità, tenendo conto delle esigenze finanziarie degli Stati membri”. Le preoccupazioni sorgono già nella stessa maggioranza anche alla luce del braccio di ferro ad alta tensione andato in scena in questi giorni sulla stretta al superbonus e sul nodo sugar tax, con il blitz per inserire un nuovo componente in commissione Finanze al Senato, dove il voto rischiava di essere pericolosamente in bilico. La manovra “sarà un inferno”, prevede un membro del governo che ne ha viste tante in Parlamento. Servirà massima attenzione per evitare cortocircuiti, quando si tratterà di impostare una legge di bilancio con risorse tutt’altro che abbondanti. E con equilibri di forza che potrebbero variare dopo le Europee.

Molte delle fibrillazioni primaverili sono direttamente riconducibili alle strategie elettorali diverse di FdI, FI e Lega. Meloni assicura di non temere questa campagna elettorale “divisiva”, ma i suoi fedelissimi non fanno mistero dell’irritazione con cui ha seguito la rivolta degli azzurri, guidati da Antonio Tajani, contro l’emendamento messo a punto da Giorgetti, con le norme retroattive sul superbonus. Una soluzione pensata dal Mef per frenare quello che Meloni ha più volte definito “dramma” o “macigno” per le casse dello Stato. E nella battaglia contro questo macigno, a tutela dei conti pubblici, bisognerebbe stare uniti, sarebbe il pensiero della premier, come raccontato nei capannelli dei meloniani in Transatlantico. Non a caso, in questi giorni lei e gli esponenti del suo partito, pubblicamente, si sono tenuti alla larga dalla disputa, probabilmente allineati con la stretta messa nero su bianco dal ministro dell’Economia. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, ed è un altro dei ragionamenti che rimbalzano fra i parlamentari di maggioranza, si capirà quanto effettivamente la pazienza del ministro dell’Economia sia messa a dura prova dagli alleati.

Continua a leggere

In rilievo

error: Contenuto Protetto